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Siamo davvero tutti in guerra con lo Stato Islamico?

La Francia sta cercando degli alleati contro IS, ma non è chiaro cosa significhi esattamente dichiarare guerra a uno "stato" che non è uno stato, e chi vorrà parteciparvi.

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Dodici giorni dopo gli attacchi, Parigi può di nuovo respirare. I segni della trasformazione della capitale francese in una zona di guerra - i corpi coperti dai lenzuoli bianchi, le strade insanguinate, i raid notturni, i coprifuoco, gli AK-47 nascosti in periferia, le evacuazioni dei monumenti più famosi e l'invito dei tassisti parigini ad "avere coraggio!" - stanno scomparendo.

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Ma intorno al Palazzo dell'Eliseo, la residenza ufficiale del Presidente francese, si parla ancora molto di guerra, una parola che ha fatto la sua comparsa nel dibattito pubblico il giorno stesso degli attacchi.

In un discorso davanti alle camere riunite poco dopo gli attacchi coordinati del 13 novembre, il presidente François Hollande ha dichiarato che il paese è "in guerra," e ha giurato che sarà "spietato" contro lo Stato Islamico.

Dopo aver decretato lo stato di emergenza a livello nazionale, Hollande ha promesso di riformare la costituzione francese, in modo da permettere al governo poteri maggiori per combattere il terrorismo e per indirizzare l'economia francese verso uno stato di guerra, privilegiando le spese militari a breve termine rispetto alle regole di bilancio dell'Unione Europea.

Il 18 novembre, ha inviato la portaerei Charles de Gaulle nel Mediterraneo orientale, dove starebbe compiendo raid aerei contro lo Stato Islamico.

Hollande, noto in patria come "marshmallow" per i suoi modi docili e un po' malfermi, ha anche adottato un vocabolario prettamente bellico.

Nei giorni successivi agli attacchi, gli ufficiali francesi hanno preso spunto dalle sue parole—immaginando "una grande coalizione" di potenze occidentali che potrebbe sconfiggere "in maniera decisa" gli insorti di IS. La Francia deve "galvanizzare tutta la comunità internazionale per annientare il nostro nemico comune," ha detto François Delattre, l'ambasciatore francese alle Nazioni Unite.

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Martedì Hollande si è recato a Washington per continuare la sua offensiva diplomatica. Alcune ore dopo aver parlato con Barack Obama, ha indirizzato il suo aereo verso Mosca per proseguire la sua missione con Vladimir Putin. Lunedì Hollande aveva incontrato il Primo Ministro britannico David Cameron, che ha detto che avrebbe fatto pressione sul suo Parlamento per approvare un'azione militare in Siria.

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Ma allora siamo tutti in guerra? Contro chi? Da che parte, a che fine, e con quali basi legali?

Gli attacchi di Parigi hanno già ispirato un dibattito riguardo alla disponibilità degli alleati della Francia a essere trascinati in una campagna globale contro IS—e come una coalizione internazionale non proprio unita possa fare una "guerra" in maniera coordinata contro un nemico che non è uno stato e che fa affidamento su strategie militari anomale e assalti asimmetrici che sono difficili da anticipare.

Politici e giuristi di diverso stampo politico hanno sostenuto che il precedente rappresentato dagli attacchi di Parigi renderebbe più semplice intraprendere legalmente una guerra contro IS. La fattibilità di una guerra è invece un tema molto dibattuto—soprattutto perché i paesi occidentali sono restii a inviare le truppe sul campo in Siria.

Tuttavia, le teorie dei diversi esperti sulle strade che porteranno alla guerra sono divergenti. Secondo alcuni la NATO userà gli attacchi di Parigi per invocare l'Articolo 5 del Trattato di Washington del 1949, dando inizio a una campagna militare collettiva.

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Altri invece ritengono che alcuni stati membri della NATO come la Francia e gli Stati Uniti stanno già attuando un loro assalto graduale contro IS—e sostengono che gli attacchi di Parigi renderanno questi attacchi leggermente meno problematici dal punto di vista legale.

Alcuni giuristi hanno criticato Obama per non essere riuscito a ottenere il sostegno del Congresso per i raid che sta conducendo in Siria, nonostante il governo americano insista che le azioni sono giustificate alla più ampia Autorizzazione per l'Uso della Forza Militare del 2001, approvata dopo gli attentati dell'11 settembre. In Gran Bretagna, il David Cameron ha promesso il suo sostegno alla Francia e sta spingendo per iniziare i bombardamenti in Siria—sebbene debba ancora ottenere l'approvazione del Parlamento.

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Ad oggi la Francia non ha chiesto alla NATO di organizzare una risposta di tutta l'alleanza, al contrario di quanto molti pensavano sarebbe successo subito dopo gli attentati.

Questo procedimento inizierebbe con la richiesta di Parigi di lanciare una "consultazione" secondo l'Articolo 4 del Trattato di Washington. L'ultima consultazione di questo genere è avvenuta a luglio su richiesta della Turchia a seguito degli attacchi di IS nel paese.

Durante la consultazione i delegati NATO dovrebbero determinare se gli attacchi di Parigi soddisfano i criteri di un'altra parte del Trattato, l'Articolo 5, secondo il quale "un attacco contro un alleato è considerato un attacco contro tutti gli alleati." Se fosse invocato l'Articolo 5, la NATO potrebbe guidare una "difesa collettiva" costituita da truppe fino a 3 milioni di soldati e da 25.000 aerei militari — sostenuti da 28 paesi che costituiscono insieme più di metà del PIL globale.

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L'ex Segretario Generale della NATO Anders Fogh Rasmussen ha già dichiarato che "gli attacchi di Parigi hanno i requisiti per l'invocazione dell'Articolo 5." L'ammiraglio James Stavridis, ex Comandante Supremo Alleato della NATO, ha fatto un tour dei diversi organi di stampa americani e ha dichiarato che la Francia potrebbe, e dovrebbe, invocare una guerra totale da parte della NATO.

"C'è un tempo per il soft power e per applicare una strategia di lungo termine," ha scritto Stavridis su Foreign Policy, "ma c'è anche un tempo per l'uso della forza."

L'Articolo 5, tuttavia, non è la soluzione di tutto. La sua formulazione richiede agli stati membri di "assistere la parte o le parti così attaccate, intraprendendo immediatamente… l'azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l'impiego della forza armata."

Ma quel "necessaria" non è ben definito—e non richiede necessariamente la forza militare. Potrebbe includere, ad esempio, la condivisione delle informazioni di intelligence, o la cooperazione delle forze dell'ordine dell'Unione Europea in maniera transnazionale, e non l'invio di truppe a Raqqa, la capitale di fatto del cosiddetto Stato Islamico.

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L'Articolo 5 è stato invocato solo una volta nella storia, dopo gli attacchi terroristici dell 11 settembre 2001. La richiesta ha rappresentato un marcato allontanamento dalle intenzioni dell'articolo così come era stato concepito mezzo secolo prima.

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Nel 1949 i membri della NATO avevano in mente i sovietici. I proponenti ritenevano che l'Articolo 5 sarebbe stato invocato a causa di un'attacco lampo dell'Unione Sovietica contro l'Europa, e che gli Stati Uniti sarebbero stati chiamati a risolvere la questione.

Invece nel 2001 sono stati gli americani a chiedere il sostengo degli alleati europei. Ed è stato creato un precedente: gli "attacchi armati" legittimati dall'Articolo 5 devono essere certamente compiuti da nemici stranieri—ma quei nemici potevano anche essere entità non-statali o attori irregolari.

Dopo gli attentati di Parigi, alcuni esperti hanno sostenuto che c'è bisogno di una modifica dell'Articolo 5 per rispecchiare la realtà della sicurezza post-guerra fredda. Già dall'11 settembre la NATO ha iniziato a delineare nuove strutture di comando, ha diretto operazioni fuori dal territorio degli alleati e ha sviluppato nuove capacità anti-terrorismo.

"Se la NATO vuole salvaguardare il suo ruolo, deve fare qualcosa," ha detto però Sebastian Gorka dell'Atlantic Council's Strategic Advisers Group. "Probabilmente deve scrivere un nuovo concetto strategico che includa le minacce non-convenzionali e la guerra irregolare come parte delle caratteristiche convenzionali delle future missioni NATO."

Quelle minacce non-convenzionali potrebbero includere le operazioni informatiche, le azioni di terroristi lupi solitari, minacce alle infrastrutture, e la guerra di informazioni—sfide non adeguate per le famose forze della NATO e per le quali è difficile ideare una risposta proporzionata.

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Infatti, nonostante il parlare bellicoso, la Francia e i suoi alleati preferiscono che la NATO non si metta alla guida della lotto contro IS. Una vaga coalizione di stati sta già colpendo gli insorti in Siria, ed è effettivamente già in guerra. La Francia ha iniziato a bombardare i bersagli di IS in Siria a settembre.

Il coinvolgimento della NATO richiederebbe un livello di consenso molto alto tra gli stati membri, e questo potrebbe rallentare molto le cose. Quasi certamente complicherà le relazioni con la Russia, che in Siria ha degli obiettivi diversi—e che questa settimana è impegnata a condannare la Turchia dopo l'abbattimento di un aereo da guerra russo da parte delle forze turche.

Lo storico Stanley Sloan ritiene che la Francia "vorrà continuare a proteggere la sua sovranità nazionale" e non vorrebbe cedere alcun controllo al Comandante Supremo Alleato della NATO (che è americano). Hollande potrebbe anche ritenere politicamente scomodo cedere la sua autorità militare, considerando quanto sia pronto a sostenere le sue credenziali militari prima delle elezioni regionali di dicembre.

Storicamente la Francia non ha degli ottimi rapporti con la NATO: è uscita dall'alleanza militare nel 1966, per farvi ritorno solo nel 2009.

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Nel frattempo, la Francia ha compiuto qualche piccolo passo nel pianificare una risposta congiunta da parte degli Stati membri dell'Unione Europea. Il 16 novembre Hollande ha richiesto, facendo eco a un'invocazione unanime, la poco conosciuta clausola 42.7 del Trattato di Lisbona, che afferma: "Se uno stato membro è vittima di un'aggressione armata sul suo territorio, gli altri stati membri hanno un obbligo di aiuto e assistenza [verso di esso] con tutti i mezzi a loro disposizione."

Questa clausola di mutuo aiuto fu inserita dopo gli attacchi terroristici di Madrid del 2004, ma non è mai stata usata. Alcuni funzionari dell'Unione Europea hanno addirittura ammesso di non ne averne mai sentito parlare, prima che fosse menzionata dallo stesso Hollande.

La clausola 42.7 potrebbe spingere gli stati membri dell'UE a implementare nuove misure anti-terrorismo. Potrebbe anche portarli a dover assistere militarmente la Francia all'estero—ad esempio fornendo uomini nel Sahel, nella Repubblica Centroafricana o in Libano, dando così alla Francia la possibilità di concentrare le proprie risorse nella lotta contro lo Stato Islamico. "La Francia non può fare tutto," si è lamentato settimana scorsa il Ministero francese della Difesa Jean-Yves Le Drian.

La scelta francese di appellarsi all'Unione Europea anziché alla NATO viene percepita come meno bellicosa, in parte perché l'UE non è un'alleanza militare. La clausola 42.7 può anche essere implementata più velocemente, dal momento che si basa su accordi tra stato e stato e non su procedure formali che coinvolgono l'intera Unione.

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Federica Mogherini, l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha spiegato che diversi stati membri "hanno già annunciato contributi o supporto attraverso assistenza materiale, anche per migliorare il supporto in altri scenari."

Ma come avviene con l'Articolo 5 della NATO, la possibilità di "aiuto e assistenza" prevista dal Trattato di Lisbona non significa necessariamente l'invio di truppe. Il Ministro degli Esteri della Repubblica Ceca ha già detto che non si "aspetta nessun contributo finché la questione riguarda la Francia, perché si tratta di un paese potente e grande che dispone dei suoi mezzi."

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Alcuni esperti hanno bollato qualsiasi tipo di intervento militare unificato contro lo Stato Islamico come 'improbabile'—e detto che, più probabilmente, le singole nazioni cercheranno di giustificare individualmente le loro "guerra" personale in Siria.

Questo processo potrebbe trovare un apporto concreto da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, approvata venerdì scorso, che sprona gli stati a "prendere tutte le misure necessarie" per distruggere IS e i suoi "porti franchi" in Iraq e Siria. La risoluzione conferma che lo Stato Islamico è una minaccia terroristica in atto.

Nella Risoluzione 2249 non c'era nessun riferimento al Capitolo 7 della Carta delle Nazioni Unite, che solitamente autorizza le azioni militari, forse perché la Russia (e/o la Cina), che hanno potere di veto nel Consiglio di Sicurezza, sono contrarie. Il vero spirito della risoluzione, così come gli scenari che essa apre, rimangono vaghi.

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Mancando il riferimento al Capitolo 7 delle Nazioni Unite, gli stati-nazione hanno ancora bisogno di affermare le proprie motivazioni 'individuali' sul perché bombardano IS. Una di queste, per esempio, può essere l'autodifesa.

Si tratta, tuttavia, è un concetto molto discusso. Sia gli Stati Uniti che il Regno Unito hanno chiamato in causa l'autodifesa, pur non essendo mai stati attaccati dallo Stato Islamico nel proprio territorio.

Da una prospettiva legale, è un punto critico. "La legge internazionale non permette di utilizzare la forza come strumento di vendetta—cioè dire 'ci avete colpiti, ora vi colpiamo noi'," ha spiegato il professore Marc Weller, docente di legge internazionale alla Cambridge University. "Sarebbe possibile usare la forza solo nel caso in cui ci sia una prova concreta che un agente esterno stia per attuare un attacco armato, ma questa ipotesi deve essere confermata dal Consiglio di Sicurezza."

La risoluzione del Consiglio di Sicurezza non può legalizzare retroattivamente un attacco militare condotto illegalmente in precedenza.

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Ovviamente la questione è ancora solo un dibattito accademico. Una vera "guerra" contro IS richiederebbe quasi sicuramente l'utilizzo di truppe sul campo, e nessun paese NATO o UE ha in programma di inviare dei soldati.

Il 16 novembre, il Barack Obama ha affermato che sarebbe un "errore" lanciare un'operazione di terra su larga scala in Siria. I ricordi dei fallimenti in Afghanistan e in Iraq sono ancora freschi. "Non perché il nostro esercito non sarebbe in grado di entrare a Raqqa e sbarazzarsi temporaneamente di ISIL," ha detto, "ma perché assisteremmo alla ripetersi di quello che abbiamo già visto." Gli Stati Uniti hanno optato invece per il sostegno delle forze curde e per i raid aerei contro gli obiettivi in Siria.

Nel frattempo a Parigi alcuni hanno criticato il governo francese per la sua retorica belligerante.

Dopotutto, molti degli attentatori di Parigi erano cittadini francesi. E così, se la Francia dovesse andare in "guerra" contro IS, dovrebbe prepararsi anche per una battaglia civile.


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