Politică

I sovranisti europei dicono di essere per il 'popolo', ma poi fanno gli interessi delle 'élite'

Lo sostiene l'ong Corporate Europe, che ha analizzato il comportamento di 12 partiti di destra dentro e fuori l'Europarlamento.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
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Matteo Salvini, Marine Le Pen e altri leader europei di destra prima della manifestazione a Milano del 18 maggio 2019. Foto via Facebook

Lo scorso sabato, davanti a folle (non troppo oceaniche) di sostenitori, Salvini ha cercato di presentare in piazza Duomo a Milano il volto rispettabile della cosiddetta “internazionale sovranista”—ossia l’alleanza tra partiti di destra per queste elezioni europee.

Dal palco, il ministro dell’interno ha celebrato una “piazza del sorriso e della speranza,” aggiungendo che “qui non ci sono razzisti e fascisti”; gli estremisti, infatti, “sono quelli che hanno rovinato l’Europa per vent’anni nel nome della povertà e della precarietà.” La sfida, secondo lui, è ardua ma fattibile: “È vero che siamo Davide contro Golia, ma la storia insegna che a volte i piccoli motivati sconfiggono i poteri forti.”

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Discorsi dello stesso tenore sono arrivati dalle dieci delegazioni presenti sul palco, tra cui spiccavano Marine Le Pen del Rassemblement National, Jörg Meuthen di AfD e Geert Wilders del Pvv. Il “momento storico”—almeno secondo Le Pen—è stato tuttavia incrinato dalle notizie che riguardavano Heinz-Christian Strache, vicecancelliere austriaco e leader del Partito della Libertà (Fpö) alleato con la Lega.

Il 17 maggio i giornali tedeschi Der Spiegel e Sueddeutsche Zeitung hanno pubblicato un video—girato nel 2017 con una telecamera nascosta—in cui il politico e un suo assistente partecipano ad un incontro a Ibiza con la sedicente nipote di un oligarca russo vicino a Vladimir Putin, Aliona Makarova.

Nella clip, quest’ultima offre di investire circa 250 milioni di euro per acquisire quote della stampa austriaca—in particolare il 50 percento di Kronen Zeitung—e renderla simile al panorama mediatico ungherese; in cambio Strache promette l’assegnazione di appalti pubblici per lavori stradali. Si parla anche di versare fondi attraverso circoli e associazioni, in modo da aggirare i controlli della Corte dei conti e le leggi austriache sul finanziamento ai partiti.

Nulla di tutto ciò si è mai concretizzato, anche perché l’operazione era un tranello; ma lo scandalo è stato comunque enorme, spingendo il cancelliere Sebastian Kurz del Partito Popolare Austriaco a rompere coalizione di governo e portando lo stesso Strache alle dimissioni.

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Come puntualizza il giornalista tedesco Udo Gumpel, non è tanto una questione di “soldi russi”—i legami tra Fpö e Russia Unita, il partito di Putin, non sono certo una novità. A fare scalpore, piuttosto, sono stati il progetto autoritario che aveva in mente Strache e la doppia morale che emerge dal video: quella di essere a parole difensori del “popolo” contro stranieri e “poteri forti,” quando invece le azioni concrete sono lontanissime da quella retorica.

Ma in questo va detto che Strache, pur incarnando uno degli esempi più estremi, è tutt’altro che solo. Giusto la settimana scorsa, l’ong Corporate Europe ha pubblicato un lungo rapporto che mostra come questo tipo di comportamento sia ampiamente diffuso in almeno dodici partiti europei della destra populista, molti dei quali alleati con la Lega.

“Tra leggi repressive e finanziamenti opachi; casi di corruzione e arricchimenti personali; deregulation sfrenata e incoraggiamento dell’evasione fiscale,” si legge nell’introduzione, “una delle principali caratteristiche di questi partiti in ascesa è la difesa degli interessi delle ‘élite’ mascherata da difesa delle classe popolari.”

Di esempi in tal senso ce ne sono parecchi. Guardando in casa nostra, la storia recente della Lega è costellata di scandali di ogni tipo che cozzano non poco con la propaganda salviniana di purezza e strenua protezione degli interessi nazionali: a parte i 49 milioni di euro di rimborsi elettorali truffati allo stato, ci sono la struttura parallela finanziaria del partito, i paradisi fiscali, i finanziamenti di grossi imprenditori, la vicinanza a banchieri, le trattative con i russi, e molto altro ancora.

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Esaminando altri partiti, il rapporto dimostra che questi sono ben lontani dal rigettare il famigerato “establishment”; al contrario, ci hanno molto a che fare per ottenere fondi e finanziamenti personali e di gruppo.

Una recente inchiesta di Channel 4 ha scoperto che Nigel Farage—ex leader dello UKIP, ora candidato alle europee con il Brexit Party—ha ricevuto in un solo anno 450mila sterline da Aaron Banks, imprenditore e cofondatore della campagna Leave.EU. È da notare che Farage, poco tempo fa, sosteneva che “in politica non si fanno soldi.”

Nella sua analisi, Corporate Europe menziona anche i “milioni di finanziamenti opachi che piovono nelle casse di AfD”; il supporto milionario di un “gruppo d’odio” americano agli olandesi del Pvv; i rapporti strettissimi tra gli ungheresi di Fidesz, il partito di Orbán, e le multinazionali; e i famigerati nove milioni di euro che i russi hanno prestato all’ex Front National.

Anche la gestione a dir poco allegra dei fondi (europei e non) è una costante comune. Proprio ieri, la Corte di giustizia dell’UE ha confermato che Marine Le Pen deve restituire 300mila euro per l’utilizzo irregolare dei rimborsi quando era europarlamentare.

Un’altra contraddizione rilevata dal rapporto riguarda l’atteggiamento nei confronti della corruzione: se la retorica è convintamente anti-corruzione, la realtà è parecchio diversa. Sotto il regime di Orbán, scrive Corporate Europe, l’Ungheria ha visto un’impennata di casi di corruzione; in Repubblica Ceca, il premier Andrej Babiš di ANO è accusato di aver ottenuto irregolarmente fondi europei; in Polonia, alcuni ministri del partito di governo Diritto e Giustizia sono stati travolti da uno scandalo legato a bonus sproporzionati; e così via.

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Anche il comportamento di voto nell’Europarlamento, rileva Corporate Europe, è in netto contrasto con la sbandierata guerra ai “poteri forti”—cioè a banche e grosse imprese. Nessuno dei partiti esaminati, infatti, “ha supportato l’introduzione dell’aliquota unica al 25 percento per le imprese”; e quasi tutti “si sono opposti, o astenuti, alla creazione di un’autorità europea indipendente anti-evasione fiscale.”

I casi di Alternative für Deutschland, Diritto e Giustizia e UKIP—partiti che promettono di prendersi cura dell’“uomo comune” e dei “lavoratori”—sono altrettanto eloquenti. Tra le varie cose, dice il rapporto, questi partiti hanno sistematicamente votato contro le norme per ridurre la disparità di genere nei salari, per tassare i profitti aziendali paese per paese, per migliorare le condizioni di sicurezza e salute nei posti di lavoro, e per eliminare i sussidi ai combustibili fossili.

L’unica coerenza mostrata da queste forze politiche è sull’ambiente: nel senso che se ne fregano altamente dell’emergenza climatica, e non se ne occupano proprio. Del resto, proprio l’altro giorno Matteo Salvini ha detto durante un comizio che “da quando hanno lanciato l’allarme del riscaldamento globale fa freddo, c’è la nebbia. Lo sto aspettando questo riscaldamento globale.”

Visto che queste elezioni europee possono rappresentare uno snodo decisivo per il futuro dell’Unione —anche se in Italia non ce le stiamo filando un granché—per Corporate Europe è fondamentale puntare la lente di ingrandimento sui partiti della destra populista e “sovranista.” E soprattutto è cruciale smascherare l’ipocrisia di chi pretende di lottare per il “popolo,” mentre in realtà sta solo facendo gli interessi delle tanto vituperate “élite.”

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