Musica

'Fastlife 4' di Gué Pequeno è una promessa mantenuta

'Fastlife 4' di Gué Pequeno e DJ Harsh è un mixtape rap vecchio stile, crudo, di strada. Che impatto avrà sulla scena italiana?
Gué Pequeno Fast Life 4
Gué Pequeno, foto per gentil

A differenza di molti altri prodotti di intrattenimento (dal calcio ai romanzi), che si cominciano a fruire da piccoli senza più smettere più o meno per tutta la vita, la musica è sempre stata una cosa rivolta principalmente ai giovani. Soprattutto per quanto riguarda le novità: è difficile che dopo i quarant’anni qualcuno ancora segua le nuove tendenze; di solito ci si accontenta di quello che si ascoltava da ragazzi, o al massimo si continuano a seguire le nuove uscite degli stessi artisti.

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L’industria musicale fondamentalmente si regge su una piccola nicchia di appassionati che continuano a consumare musica anche dopo i trenta, e su un vasto pubblico di giovanissimi. Fare un disco, in modo particolare se rap, ancora di più nel nostro paese, esplicitamente rivolto a un pubblico un po’ più adulto è ancora considerabile quasi un azzardo.

Una cosa interessante però è che ormai sarebbe anche il caso, persino in Italia, di smettere di considerare il rap una musica nuova, la musica dei giovani. Ci sono ormai molti ultraquarantenni cresciuti con il rap degli anni Novanta, e anche chi si è appassionato con i primi Dogo, venuti fuori facendo le cose alla vecchia (per modalità, attitudine e spirito street), in un periodo in cui il rap era sparito dalle classifiche, ormai si assesta sulla trentina, spesso superandola. 

C’è quindi anche un pubblico maturo e adulto legato a certi suoni e a una certa tradizione, ed è una parte consistente della fanbase di Gué Pequeno: non quella dei suoi ascoltatori occasionali, che lo conoscono principalmente per le hit più radiofoniche, ma quella fatta di veri appassionati.

È a questi ascoltatori che è espressamente dedicato il nuovo capitolo della storica serie dei Fastlife Mixtape.

Gué Pequeno Fastlife 4

La copertina di 'Fastlife 4' di Gué Pequeno, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify.

Nel 2015 in “Squalo” (pezzo che anticipava l’esplosione trap), fresco di contratto con Def Jam, G.U.E. diceva: “riportiamo questa roba in strada dove è nata” in un periodo in cui nelle classifiche prosperavano i rapper da talent show. L’anno dopo esplose la trap in Italia (Gué ne è sicuramente uno dei padrini di battesimo), inizialmente appunto parlando di strada in modo crudo e senza compromessi, e con modalità (i video autoprodotti e caricati autonomamente su YouTube) slegate dalle logiche della discografia ufficiale.

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In soli cinque anni quella cosa è cresciuta anche più del previsto: è diventata il nuovo mainstream, e quasi tutti i suoi artisti principali hanno allargato i propri orizzonti e contaminato il loro suono. E come sempre dopo gli originali hanno cominciato a venire fuori, al fianco di alcune novità interessanti, anche copie sempre più sbiadite.

Per chi viene dalla vecchia scuola, la situazione è diventata probabilmente a tratti insostenibile, e c’era nell’aria voglia di vero rap. È quello che Gué ha promesso quando ha annunciato il ritorno di Fastlife, sempre in coppia con DJ Harsh (qui con la collaborazione di PK). 

Ormai siamo abituati a progetti discografici che nella realtà non mantengono le promesse con cui vengono annunciati: i compromessi ci sono sempre, la tentazione di fare qualcosa per la radio, di strizzare l’occhio ai ragazzini e di inserire il featuring furbo anche.

Fastlife 4 invece è una promessa mantenuta. Anche per via della sua natura di mixtape: se oggi quelli che sono ormai artisti di punta delle case discografiche più importanti del mondo non possono certo realizzare questi progetti come si faceva una volta (cioè rappando senza chiedere il permesso sulle basi degli americani), quello che si può fare è realizzare un lavoro in cui non si chiamano i nomi che ti garantiscono più streaming, ma persone adatte al progetto e con cui c’è lunga consuetudine (Marra, Noyz, Lazza, Gem, Luché, Salmo), o nomi più emergenti ma che si ritengono particolarmente di valore (MV Killa, Vettosi, Rasty Kilo). Non puntare al singolo radiofonico (è difficile che tutte le persone che hanno dato 58 milioni di streaming a “Chico” apprezzeranno questo lavoro: non è un disco per tutti e la cosa viene messa in chiaro già nell’intro), ma alla solidità del progetto nel suo complesso. Fare tutto in one take senza stare a ritoccare troppo. E soprattutto divertirsi.

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Gué Pequeno DJ Harsh Fastlife 4

Gué Pequeno e DJ Harsh

Perché per uno cresciuto con i Mobb Deep, Biggie, i Wu-Tang e Nas (e i riferimenti di questo disco arrivano fino a Kool G Rap, alla cui “Fast Life” del 1995 viene reso esplicito omaggio nel pezzo prodotto da Bassi) e che resta un appassionato del rap fatto di scrittura, metriche, incastri, metafore e citazioni di livello (che in questo caso vanno dai romanzi di Henry Miller al design di Cari Zalloni, passando per la serie tv The Wire), fare un disco così è un divertimento vero. Come si può vedere nelle testimonianze backstage della sua lavorazione, ma anche solo percepire ascoltandolo.

Lo stesso vale per il suo pubblico. Non quello che lo conosce per le partecipazioni televisive, ma quello che ha i suoi stessi riferimenti musicali, quello che ascoltava la Dogo Gang insieme ai Dipset e alla G-Unit: il tipo di ascoltatore che nel rap apprezza e si gasa per la tecnica e gli incastri, per il flow e per come questo si appoggia alla base (memorabile in questo senso “Wagyu”, prodotta da Night Skinny), proprio come un appassionato di rock o di jazz si può esaltare per un assolo del suo musicista preferito.

Il disco mantiene effettivamente tutte le sue promesse ed è all’altezza delle aspettative. Dalle basi ai featuring, alla scrittura, ai flow, alle tematiche, tutto è coerente con l’idea di un album allo stesso tempo serio ma molto divertente, old school e stradaiolo, crudo e cinematografico. Il tipo di disco che non può non piacere a chi ama il rap. 

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È anche un progetto coraggioso, in un certo senso, perché non è né scontato né banale per chi è inserito nei meccanismi della discografia ai suoi livelli più alti nel panorama nazionale uscirsene con un lavoro che non rispetta i dettami dell’industria, che non include tutti gli ingredienti consolidati della formula del successo contemporaneo (i featuring giusti, i singoli giusti, un’ampia varietà di generi per accontentare un pubblico più vasto possibile).

La vera sfida per un artista, quella che ne sancisce il calibro effettivo sulla lunga distanza, non è avere un momento in cui si è il numero uno, ma durare nel tempo. Tanti rapper peggiorano con il passare degli anni, perdono talento e rilevanza, ne sbiadisce l’influenza, diventano qualcosa di diverso, e i loro lavori più iconici restano quelli del passato. La prima strofa registrata ufficialmente dal Guercio l’ho sentita nel 1997, sono passati quasi 25 anni. Eppure, come un Ibrahimovic del rap, riesce a essere ancora al top su tutti i fronti.

Una tragica coincidenza ha voluto che questo lavoro sia uscito nello stesso giorno della morte di DMX. L’artista newyorkese era arrivato al successo nel 1998, su Def Jam, in un periodo di smarrimento nel rap americano, a seguito delle morti di Biggie e Tupac, in cui il genere stava diventando sempre più pop. DMX sparigliò il tavolo con la sua voce, i suoi versi e le sue tematiche scure, riportando al successo un’attitudine hardcore che era quella che lo aveva caratterizzato negli anni a cavallo tra Ottanta e Novanta. Non sorprende che Gué lo abbia ricordato come un suo eroe e una grande fonte di ispirazione.

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In Italia il rap-rap è sempre stato una cosa di nicchia. Le barre sputate a raffica sul boom-bap non sono qualcosa di esattamente inscritto nel DNA della musica del nostro paese. Non è un caso che il rap abbia davvero fatto il botto, finalmente, anche qui da noi, quando la maggiore melodicità vocale della trap (e dell’autotune, e basi più contaminate) lo ha reso più potabile al pubblico della nazione che viene dalla tradizione operistica del bel canto.

Un disco come questo quindi è un bell’esperimento per vedere, ora che il genere domina la discografia italiana, quanto sono davvero cambiate le cose, quando si tratta di rap vero e proprio.

Le reazioni più immediate di fronte a un lavoro di questo tipo sono quelle di entusiasmo, soprattutto da parte di chi non ne poteva più dell’inconsistenza di troppi prodotti contemporanei: il Guercio “ha mandato a casa tutti come il coprifuoco”. Ma sarà interessante vedere anche quale impatto avrà sulla lunga distanza, soprattutto sulle nuove generazioni. Di ascoltatori ma anche di rapper. Ancora una volta Gué Pequeno indicherà la strada e torneranno tutti a rappare? 

Non meno importante sarà scoprire anche che impatto avrà sulla carriera del suo stesso autore. Uno dei motivi per cui Gué è universalmente riconosciuto come uno dei migliori rapper italiani è il suo essere completo: nei suoi lavori ha sempre saputo giostrarsi tra le anime del genere (quella più street, quella più party e quella più introspettiva), e tra old school e nuove tendenze, sempre con un livello altissimo per scrittura e flow. Questo lavoro in cui a prevalere è decisamente l’aspetto street sarà un modo di girare pagina? Un nuovo inizio o la chiusura di un capitolo? Per il momento non possiamo saperlo, ma quello che sappiamo con certezza, vista la prolificità dell’uomo, è che non ci metteremo troppo tempo a scoprirlo. E, stante il suo livello di forma, francamente non vediamo l’ora.

Federico è il maggior guepequenologo italiano. Seguilo su Instagram.