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Demented parla da solo

Le vacanze dementi

Andare in vacanza, in un certo senso, è complicato: bisogna davvero non fare un emerito cazzo.

Illustrazione di Simone Tso.

“Fai tutto senza fare”: questo enuncia George Harrison, in un misconosciuto gioiello dei Beatles, ovvero “The inner light”, lato B di Lady Madonna nel lontano 1968. In quel caso era riferito al Libro della via e della virtù di Laozi, il padre del Taoismo, ma possiamo tranquillamente associarlo a quello che chiunque, noi e voi, ardentemente desidera, attende per tutto l’anno e cerca in ogni modo di procurarsi: ovvero una vacanza. Sì, perché la vacanza non è solo uno spot pubblicitario, anche se oramai a questo è stata ridotta tra mete di pellegrinaggio turistico, posti a caso perché non si sa dove andare, pressioni da un discorso economico che sembra una barzelletta e impieghi per cui le ferie sono tipo utopia pura. Già dalla parola VACANZA, invece, abbiamo a che fare con un termine specifico: si usa infatti in fisica per indicare un elemento mancante, diciamo una completa assenza. Andare in vacanza, in un certo senso, è complicato: bisogna davvero non fare un emerito cazzo. Altro che cercare agenzie, stressarsi per non farsi inculare da ristoranti, locali, compagnie aeree, magari anche con la divorante ansia esistenziale di doversi divertire a tutti i costi.

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“Quest’estate voglio divertirmi per le vacanze,” cantava Giuni Russo, interpretando i desideri di una prostituta che non vedeva l’ora di andare al mare e farsi un bagno al largo: ma in quel caso il divertimento era molto semplice, quasi minimale e per ovvi motivi già sufficiente e opposto alle tendenze del “facciamo qualcosa.” Ad esempio, mi sono sempre chiesto cosa ci sia di fico nell’andare in vacanza a Ibiza, facendosi spennare per due cocktail e cercando locali in cui devastarsi: a me sembra qualcosa di allucinante peggio di un lavoro. Appunto, la parola “lavoro”, già di per sé surreale visti i tempi, indica “un'attività produttiva che implica il dispendio di energie fisiche e intellettuali per raggiungere uno scopo prefissato"—cito da Wikipedia perché non ho voglia di fare una cippa, per due giorni gradirei essere in vacanza. Ecco, la vacanza dovrebbe essere proprio l’opposto che lo sbattersi per una vacanza riuscita. Il terrore sale dai messaggi mediatici di chi vorrebbe tutti chini su una scrivania o su un bullone anziché a grattarsi i coglioni: cose come questa fanno pensare a un vero e proprio “nun ce provà” subliminale, come se la vacanza fosse un suicidio annunciato. È anche vero che molti vanno in vacanza per noia, a casaccio: pensiamo a quei viaggi stile Camel Trophy in mezzo a indicibili rischi frequentati da gente che per tutta la vita ha potuto fare vacanza perenne ma semplicemente non l’ha mai associata alla coscienza di sé. Quindi dei culi a mò di sicuro bersaglio per rinoceronti incazzati e senza dubbio condannati a qualche malattia tropicale di merda.

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Il concetto di vacanza è più vicino alla meditazione, alla ricerca del nulla puro, a un rimescolamento di carte che ti porta a ripensare tutto il concetto di energia: una vacanza ha in sé i semi della rivolta, perché poi ti chiedi “che cazzo di vita faccio 12 mesi all’anno?” Anche perché la maggioranza ottiene dal proprio lavoro—qualunque esso sia—le briciole di un culo così. Gli stagisti teoricamente sono in vacanza perenne, se dobbiamo credere alla formula “no salario = no lavoro = no ferie”. Qualcosa evidentemente non va se la gente associa il lavoro esclusivamente al rendiconto economico che ne deriva: si sa che l’economia dei paesi va avanti a causa dello schiavismo moderno sommerso e di chi si sbatte inutilmente. Attenzione però, non sto dicendo di farsi intortare da costui, che altrimenti fate la fine (sempre per tornare da dove siamo partiti) di Lennon con Maharishi: chi fa da sé fa per tre e ognuno è il santone di se stesso, soprattutto in vacanza.

Certo, c’è anche chi va in crisi ad andare in vacanza: e mo che faccio? Come mi spengo? È tipico di chi lavora a mazzetta avere una specie di randomizzazione energetica quando di punto in bianco si stoppa: sembra quasi un atleta che improvvisamente smette di allenarsi, prende sette chili e diventa un opinionista tv. In questi casi la cosa migliore è consultare un bravo psicologo seguace di David Cooper, per rimettere in carreggiata il tapino.

E poi c’è la vacanza nella vacanza: cioè quella da se stessi. Durante la vita normale ci si trova in condizioni tali da impersonare qualcosa, un ruolo, anche semplicemente un nickname in qualche social network. A una certa basta, mi sono rotto il cazzo, incrocio le braccia e mi nutro di lupini. Magari al fresco di qualche luogo dimenticato da dio a pochi chilometri da casa, non ci vuole poi tanto.

In un mitico film collettivo, Dove vai in vacanza?, c’è un episodio di Sordi popolarissimo: a due genitori, lavoratori e di animo semplice, vengono regalate delle vacanze culturali dai loro stessi figli che hanno potuto studiare (ovviamente) grazie ai sacrifici di papà e mamma. Il pacchetto alla lunga diventa per i due poveracci ‘na fatica micidiale. Ecco, io vi consiglio le vacanze dementi: trovate qualcosa di semplice veloce e pratico che possa annientarvi ogni velleità d’azione, il massimo con il minimo sforzo. Anche semplicemente stappare una birra seduti su una panchina della stazione Laurentina, mentre aspettate da un’ora il pullman delle 19.15 per Sabaudia soppresso all’improvviso. Quello che ora sto facendo io.

Segui Demented su Twitter: @DementedThement

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