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Tuute le immagini di Andrea Ferro, per gentile concessione di Crowdbooks.
Foto

No Promised Land - foto di migranti in transito dall'Italia

Andrea Ferro ha fotografato in Veneto le persone che vorrebbero migrare nel resto d'Europa.
Vincenzo Ligresti
Milan, IT

Negli ultimi mesi il sistema di accoglienza in Italia è stato smantellato per come lo conoscevamo. Attualmente, per dire, le tensioni nel Governo Conte abbondano perché il ministro dell’Interno Salvini vorrebbe agire ancora verso questa direzione, mentre dal Colle arrivano delle resistenze in quanto ci sarebbero—per usare un eufemismo—diverse “criticità”.

Nel 2016 la situazione era un po’ diversa, ed è stato in quell’anno che il fotografo Andrea Ferro, classe 1987, ha deciso di realizzare un reportage fotografico sulle strutture di accoglienza dell’epoca e i suoi ospiti. Il reportage, realizzato nell’arco di un anno circa, adesso sta per diventare un libro, intitolato No Promised Land, edito da CrowdBooks.

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L'ex colonia Marina Bibione.

Nello specifico, No Promised Land è stato realizzato nelle strutture di accoglienza—soprattutto nei CAS, nelle housing sociali e di volontariato—in Veneto, una regione “di passaggio” per tutti i migranti che arrivano in Italia e vorrebbero raggiungere il nord Europa. Proprio perché queste casistiche rappresentano la maggioranza, secondo i dati più recenti, il Veneto è una delle cinque regioni italiane con la maggiore presenza di migranti e richiedenti asilo sul territorio.

Appurato quindi che i flussi migratori si descrivano ancora troppo spesso solo in termini numerici, Ferro si è introdotto i in Casa Don Gallo a Padova (oggi chiusa), al Centro culturale San Paolo di Vicenza, a Casa come cà tua a San Martino Buon Albergo e in molti altri luoghi, per “restituire una storia e un volto” a chi si trovava lì in quel periodo e in attesa di risposte.

“Le strutture osservate, a prescindere dalla tipologia gestionale, rappresentano luoghi densi di relazioni, di attese, ma soprattutto di speranze. Sono spazi di passaggio e convivenza in cui ognuno, aspettando il proprio futuro, si ritrova a confrontarsi con le caratteristiche architettoniche proprie della struttura in cui viene ospitato. Un centro di accoglienza diviene così un contenitore di storie sospese,” si legge nella prefazione al libro scritta da Enrico Dalla Pietà.

Qui di seguito, trovate alcune fotografie tratte dal libro, con delle didascalie annesse che raccontano di architetture, storie e persone in transito.

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No promised land si appresta oggi a diventare un libro, grazie a una campagna di crowdfunding promossa dalla casa editrice Crowdbooks. Per ordinare una copia, clicca qui. Lo stesso lavoro sarà inoltre esposto all’IMP Festival – International Month of Photojournalism di Padova fino al 26 maggio.

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La condizione di richiedente asilo o rifugiato, nell’immaginario di una gran parte dell’opinione pubblica porta automaticamente con sé una serie di falsi miti causati da una diffusa disinformazione. Chi lascia il proprio paese, infatti, lo fa per i motivi più svariati, tra cui guerre (Siria, Iraq, Nigeria, Afghanistan, Sud Sudan, Yemen, Somalia), instabilità politiche e militari (Mali), violenze diffuse (bacino del lago Ciad), povertà estrema (Senegal, Costa d’Avorio, Tunisia), regimi oppressivi (Eritrea, Gambia), o crisi umanitarie (Nigeria, Camerun, Niger e Ciad). La tecnologia è poi un altro dei temi ricorrenti. Un cellulare è il primo bene che una persona porta con sé, in quanto oramai alla portata di tutti e fondamentale per comunicare con la famiglia e gli amici. Per chi attraversa il Mediterraneo la sua importanza è poi seconda solo al salvagente. Una volta in accoglienza diviene, oltre che mezzo di comunicazione, anche prezioso strumento d’informazione, ad esempio per lo studio della lingua o per meglio conoscere il nuovo contesto culturale.

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Casa come ca' tua - Poco fuori Verona, una famiglia di origine nigeriana ha trovato alloggio insieme ad altre cinque famiglie presso questa vecchia casa colonica appositamente ristrutturata, dove nel 2010 è stato lanciato un progetto di housing sociale. I quattro figli, regolarmente iscritti a scuola, sono già un ponte tra culture. Lo spazio esterno in comune è luogo d’incontro per le famiglie e di gioco per i bambini, vera e propria anima di questa struttura.

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Ex Colonia Marina Bibione - Ciò che si avverte continuamente nei centri di accoglienza è un senso di sospensione dovuto all’attesa. Attesa della commissione e del loro esito per il rilascio dei documenti, degli eventuali ricorsi, o di conoscere il luogo dove si verrà ricollocati. In questo limbo temporale, chi può inganna il tempo rimanendo in contatto con gli affetti lontani, ma non sempre è possibile scordare le sofferenze passate quando il futuro resta incerto.

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Casa Don Gallo - Tra i suoi connazionali Liban (a sinistra) è una sorta di riferimento. Di origini somale, prima dello scoppio della crisi, viveva e lavorava in Libia. In Italia già da qualche anno, come molti è giunto a Lampedusa. È già in possesso dello status di rifugiato e del diploma di tecnico elettronico. Nella stanza dove cucinano e mangiano insieme sono in sei, tutti somali, inclusa una donna. In Somalia, come in altri luoghi dell'Africa, vivere in condivisione è una consuetudine culturale ben radicata e, in quanto ex colonia, fino a pochi anni fa l'italiano veniva ancora insegnato a scuola.

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Ex convento dei frati Carmelitani Scalzi - Qualunque sia la struttura, che sia essa collettiva, un appartamento o un’occupazione, le paure di ciò che era ieri sono vinte solamente dall’incertezza del domani. La sera è il momento dove le immagini del passato ritornano alla mente e ognuno resta in compagnia dei suoi pensieri. Nell’attesa di incontrare, un giorno, un luogo da poter chiamare “casa”, in ogni struttura si vive un eterno presente colmo di sogni e speranze.