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settimana della salute femminile

Se sei una donna e non vuoi avere figli, non sta agli altri decidere se puoi

Per una donna, il discorso sulla maternità ha spesso poco a che fare le sue aspirazioni o desideri, e molto con le aspettative della società.
Foto via Unsplash.

Questo post fa parte della nostra settimana della salute femminile, una serie di contenuti sulla salute delle donne e sull'importanza della libertà e l'autodeterminazione di ognuna nel governarla.

Quando si parla di maternità, ancora oggi, vale sicuramente un principio: per una donna, la scelta o la riflessione sul se e quando avere figli è influenzata da una serie di circostanze che hanno poco a che fare le sue aspirazioni o desideri, e molto con le aspettative della società.

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Sin da bambina—dalla prima bambola a cui dare la pappa o giochi tipo “mamma e figlia” (non so se nel vostro giro di cinquenni andava forte, nel mio sì)—inizi a percepire la maternità come una sorta di destino. Questo presentimento si fa più concreto crescendo: quando hai vent’anni tutti prevedono che un giorno vorrai dei figli; trent’anni è considerata l’età in cui sarebbe giusto iniziare a comportarsi da adulte (il che necessariamente ti condurrà nel breve periodo a sistemarti e avere dei bambini); nel giro di cinque-sei anni, specialmente se hai una relazione stabile, quest’aspettativa diventa sempre più pressante, tra domande indiscrete su “quando ti decidi di fare un figlio” e battute sull’orologio che ticchetta; se superi i quaranta senza prole e senza impedimenti evidenti alla procreazione, inizi a essere guardata con sospetto.

D’altra parte nel nostro paese è radicata l’equazione donne=madri, e dunque il problema della denatalità è tutto addossato sul sesso femminile: basta guardare i programmi politici sulla parità di genere (riassumibili perlopiù in “soldi alle giovani mamme” o a donne “in età fertile”), iniziative come il “dipartimento mamme” lanciato l’anno scorso dal Partito Democratico, o il Fertility Day del 2016—con tanto di cartoline con la clessidra e slogan che inneggiavano a una “Fertilità bene comune.” In un contesto del genere, in cui la maternità sembra ancora avvolta da un alone di sacralità e vista come un dono da onorare più che una scelta, chi ne è privato per natura vive sicuramente una vita monca, mentre chi decide di sottrarvisi deve per forza avere qualcosa che non va.

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Secondo i dati Istat riferiti al 2016, le donne tra i 18 e 49 anni che non sono diventate madri sono circa 5 milioni e mezzo, quasi la metà del totale in questa fascia d’età. Una donna su quattro supera i 40 senza avere figli—erano una su dieci 25 anni fa. Tra queste, in 2019mila (l’1,8 percento) hanno dichiarato che procreare non rientra nel proprio progetto di vita.

Quando si parla di donne che non fanno figli, solitamente si fa riferimento a motivazioni di sostenibilità economica. Come mi spiega Eleonora Cirant, autrice del libro Una su 5 non lo fa. Maternità e altre scelte, però, le ragioni sono anche di altro tipo. Ad esempio “la mancanza di desiderio di maternità o di interesse verso la cura dei bambini, un forte appagamento nella dimensione professionale, la mancanza di una relazione amorosa stabile. Sono altrettanti motivi che ricorrono nel determinare questa scelta,” e, anzi, “sono frequenti quanto la difficoltà economica (che nel nostro paese è comunque maggiore che in altri nel contesto europeo). Ma di queste motivazioni si parla meno perché in Italia è ancora forte il mito dell'istinto materno.”

Parlando con tre donne di età differenti, in effetti, per ognuna di loro la decisione di non diventare madre è stata legata ad aspetti molto personali.

Valeria, 45 anni, ad esempio, mi racconta di aver avuto per moltissimi anni un compagno: “Lui avrebbe voluto un figlio. Io ho tergiversato e mi sono tormentata per anni, aspettando e sperando che questo famigerato desiderio di maternità bussasse alla mia porta. Ma non lo ha fatto.” Nonostante i bambini le piacessero, non è mai riuscita a immaginarsi madre. “Continuavo a dirmi che dovevo farlo, perché altrimenti me ne sarei pentita, sarei rimasta sola,” aggiunge. Quella relazione poi è finita, e Valeria ha incontrato un altro uomo. “E lì la storia avrebbe potuto avere un finale già scritto: il compagno di prima non andava bene, ne ha conosciuto un altro, è rimasta subito incinta. E invece no. Forse avrebbe voluto o vorrebbe anche lui, ma io, nel frattempo, ho maturato la convinzione che per me è davvero meglio così.”

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Valentina compirà 33 anni tra qualche mese, e fino a questo momento non ha “mai avuto il desiderio di avere un figlio.” Mi dice che però la cosa non le ha mai creato problemi: “Sono molto sincera con me stessa e con gli altri, non mi nascondo dietro giustificazioni più grandi di me.” La realtà, aggiunge, “è che la mia vita mi piace così, divido il mio tempo tra viaggi con lo zaino in spalla, gli amici e la famiglia e il lavoro che amo. Avere un figlio comporterebbe una frattura in questa routine e io non credo di volerla spezzare. Non mi sento egoista: sarei egoista se, per seguire una certa corrente di pensiero, facessi un figlio senza volerlo davvero.”

L’esperienza di Elena, 28 anni, è un po’ diversa perché “non si può dire che in questo momento ci sia una reale aspettativa sociale che io sia già madre. Vivo in quella parte di mondo in cui sono ancora piccola, ho ancora diritto allo sconto sui treni.” Ciononostante, si definisce una donna senza figli e non pianifica di farne. “Ho una vita in divenire, sono alla ricerca di tante mie identità. Tracciare un orizzonte senza figli mi rassicura perché in questo momento devo pensare a me stessa,” spiega. “Io mi sento millenni di storia addosso in quanto donna. Si può dire che è da 4mila anni che faccio figli e che vivo questo imperativo sociale fortissimo a riprodurmi. Questa è la mia prima vita in cui posso scegliere di non farne.”

L’aver preso consapevolezza di questa pressione influisce sicuramente sulla decisione di non diventare madri. Già a partire dagli anni Sessanta e Settanta si è iniziato a riflettere su questi temi, ma Elena mi fa notare che anche prima del femminismo c’erano donne che non facevano figli: “Venivano considerate strambe. La differenza tra allora e oggi è che io posso dirlo pubblicamente. Forse siamo la prima generazione che può farlo.”

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Nonostante questo, coloro che scelgono di non essere madri sono ancora sottoposte a sguardi sospettosi e giudizi neanche troppo velati di amici, familiari o della società in generale. Nelle decine di interviste contenute nel webdoc Lunàdigas (parola sarda che veniva usata per definire le pecore che non figliavano per via della “luna storta”) appare in maniera evidente come si tratti di una scelta che viene ancora oggi accettata malvolentieri.

E anche Valeria—che ricorda una frase che le diceva spesso sua nonna: “Una donna è realizzata quando ha dei figli, te ne pentirai!”—Valentina ed Elena me lo confermano.

“I miei amici sanno come la penso, molte mie amiche sono d’accordo con me. Per quelle che invece hanno dei figli io sono strafelice per loro e adoro i loro bambini, ma non ne voglio di miei. I problemi vengono dall’esterno,” mi racconta Valentina. Una volta, ad esempio, al lavoro è stata costretta a tirarsi indietro in una banale questione di piano ferie perché, non avendo figli, avrebbe potuto rinunciare ad andare in vacanza in quel periodo. “Per buon senso l’avrei fatto comunque,” dice, ma l’ha infastidita “il fatto che ci si aspettasse la mia rinuncia non in quanto persona civile, ma in quanto ‘donna senza figli.’”

A Elena solitamente viene detto che è troppo giovane per scegliere adesso o che cambierà idea. “Certo, se io avessi annunciato che sognavo tre figli, nessuno mi avrebbe detto che ero troppo piccola per pianificarlo,” afferma. A essere maggiormente spiazzati o messi in crisi dalla sua decisione sono i suoi coetanei maschi: “Mi fanno più domande, mi dicono che è un peccato o che sarei un’ottima madre. La scorsa settimana ho incontrato un amico che non vedevo da un po’. La prima cosa che mi ha detto è stata: ‘Ma ancora pensi quella cosa?’ Non so, è come se si sentissero minacciati da questo mio sabotaggio del compito riproduttivo.”

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Molte delle critiche e delle pressioni derivano dal sopracitato radicamento del mito dell’istinto materno. “Nell'immaginario comune dovrebbe esserci questa spinta irresistibile che a un certo punto si impone dentro di te e tu non riesci a pensare e a nient'altro che alla sua soddisfazione,” spiega Eleonora Cirant. “Il problema è che molte non ce l'hanno questa spinta irresistibile, oppure hanno spintarelle estemporanee, che si alternano ad altre spinte. Ma siccome la prima cosa che ci hanno messo in mano è un Cicciobello, è difficile accettare che la spinta alla genitorialità non sia così irresistibile come dicono, e che una serie di fattori concorrano ad incrementarla o diminuirla.”

In questa sorta di “mistica della maternità”, è concepibile che chi scelga di non avere figli lo faccia al più per paura o mancanza di coraggio: “Dai, una botta di coraggio,” “È naturale per tutte le donne volere dei figli, evidentemente tu hai delle paure che ti bloccano,” “Anche io avevo dei dubbi, ma poi ho deciso che dovevo lasciare andare le mie paure” sono solo alcune delle frasi che Valeria ricorda di essersi sentita dire decine di volte.

Come tutti i miti, quello dell’istinto materno innato è una costruzione. La filosofa francese Élisabeth Badinter la fa risalire alla fine del Settecento, quando guerre e società industriale avevano fatto rivalutare la necessità di aumentare le nascite. Alle donne—e così pure nell’Ottocento e gran parte del Novecento—viene quindi conferita l’alta missione sociale di procreare: “Siate buone madri e sarete felici e rispettate.”

Secondo Cirant, “la donna che non diventa madre respinge un ruolo prestabilito, millenario, così abituale da essere considerato imprescindibile. Per secoli ci è stato detto che il completamento della donna è nella maternità e questo ha avuto una funzione economica molto precisa: una certa declinazione (ideologica) dell'amore materno serve a garantire il sacrificio della donna alla propria famiglia e tale sacrificio garantisce la gratuità del lavoro di cura.”

E questa è la ragione per cui le donne che scelgono di non avere figli vengono spesso definite egoiste: perché si sottraggono alla figura della madre martire o sacrificata per il bene della famiglia.

“La società ti chiede sempre una giustificazione per una decisione del genere, e anche involontariamente siamo tenuti a darla. Non mi sento tirata in ballo se qualcuno mi domanda perché non voglio figli. Di solito spiego il mio punto di vista, e la maggior parte delle volte quello che viene dopo non mi piace: mi dicono che non essendo madre non posso capire,” dice Valentina. “Ok, il punto è proprio questo, e vorrei che fosse chiaro: io non voglio capire che vuol dire essere madre, non mi interessa essere madre, non mi sento nata per farlo. Non sto togliendo niente a nessuno, non sto facendo del male a nessuno. È così terribile?”

Qui trovi gli altri contenuti della settimana della salute femminile.