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Tecnologia

Capire l'orrore di un manicomio con un videogioco

The Town of Light è il videogioco di uno studio italiano che vuole raccontare gli orrori del nosocomio di Volterra, teatro di assurde brutalità nell'era precedente alla Legge Basaglia del 1978.
via LKA

Aggiornamento: The Town of Light è disponibile su Steam e sarà acquistabile a partire dal 26 febbraio.

The Town of Light è il titolo di un piccolo studio di sviluppo italiano che piace anche allo Smithsonian in cui viene esplorato il concetto di un orrore astratto e personale: di solito quando pensiamo ai "film dell'orrore" ci vengono in mente immagini splatter, mostri, vampiri, zombie, torture—ma spesso e volentieri l'orrore non è visivo, ma psicologico.

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Lo stesso paradigma può essere applicato ai videogiochi—infatti, le saghe di Resident Evil e Silent Hill sono senza dubbio survival horror, ovvero giochi in cui lo spavento e l'ansia sono parte dell'esperienza, e lo stesso possiamo dire di Amnesia, capostipite della nuova scuola degli horror videoludici basati più sulla fuga e sul terrore dell'invisibile che sul combattimento—ma c'è un orrore che può essere ancora più forte di un mostro che cerca di mangiarci la faccia, ed è quello che nasce da fatti realmente accaduti. Proprio questo è il tema di The Town of Light.

Il gioco, per PC, Mac e Linux, è sviluppato dallo studio toscano LKA, con sede a San Casciano, in provincia di Firenze, e racconta la storia di Renée, una ragazza di sedici anni internata nel nosocomio di Borgo San Lazzaro a Volterra alla fine degli anni '30. Il personaggio di Renèe è ovviamente inventato, ma la paura, gli abusi e gli strani macchinari utilizzati per "curare" i pazienti assolutamente no. Facendoci rivivere la sua storia attraverso gli oggetti e i documenti dell'epoca, gli sviluppatori ci mostrano le assurde condizioni di vita che venivano imposte alle persone con problemi mentali non più di 60 anni fa.

Attenzione, non parliamo di persone con situazioni complesse, pericolose o irrisolvibili, ma anche di soggetti affetti da depressione, manie di persecuzione, paranoia o semplicemente bassa autostima, proprio come la protagonista—in questi luoghi a volte ci si entrava semplicemente perché omosessuali. Una volta varcata la soglia della casa di cura, le persone venivano inghiottite dalla struttura e sparivano completamente per il resto della società civile. Erano lasciate per ore legate a un letto o sottoposte ad abusi da parte di un personale che li giudicava poco più che bestie. Nel peggiore dei casi diventavano cavie di una scienza sperimentale spesso cieca, che li sottoponeva a elettroshock, coma indotti, lobotomie e altri trattamenti estremamente invasivi. Tutte cose assolutamente normali in Italia, finché la Legge Basaglia del 1978 non riformò radicalmente l'assistenza psichiatrica.

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Da Volterra sono passati oltre 6000 pazienti in un periodo che va dal 1930 al 1970, anno in cui l'edificio fu chiuso a causa della crudeltà delle pratiche che vi si svolgevano all'interno. Alcuni dei soggetti rinchiusi al suo interno sono rimasti là dentro per più di 10 anni e moltissimi non sono più tornati a casa. Il nosocomio era una vera e propria cittadella a sé stante, una realtà parallela in cui alcuni pazienti potevano lavorare come sarti, meccanici o manovali per ottenere monete coniate dall'istituto con cui comprare sigarette, alcolici e altri beni di lusso.

Una foto scattata all'interno del vero nosocomio di Volterra. via LKA

Tutto ciò è reso con estrema cura e attenzione in The Town of Light, grazie a un ritmo di gioco lento, una narrazione che alterna sequenze filmate che ci raccontano le varie fasi della vita di Renée a fasi di esplorazione dell'edificio. Dall'illuminazione, al movimento del personaggio fino ai dialoghi—tutto è pensato per farci capire la realtà dal punto di vista di una persona con problemi mentali: la sua angosce, la paura di essere abbandonati e le spirali mentali con cui cercano di analizzare la propria situazione, allontanando e chiudendo a chiave dentro di sé i traumi. Non a caso il gioco, pur non essendo ancora uscito, è già compatibile con Oculus Rift.

Per ottenere tutto ciò, LKA ha avviato un lavoro di ricostruzione e di documentazione incredibilmente dettagliato sia dal punto di vista grafico che storico. Gli oltre 7000 metri quadrati che compongono l'intero complesso di Volterra sono stati meticolosamente riprodotti, così come moltissimi documenti, cartelle cliniche, testimonianze dirette di ex-medici—per non parlare di una bibliografia veramente sconfinata. Un lavoro incredibile, soprattutto se consideriamo che è il lavoro quasi del tutto amatoriale di un team composto da 12 persone.

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Per il suo valore, il gioco è stato scelto dallo Smithsonian American Art Museum per un evento di presentazione dei titoli indie più interessanti dal punto di vista creativo, socio-culturale e narrativo. Quest'anno The Town of Light era stato anche scelto come titolo della settimana dalla prestigiosa rivista di settore Famitsu.

Uno screenshot del gioco. via LKA

Dopo aver avuto la possibilità di giocarlo, è chiaro che non si possa pensare a The Town of Light come al classico titolo horror con cui uno YouTuber potrebbe sbancare la rete inanellando spaventi e salti sulla sedia, e difficilmente lo vedremo in streaming su Twitch—ma l'angoscia, la tristezza e la consapevolezza di un orrore che possiamo solo sfiorare, e che mai diventano realmente tangibili, fanno parte dell'esperienza di gioco e lo rendono un ottimo punto di contatto tra un'esperienza ludica, una narrativa ed una educativa. Al netto di ciò, possiamo solo immaginare quanto difficile possa essere giocarlo con un casco per la realtà virtuale.

Non è ovviamente un gioco per tutti: in The Town of Light il progredire nella storia non viene premiato con nuovi livello o abilità, ma solamente con nuovo dolore e scoperte che forse preferiremmo non fare. Di sicuro è il titolo perfetto da mostrare quando dovrete, per l'ennesima volta, ricordare che i videogiochi sono ormai un medium narrativo serio, maturo ed efficace.

The Town of Light non è ancora disponibile, ma lo sarà il 26 febbraio 2016—nel frattempo gli sviluppatori hanno iniziato a pubblicare sulla pagina Facebook del progetto un diario a puntate scritto dal punto di vista di Renée, "Sento la Paura come una sensazione fisica, mi impedisce di muovermi, di ingerire, di respirare."

Segui Lorenzo su Twitter: @loffio