FYI.

This story is over 5 years old.

Stuff

Lavorare in un reality mi ha quasi fatto perdere l'anima

Fare parte della troupe di un reality show è davvero assurdo come sembra, dalla necessità di destabilizzare psicologicamente i protagonisti alla creazione di situazioni drammatiche a tavolino. Un producer ci racconta la sua esperienza.
Illustrazione di Jessica Olah

Questo articolo è tratto da Broadly.

Qualche anno fa ho lavorato a un reality su un gruppo di ragazze dalle acconciature voluminose che gestivano una scuola di pattinaggio. Avevano tutte body di paillettes, problemi con l'alcol, disturbi della personalità e fidanzati rapper. A voi potrà sembrare meravigliosa tv spazzatura. Ma per me è stato un viaggio infernale nel mondo della produzione televisiva. Per girare la puntata pilota ci sono voluti tre giorni, in cui abbiamo cercato di portare il cast agli estremi della drammaticità. Quello che segue è il resoconto della realizzazione della pilota.

Pubblicità

PREPRODUZIONE

"Dobbiamo farla andare in pezzi," aveva detto Sophia* al piccolo esercito di producer riuniti davanti a lei.

Per "far andare in pezzi" nel gergo televisivo si intende manipolare un membro del cast di un reality per fargli confessare i suoi più oscuri segreti e creare così un legame empatico, da sfruttare poi per farglieli confessare anche davanti alla telecamera. Mancavano tre giorni all'inizio della riprese e non eravamo ancora riusciti a "far andare in pezzi" la nostra star.

"Se non abbiamo Stacy* non abbiamo il programma—questa ragazza è il fulcro di tutto."

Sophia non aveva torto. Stacy era bellissima, facile all'ira e dotata di un senso dell'umorismo che compensava la french manicure. Per un soffio non era diventata una pattinatrice olimpionica: era troppo muscolosa e aggressiva per guadagnare consensi nella squadra americana. Inseguire una carriera da atleta professionista è sempre un azzardo, e il sogno olimpico di Stacy si era infranto. Ma eccola qualche anno dopo, stava benissimo e aveva un nuovo colpo in canna—un reality. Stacy avrebbe fatto qualunque cosa per realizzare almeno questo sogno. Era vulnerabile, instabile e divertente. In breve, Stacy era la nostra star, la nostra Snooki sul ghiaccio.

La trama della pilota ruotava intorno a un litigio tra Stacy e il giovane padre di sua figlia di due anni. Stacy si spaccava la schiena per far funzionare la scuola di pattinaggio sul ghiaccio insieme alle sue due amiche. Suo marito Mark invece stava provando a sfondare con un gruppo di rap bianco, la cui mascotte era un uomo travestito da pollo. Inutile dire che il gruppo rap non era ancora salito alla ribalta, e che quindi le bollette da pagare gravavano tutte sulle spalle di Stacy. Era esausta e stufa della situazione.

Pubblicità

Alla rete tv piaceva la trama, ma pensava che dovessimo "definire in modo netto la posta in gioco." Gli executive producer televisivi tendono a pensare che il pubblico sia fatto da idioti che non capiscono le cose a meno che gliele metti proprio davanti agli occhi, e per questo i nostri superiori se ne sono usciti con un "ultimatum" da mettere in bocca a Stacy: "Hai un anno per fare il botto come rapper, se non ce la fai me ne vado e porto nostra figlia con me."

Quando avevamo rivisto il copione, Stacy aveva approvato tutte le scene tranne questa; per ironia della sorte pensava che fosse troppo "realistica". Ma Sophia non avrebbe preso un "troppo realistica" come risposta.

"Jonathan, parlaci tu. Penso che sentire una voce diversa al telefono potrebbe servirle. "

Sophia non era davvero crudele. In realtà era gentile, generosa ed empatica. Ma l'empatia—paradossalmente—è proprio quello che l'ha resa la manipolatrice numero uno e quindi la migliore nel suo campo. Anch'io sono molto empatico, cosa che mi aveva reso presto il confidente preferito di tutto il cast. Nonostante questo, io e Sophia eravamo molto diversi: lei era una showrunner scafata e pronta a venire incontro alle richieste lavorative; io ero un associate producer di primo pelo non ancora pronto alla disfatta etica dei programmi tv. Ma avevo un nuovo lavoro e non avevo tempo di fermarmi a riflettere sulla morale.

Dopo un'ora al telefono ero riuscito a far approvare la scena a Stacy. La felicità per essere riuscito nel mio intento durò solo finché non arrivò il senso di colpa. Con Stacy "in pezzi" eravamo finalmente pronti per girare.

Pubblicità

GIORNO 1

I capelli erano importantissimi per queste donne, così girammo la prima scena in un luogo a loro familiare: il parrucchiere. I "personaggi" di un reality sono spesso ridotti a una loro caratteristica specifica, e il nostro obiettivo era di semplificare l'identità delle nostre tre star. Stacy doveva essere la simpaticona, la Carrie Bradshaw della tamarraggine. Monica quella che si autodefiniva una "troia" e che portava pellicce e gioielli perché "non c'è niente di meglio di essere calde e scintillanti." Infine c'era Elena, quella il cui deficit di intelligenza partoriva battute agghiaccianti.

"Lo sapevate che il succo d'ananas può farti prendere l'AIDS?" aveva detto Elena quel giorno con un tremito di paura. "Ho addirittura smesso di bere vodka&ananas."

A parte l'ignoranza di Elena quanto ai benefici dei frutti tropicali e al sistema immunitario, la scena del parrucchiere era stata in discesa. Potevamo passare allo step successivo: la scena in cui le protagoniste avrebbero dovuto litigare con i loro fidanzati rapper.

"Abbiamo la puntata" è quello che si dice per festeggiare la riuscita di una scena turbolenta, che può funzionare da fulcro della puntata. Quella sera, mentre guardavamo il cast farsi le moine nel loro bar preferito, era chiaro che la puntata non ce l'avevamo.

"Portami Monica," sibilò Sophia nella trasmittente.

Avevamo interrotto le riprese per prendere da parte Monica e farle un discorso di incoraggiamento. Avevamo bisogno che Monica gettasse merda sul gruppo dei rapper bianchi, dicesse loro che avrebbero fallito. Monica si tirava indietro, diceva che non lo pensava nemmeno. Ma Sophia si limitò a sorridere. Gli amici di Monica avrebbero sicuramente capito che era solo un piccolo siparietto fatto apposta per la tv.

Pubblicità

Mentre tutto il cast continuava a trangugiare drink, Monica aveva lanciato il suo attacco: "Sono passati dieci anni, e non avete concluso niente. Piantatela, siete dei perdenti."

Si scatenò un inferno alcolico. I ragazzi berciavano contro Monica, incoraggiando così Stacy ed Elena a mettersi in mezzo. Mark spinse Monica contro il vecchio juke box. Guardai i nostri responsabili della sicurezza; di sicuro avrebbero fatto qualcosa. Invece il litigio continuò fino in strada e le telecamere lo seguirono. Monica continuava a piangere mentre Mark le urlava insulti in faccia, dove il mascara si era sciolto in una maschera nera. Alla fine, Monica spinse Stacy quasi sotto un autobus.

"Non volevo dirlo! Sophia mi ha detto di farlo! L'ho detto solo per la tv!" urlava Monica a Mark che se ne andava.

Ma Mark aveva continuato a camminare. Non gli importava chi avesse detto cosa a chi. Quello che importava era che quella era la verità: il gruppo era destinato al fallimento. Sophia conosceva nei minimi dettagli il cast e sapeva come scatenare un putiferio. Avevamo ottenuto quello che volevamo. La rissa sarebbe stata inserita nell'edit finale—esclusa la parte in cui Monica incolpava Sophia.

Avevo iniziato a odiare ogni singola cosa di questo circo a basso budget. Ma, guardando i miei colleghi in faccia, mi resi conto che non ero il solo. I reality sono un posto dove la gente lavora per arrivare a fare altro. E in questo senso avevamo molto in comune con il cast: tutti lavoravamo sulle sabbie mobili, sperando di essere tra quelli che ce la fanno. Sono pochi, ma io in quel momento giurai a me stesso che ce l'avrei fatta.

Pubblicità

Mentre Monica singhiozzava seduta sui gradini del bar, il regista mi si rivolse con un sorriso stanco. "Abbiamo la puntata."

SECONDO GIORNO

L'appartamento di Stacy era minuscolo. Ci vivevano lei, il marito, la figlia di due anni e un cagnetto indemoniato che aveva ringhiato senza sosta dal momento in cui la troupe era entrata in casa. Quella mattina Stacy, di solito molto aperta e disinibita, era rimasta silenziosa—sembrava imbarazzata che fossimo a casa sua. L'appartamento era uno specchio delle dinamiche famigliari: Stacy lavorava incessantemente per finanziare la carriera da rapper del marito, e lo squallore dell'appartamento trasmetteva le ristrettezze economiche dei due.

"Sono stufa di finanziarti. Hai un altro anno per diventare un rapper, poi ti lascio e porto nostra figlia con me."

Il nostro regista aveva costretto Stacy a ripetere esattamente queste parole in ogni take. Poiché questa scena era cruciale per stabilire la "posta" a cui si erano riferiti dal canale tv, avevano costretto la coppia a ripeterla più e più volte. In un primo momento, Stacy e Mark erano contenti di stare davanti alle telecamere—di buon umore, scherzavano tra una ripresa e l'altra. Ma, alla seconda estenuante ora di riprese, l'atmosfera era cambiata. Stacy e Mark non avevo più bisogno di fingere. Stavano litigando, dopotutto, sui problemi reali del loro rapporto e finirono per infuriarsi davvero. Più si arrabbiavano, più noi li fomentavamo. Quello che noi avevamo immaginato stava diventando più reale del reale.

Pubblicità

"Allora pensi che abbiamo buone possibilità per girare l'intera serie?"

Fu questa la domanda che una Stacy dagli occhi lucidi con la figlia in grembo mi pose quella sera mentre smontavamo. Sotto tutta quella lacca e l'abbronzatura spray, era sveglia. Sapeva che il reality poteva essere una via d'uscita da quella casa opprimente e dalla sua misera esistenza. Avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche se avesse significato sfruttare i momenti più dolorosi della sua vita. Non la biasimavo; semplicemente speravo per lei che trovasse un'alternativa migliore.

"Penso che abbiamo un buon girato," dissi. Anche se segretamente speravo, per il suo bene, che non fosse vero.

GIORNO 3

Il nostro ultimo giorno di riprese era iniziato con un viaggio verso il palaghiaccio, dove le tre protagoniste eseguirono una coreografia che Monica aveva preparato per un evento di beneficenza. Elena aveva disegnato i costumi: body arcobaleno con ali da farfalla che svolazzavano vistosamente appena le pattinatrici si muovevano. Era un quadretto perfetto del trash e del loro talento. Perché le ragazze avevano sì del talento, ma non abbastanza.

Dopo la coreografia, ci eravamo spostati in una sala concerti che la produzione aveva affittato per la scena finale. Sul palco i loro fidanzati rapper avrebbero ricordato alle pattinatrici perché li amavano. Grazie ad alcune comparse e a buone inquadrature, creammo l'illusione della folla. Per quanto riguarda il valore del gruppo musicale, era come se Eminem e i Beastie Boys avessero fatto un'orgia, dando però vita a un figlio molto poco talentuoso.

Pubblicità

Mentre guardavo le tre ragazze in prima fila, mi si accese la lampadina: tutto il cast viveva come nel procinto di vedere avverato il proprio sogno. Erano tutti convinti che lo spettacolo li avrebbe aiutati a raggiungere "il successo" nel loro giro. Ma in realtà, tutto quello che lo show avrebbe potuto fare per loro era creare una falsa immagine di successo, un po' come quando vai a una festa e fai il grosso per andare a letto con una ragazza. Non avrebbero visto un sogno diventare realtà, ma avrebbero vissuto una proiezione del sogno. Certo, c'era una minuscola possibilità che il cast diventasse famoso come quello di Jersey Shore. Ma anche in quel caso non sarebbe certo stato merito della loro bravura nel rap o nel pattinaggio—ma piuttosto nel bere e litigare.

Tuttavia, il cast non avrebbe mai sperimentato questo dubbio successo perché la rete alla fine cassò la pilota. Dentro di me ne ero entusiasta, ed ero felicissimo di potermi licenziare dal mio lavoro di merda.

Durante la mia ultima settimana in ufficio, Stacy era passata a salutarci. Sophia voleva evitarla, e mi aveva affibbiato il compito di intrattenerla. Ma scoprii che finalmente le cose giravano bene per lei. Mark aveva trovato un impiego come vigile del fuoco, e così avevano potuto cambiare casa. Ora Stacy poteva lavorare meno e stare di più con sua figlia. Sembrava equilibrata, addirittura felice.

Dopo avermi detto le ultime novità, Stacy mi aveva rivelato la vera ragione della sua visita: "Pensi che ci sia ancora qualche possibilità che lo show vada in onda?"

"No, mi dispiace."

Mi ringraziò e la accompagnai all'ascensore. Mentre le porte si chiudevano, Stacy sospirò. Non posso dirlo con certezza, ma mi piace pensare che fosse un sospiro di sollievo. Alla fine, anche se non aveva realizzato il suo sogno americano, almeno aveva evitato di cadere nell'incubo americano.

*I nomi sono stati cambiati.

Segui la nuova pagina Facebook di VICE Italia: