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Come le maratone di Mentana sono diventate il nostro late show

Con Enrico Mentana e la sua corte di inviati, sondaggisti e ospiti, per assistere ancora una volta a una #maratonamentana, l'unico vero late night show della televisione italiana.
Vincenzo Ligresti
Milan, IT

Come molti, negli ultimi anni ho sviluppato una sorta di feticismo nei confronti della figura di Enrico Mentana. La controprova di questa passione che accomuna il mio sentire a quello di parte dell'opinione pubblica italiana si manifesta soprattutto quando, insieme alle elezioni di turno o a qualche evento catastrofico, la sua #maratonamentana entra tra i treding topic su Twitter e lì rimane fino a notte fonda—come successo recentemente.

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Enrico Mentana fa televisione da prima che io nascessi, ma la sua epopea moderna ha effettivamente inizio nel 2010, quando il suo passaggio da Mediaset—dove è stato direttore del TG5 per 12 anni—a La7 ha illuminato i più ricordando loro che la televisione comprendeva anche un settimo canale.

Da quel momento in poi, l'edizione del notiziario delle 20 si è trasformata in un telegiornale di tipo soggettivo-esplicativo, in cui il direttore in persona spiega cosa è successo prima che partano servizi pieni di coperture di repertorio di Montecitorio e immagini di palazzi random che ormai gli affezionati telespettatori conoscono a memoria.

Pur con i cambiamenti che si sono avvicendati in casa Cairo negli ultimi anni—per esempio, lo stock di immagini di repertorio sembra essere sempre più fornito—la figura di Mentana resta in ogni caso il magnete più grosso per attirare pubblico, share e personaggi: se da un lato è grazie al suo potere di risonanza che è riuscito ad attrarre nella sua orbita conduttori e talk show, dall'altro è sorto a rappresentare una figura onnipresente in senso fisico e spirituale nel palinsesto della rete.

Su un piano personale, comunque, credo che l'affezione a Mentana sia dovuta principalmente a tre motivi. Il primo è che nel tempo si è guadagnato la possibilità di dire ciò che vuole—solo per citare alcuni episodi, sul canone in bolletta o sul mancato rinnovo del contratto di Nicola Porro in Rai—e che per estensione lo permetta anche alla sua squadra. Mi viene in mente quando, nella sua tipica posizione con le mani equidistanti e ben piantate sul tavolo in studio, Gaia Tortora chiese gentilmente a Berlusconi di non paragonarsi a suo padre. Sono momenti che negli altri telegiornali non si vedono.

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Il secondo motivo è che non ti tratta come un ritardato. Pur imboccandoti le notizie—o spiegando nelle recenti "lettere al direttore" perché la cronaca il più delle volte è inutile—ti illustra effettivamente come si sono svolti i fatti, non nascondendo nemmeno il suo personale punto di di vista. A tal proposito, chiederei però al direttore di ridurre metafore e parallelismi calcistici nelle sue spiegazioni, visto che alcuni spettatori (tipo me) non li capiscono molto bene.

Infine, il terzo motivo è che—nonostante improvvise sparizioni di voci o cali di tensione—Mentana riesce a mandare avanti le sue maratone anche quando non c'è proprio più nulla da dire. Come nel caso della diretta sull'alluvione di Genova, in cui tutti gli aspetti logistici e meteorologici erano stati parafrasati almeno in trilioni di modi diversi; o nel caso delle primarie degli Stati Uniti, in cui a notte inoltrata il direttore continuava ad avere un sacco di cose da dire su stati che non contavano niente per il computo delle votazioni mentre metà dei suoi ospiti aveva già mollato e sperava solo di essere mandata a casa.

Comunque, la consapevolezza della sua componente istrionica è arrivata solo negli ultimi tempi. C'è stato un tempo in cui il direttore sbuffava quando c'erano problemi alla regia o coi collegamenti; ma, una volta che ha capito le potenzialità mediatiche degli inconvenienti tecnici, ha iniziato a scherzarci sopra e a introdurre altri momenti di intrattenimento in uno schema solitamente rigido e serioso com'è quello dei telegiornali italiani. Non solo: li ha capitalizzati in momenti di puro infotainment, come te li aspetteresti da un David Letterman o un John Oliver.

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La sua definitiva consacrazione come "personaggio" è arrivata nel 2015, quando Daria Bignardi ha invitato alle Invasioni Barbariche gli inviati di punta del telegiornale di Mentana—Alessandra Sardoni e Paolo Celata—per parlare dei difetti del direttore, come si parla dei difetti di un personaggio dello spettacolo che tutti conoscono. Perché, ammettiamolo, del giornalista al grande pubblico non importa quasi più. Uno dei primi punti di forza delle maratone di Mentana, infatti, rimane il suo rapporto con gli inviati, ormai palesemente complici del direttore e al contempo idoli delle masse—come testimoniato dai tweet di attesa di ieri.

Un momento apicale, per esempio, è stato quando nel ballottaggio delle amministrative di giugno 2016 Mentana ha chiesto ironicamente a Celata di intervistare uno dei supporter dei Cinque Stelle, tanto "uno vale uno"; oppure quando, qualche tempo prima, l'inviata Sardoni ha quasi rischiato di intervistare lo scooter di Giachetti, di cui peraltro non conosceva il modello.

Un altro dei motivi per cui, al di là degli effettivi contenuti, le maratone hanno un forte impatto sui telespettatori è che l'atmosfera in studio sembra quella di una festicciola tra amici, che a tratti si dimenticano di essere in diretta e iniziano a discettare di argomenti incomprensibili. Dal canto suo, Mentana presenta i suoi ospiti con una verve sguaiata, come quando alle amministrative ha annunciato l'arrivo di Marcello Sorgi de La Stampa paragonandolo a Wanda Osiris proprio come faresti tu telespettatore—forse con un paragone più attuale—con un amico in ritardo per vedere la maratona.

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Anche se in quell'occasione tra gli ospiti spiccava più la politologa Sofia Ventura in quanto unica donna in studio, parte integrante di questo sistema è ormai Marco Damilano, il giornalista dell'Espresso a cui hanno evidentemente sistemato una brandina accanto allo studio.

L'ultima, imprescindibile presenza fissa poi è Fabrizio Masia, il sondaggista di solito relegato sulle note di chiusura del Tg del lunedì, ma che durante le maratone diventa il braccio destro e il bersaglio preferito del direttore. Al di là del fatto che ai ballottaggi di cui sopra abbia beccato gli exit poll in maniera chirurgica—e che Mentana abbia voluto sottolineare la sua precisione più volte, chiedendogli anche il segreto dei suoi calcoli—per la prima volta non mi è sembrato un manichino in abito gessato. Alla domanda di Mentana, "Sbaglio o intravedo un pigiamino, questo è il suo ultimo intervento Masia?" ha risposto prontamente, "Pensavo di abbandonare, ma se c'è ancora bisogno di me resto ancora qui una decina di ore."

Insomma: riuscendo a rompere la gabbia dei talk show all'italiana in cui tutti danno contro a tutti e comunque il telespettatore non capisce di cosa si sta parlando se si azzarda a perdersi i primi cinque minuti, Mentana è riuscito a creare una specie di late night show che tratta tematiche indubbiamente serie, ma che al contempo è anche un fenomeno di costume e aggregativo—una circostanza testimoniata dal seguito di maratone alcoliche, meme, tweet, e commenti inviati su Whatsapp. Non vedo l'ora che arrivi la prossima maratona.

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