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Perché le classifiche dei ristoranti parlano solo di chef? Sicuro che sia l'unica cosa che conta?

Si parla sempre di chef nelle classifiche dei migliori ristoranti, ma un grande locale è fatto di molti altri elementi.

"Amo i ristoranti per come mi fanno sorridere quando mangio. Perché limitarsi ai cuochi o ai piatti quindi? C'é molto più di un piatto in un ristorante, e ci sei anche tu"

Dal 2012 il Relæ è presente nella The World 50 Best Restaurants. Il nostro ristorante - che ha sede a Copenaghen - all'inizio è al quarantesimo, la volta dopo al settantacinquesimo, per poi tornare cinquantaseiesimo. Ci piace, e abbiamo un sacco di benefici nell'essere nominati tra i migliori ristoranti al mondo, ma non siamo influenzati dai risultati. Cerchiamo di essere indipendenti e di non cambiare la nostra natura anche perché, fortunatamente, il Relæ quella lista non la vincerà mai. L'idea di essere il migliore ristorante al Mondo è forse sbagliata di base e probabilmente inutile dal punto di vista del significato.

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Dal punto di vista economico, invece, essere presenti o addirittura piazzarsi nelle posizioni più alte, ha certamente dei ritorni. Il mio personale “ritorno” è il viaggio. Viaggiare con la mia squadra - Christian Francesco Puglisi, mio socio e mentore nonché fondatore e leader della Relæ Community, Jonathan Tam e Luca Donninelli, rispettivamente Head Chef e Restaurant Manager di Relæ - mangiare in ristoranti dove ho sempre sognato di andare, conoscere nuove persone, costruire relazioni con altri ristoratori, giornalisti, cuochi, sommelier, ma soprattutto fare festa, piena e pura, sono per me grandi fonti di stimolo e motivazione.

"Godendomi la cerimonia aspettavo l'arrivo di un premio che non avesse la parola 'chef' al suo interno. Mi domandavo come mai ci si concentrasse tanto sui cuochi e così poco su tutto il resto"

Dal 2002 The World ́s 50 Best Restaurant stila una classifica dei migliori ristoranti al Mondo basandosi sul voto di giudici di diverse nazionalità, non pagati per farlo, chiamati una volta all’anno a esprimere un certo numero di preferenze. I miei amici che non si occupano di ristorazione mi domandano spesso se davvero i ristoranti presenti in classifica siano migliori di quelli non presenti. Rispondo sempre che si tratta in maniera chiara ed evidente di ristoranti di altissima qualità, tutti con cura dei dettagli e idee brillanti. Parliamo però sempre di voti personali e segreti. Abbiamo tutti un ristorante preferito, e per noi quel ristorante merita di stare tra i migliori. Chi ama la ristorazione, e chi quindi la critica, ha molte opinioni sul peso e sul significato di tale evento, e certamente anche io ho i miei pensieri a riguardo. Ciò che più mi ha fatto riflettere quest'anno però va oltre la la manifestazione in sé.

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Quando mi trovo circondato da alcune delle figure e istituzioni più pesanti della ristorazione, mi domando cosa definisca veramente la qualità di un ristorante e cosa lo definisca Grande. Nel conto alla rovescia da 50 a 1, la lista si interrompe per attribuire dei riconoscimenti speciali come Best Female Chef, Best Pastry Chef, il premio alla carriera di uno Chef, Best Young Chef e altri. Godendomi la cerimonia aspettavo l'arrivo di un premio che non avesse la parola “chef” al suo interno. Mi chiedevo quando sarebbe arrivato il momento della sala, della musica, del design, della carta del vino, della location, della vista, delle porcellane, del ritmo. Mi domandavo come mai ci si concentrasse tanto sui cuochi e così poco su tutto il resto.

Ho conosciuto persone tanto appassionate di piatti e ricette che ricordavano menu interi mangiati dieci o vent'anni prima. Non ultima un dottore di Savona che mi raccontava della cottura perfetta di un coniglio mangiato al ristorante Le Luis XV di Monaco nel 1983. A lavoro mi capita spesso di avere clienti che, all'arrivo dei piatti, sfoderano le macchine fotografiche più diverse, regolano la luce e scattano foto da ogni inquadratura possibile (purché sia dall'alto al basso in verticale). Una volta mi innervosivo perché pensavo che perdere due, tre, quattro minuti per fare una fotografia (accade davvero) facesse raffreddare il piatto che andava invece mangiato caldo. Oggi penso che se quello che ti interessa di un piatto è la sua fotografia allora hai tutto il diritto di scattare, di farlo bene e di impiegarci il tempo necessario. Io non ho modo di comprenderlo, ma quando sei immerso nelle tue passioni, che il mondo attorno ti abbia colto o meno che differenza potrà mai fare?

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"Un buon servizio non dovrebbe mai raggiungere gli estremi dell'assenza al tavolo o, forse peggio, dell'invadenza. Quando parlo con un cameriere parlo con una persona, e durante la cena ho modo di conoscerlo e spesso di entrarci in sintonia"

Quando ho pensato a questo pezzo l'ho fatto con l'intento di parlare della sala, intesa come il mondo di chi lavora nei ristoranti come cameriere, oste o sommelier. Se da un lato infatti la comprensione di piatti e ricette è cresciuta con gli anni, dall'altro trovo che sia molto più complesso esprimere un giudizio sulla qualità del servizio. Anche in televisione si vedono cuochi e giornalisti che nel giudicare la qualità di un servizio di un ristorante si soffermano su dettagli, a mio parere inutili, come una posata che cade a un cameriere mentre sparecchia una portata. Mi chiedo come questo possa influenzare la riuscita o meno di una serata e non venga capito invece che il servizio è ben altro ed è innanzitutto attenzione e cortesia. È fatto di persone e idee, disegnato a volte per sorprendere, altre per metterti a tuo agio. È fatto di persone con enorme passione, tanto che utilizzando una metafora sportiva descrivo spesso come i giocatori di mischia nel rugby: tanto cuore e poca gloria, anche perché in meta è raro che ci vadano ma è molto più frequente che ci mandino un compagno.

Un buon servizio a parere mio non dovrebbe mai raggiungere gli estremi dell'assenza al tavolo o forse peggio dell'invadenza. Quando parlo con un cameriere parlo con una persona, e durante la cena ho modo di conoscerlo e spesso di entrarci in sintonia. Gioca un ruolo fondamentale nel successo di una cena. Un grande cameriere è capace dimetterti a tuo agio, di conquistare la tua fiducia, di capire i tempi di quando è meglio accelerare e di quando invece è meglio lasciare passare qualche minuto tra un piatto e l'altro, è colui che ti aiuta a comprendere meglio il ristorante in cui ti trovi e che ti mette nelle condizioni di fare le scelte migliori per il tipo di serata che vuoi vivere.

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Non siamo tutti uguali come clienti e la sala è intelligenza, è amicizia e è empatia. Si può dare un giudizio a un servizio. Ci sono come nelle esecuzioni dei piatti dei valori oggettivi, ma non possiamo mai dimenticarci di un aspetto, una variabile che non manca in nessun pranzo o cena: noi stessi.

Alessandro-e-Christian

Alessandro e Christian F. Puglisi.

Però mi sono accorto mentre scrivevo che non volevo limitare i miei pensieri alla sala, alla quale sto dedicando una professione e una vita, e che invece volevo parlare di tutto quello che adoro vivere e vedere in un ristorante. A Singapore mi sono trovato a parlare con un tizio del Belgio che ha mangiato più volte in tutti e centoventi i ristoranti presenti nella lista. Lui mi raccontava di quanto il gusto fosse di gran lunga l'aspetto più importante e interessante quando si va a cena al ristorante. Poi veniva la presentazione. Al terzo posto il servizio e per ultimo la materia prima. Non potrei essere più in disaccordo con questa scala di valori, ma sempre oggi penso che essere liberi sia decidere chi o che cosa amare. I miei di valori sono diversi. In ogni cena, in ogni ristorante, ciò che conta di più per me è la compagnia. L'ingrediente più importante per me è con chi.

Tabarro

Immagine di Michele Bontempi.

La prima volta che invitai una ragazza a cena al ristorante avevo sedici anni. La portai alla Crota di Calosso, in Piemonte. Fu un'esperienza bellissima. Non ricordo cosa mangiai, ma ricordo tutto il resto. Ricordo il vino che ordinai ed un oste particolarmente simpatico che con poche difficoltà mi inquadrò per il ragazzino squattrinato e inesperto che ero e mi guidò con calma pacifica verso un'esperienza così nuova ed eccitante come scegliere un vino dalla carta! La mia prima volta al ristorante Guido da Costigliole fu un'esperienza pazzesca! Ricordo tutto o quasi. I vini che bevemmo, e Andrea Alciati in sala. TracyChapman nelle casse. Un Sassicaia 1990 ed il Barolo Cannubi di Chiara Boschis 2001. Ricordo gli agnolotti, del resto della cena saprei dire solo che era buonissima.

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Ricordo la prima volta che ho visitato il Tabarro di Parma. Incontrai Diego Sorba, uomo divino e uomo di cultura. La personificazione più chiara dell'oste. Al Mondo non ne esiste uno uguale. Bevemmo dei nebbioli buonissimi, un disco di Bill Frisell faceva da colonna sonora e ricordo anche cosa mangiai: salame e strolghino. Il Tabarro è un locale improbabile, stretto, a volte strettissimo, illogico, eppure magico! Gli sgabelli erano piuttosto scomodi, ma se te ne accorgi è perché non hai forse colto l'essenza del posto. I tavoli sono alti e piccoli. I bicchieri invece grandi e accoglienti. Fu una cena bellissima.

Del pranzo da Asador Etxebarri ricordo quasi la metà dei piatti. Forse esagero, ma ne saprei elencare almeno tre. Ricordo anche lo sguardo delle cameriere, donne del paese, forse inconsapevoli di lavorare in un ristorante come pochissimi al Mondo, e per questo dolci e rilassanti che mi sentivo a casa. A fine pranzo ci spostammo nel bar al piano di sotto dove le uniche clienti erano due donne del paese sulla settantina che giocavano a carte. Chiedemmo quale fosse il nome del gioco. Ci risposero “Brisca”. Ordinammo tre birre e un mazzo di carte anche noi, mi sentii in paradiso.

Sollerod-Kro

Tutti gli anni mi regalo un pranzo in un ristorante fuori Copenhagen, da Søllerød Kro. Ci sarò andato cinque o sei volte. È un ristorante con una stella Michelin e dello chef non conosco neanche il nome. L'uomo di sala mi basta. Si chiama Jan Restorff. Non solo ha visitato ogni singolo produttore e fornitore personalmente, ha mangiato in ogni singolo ristorante che esista in Francia ed Italia, ma conosce i vini della Borgogna, e specialmente della Langa, meglio di chiunque abbia mai incontrato. Io vado lì per lui. Adoro mettermi in un tavolo nell'angolo e guardarlo inazione. Non ricordo un singolo piatto, ma si mangia benissimo.

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A casa mia il Natale si passa in montagna. La sera i miei cucinano e se la cavano parecchio bene. Mio fratello è barman e quindi si occupa dell'aperitivo. Mia sorella ingegnere è addetta alla mise en place e coreografia della tavola. In genere verso le1 6.00 mio padre si rivolge a me dicendomi “serve un bianco e un rosso per stasera. Scendi in cantina!”. Se vogliamo parlare di migliore ristorante al Mondo, il mio è quello. Della tavola mi piace tutto. Anche i piatti. Ma sopratutto adoro stare bene.

Un grande ristorante è fatto innanzitutto di persone e di idee. Io mi sono innamorato dei ristoranti per il loro complesso. Per il modo in cui si arrangiano e si muovono. Per la musica che scelgono di suonare e per la loro illuminazione. Adoro il buio che regala intimità, e la giusta dose di caos che dà energia. Per chi sta in sala, che abbia conoscenza, dignità e simpatia e chi sta in cucina. Amo i ristoranti per come mi fanno sorridere quando mangio e per un sacco di altri motivi che forse neanche io so spiegare a me stesso. Perché limitarsi ai cuochi o ai piatti quindi? C'é molto più di un piatto in un ristorante, e ci sei anche tu. Sei stai bene, se ti piace dove sei e cosa mangi, allora sei in un grande ristorante. Forse uno dei migliori al Mondo. Un'opinione conta sempre. Averne una tua significa avere una passione.


Alessandro Perricone Classe 1988, nato a New York da genitori Palermitani, Alessandro cresce tra Milano e il Piemonte. Si laurea in Scienze Enogastronomiche a Pollenzo e contemporaneamente agli studi si avvicina al mondo del vino e della ristorazione. Dopo il conseguimento della laurea colleziona esperienze di lavoro importanti sia in cantina, da Piero Busso a Neive, che in sala, al ristorante Guido da Costigliole al Relais San Maurizio. Nel 2013 arriva in Danimarca, a Copenhagen, per unirsi alla brigata di Chef Christian F. Puglisi e del suo ristorante Relæ, dove diventa presto Restaurant Manager e Head Sommelier.

Oggi Alessandro è partner della Relæ Community che comprende i quattro ristoranti Relæ, Manfreds, Bæst e Mirabelle, la fattoria Farm of Ideas, il vermouth bar Rudo e l’importazione e distribuzione di vino Vinikultur. Alessandro è inoltre un grande appassionato di musica e vinili, di motociclette e automobili, di Bud Spencer, del bere vino con gli amici, dello stare a tavola e nutre un grande e genuino amore per il Piemonte.

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