"Al massimo, se ci arrestano...": la storia di Telenapoli, la prima vera TV libera in Italia

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"Al massimo, se ci arrestano...": la storia di Telenapoli, la prima vera TV libera in Italia

La genesi delle televisioni private italiane è fatta coincidere con Telebiella e—soprattutto—con l'avvento dei canali di Silvio Berlusconi. Ma questa è solo una versione apocrifa della storia; perché tutto sarebbe cominciato a Napoli nel 1966.

La genesi delle televisioni private italiane, almeno per com'è tramandata dalla storiografia ufficiale, è fatta coincidere con Telebiella e—soprattutto—con l'avvento dei canali di Silvio Berlusconi. Ma questa è solo una versione apocrifa della storia; perché tutto sarebbe cominciato a Napoli nel 1966, quasi per caso, e il vero inventore delle televisione libera del nostro paese sarebbe l'ingegnere Pietrangelo Gregorio.

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Nato in provincia di Avellino, e stabilitosi a Napoli dopo aver interrotto gli studi in Francia, nel corso della sua vita Gregorio (oggi 88enne) ha brevettato tante di quelle invenzioni che in un modo o in un altro qualcuna vi sarà capitata tra le mani. La maggior parte di queste si è concretizzata per superare un ostacolo che richiedeva l'uso di un qualche strumento che ancora non esisteva, in un'epoca—quella che va dagli anni Sessanta agli Ottanta—in cui, come dice Gregorio stesso, "era tutto da inventare."

Incuriosito dalla sua storia, l'ho incontrato in un bar di Napoli per farmi raccontare qualche dettaglio nella sua "invenzione" più interessante di tutte: la tv privata.

L'ingegnere si muove molto lentamente, ma compare all'improvviso tra i tavolini impacciato dal suo bastone mentre tenta di sedersi. Ha esattamente l'aria distratta di cui mi avevano parlato, forse per via dei lunghi capelli bianchi alla Einstein e la giacca a quadri verdi in cui tintinnano gli spiccioli. Ma lo sguardo è sicuro e il suo racconto conciso e ordinato.

A metà degli anni Sessanta la televisione stava lentamente entrando come uno dei tanti elettrodomestici nelle case degli italiani. Fino a quel momento gli schermi li si poteva trovare soprattutto nei circoli, nei bar, nelle sedi di partito, dove Carosello e Il Musichiere erano un appuntamento collettivo. Si trattava di un momento di passaggio, la tv si stava diffondendo sempre di più e la domanda di intrattenimento cresceva.

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In quegli anni Pietrangelo Gregorio avevo uno studio nel centro di Napoli, "nel palazzo dell'Upim, alto tredici piani," mi spiega. "Volevo collegare lì un televisore, ma sul tetto c'era poco spazio per le antenne, così chiesi il permesso di collegarmi a quella di un altro e costruii un amplificatore per non disturbare il suo segnale. La televisione si vedeva così bene che si sparse la voce e tutti volevano questo marchingegno. Cominciammo a costruirne un sacco, li mandammo ovunque. Ci eravamo anche attrezzati con una piccola industrietta. Ma poi venne fuori un concorrente più agguerrito e le vendite precipitarono. Mi ritrovai solo con un centinaio di amplificatori e un sacco di metri di cavi."

La regia del telegiornale di Telenapoli negli anni Settanta.

Un giorno, però, all'ufficio si era presentato il direttore dell'Upim: voleva pubblicizzare dei nuovi giocattoli, arrivati per Natale. "Noi per provare gli amplificatori trasmettevamo con una piccola telecamera puntata su una cartolina. Al posto della cartolina ci mettemmo i giocattoli. Allora la televisione era una novità, tutta la gente si accalcava alle vetrine per guardare. Cominciammo così: era il 23 dicembre 1966."

Da quel momento in poi, al posto dei giocattoli, l'ing. Gregorio mise davanti alla telecamere presentatori, cantanti e cabarettisti. Dal suo studio partivano dei cavi, collegati ai televisori posizionati nei bar della zona, dove la gente si riuniva ai tavolini per guardare in diretta gli unici spettacoli che rompevano, per la prima volta, il monopolio della Rai. Nei mesi successivi, mi racconta, i cavi si estesero in tutto il centro storico, mentre ogni bar di questa vasta zona di Napoli trasmetteva gli spettacolini di Gregorio e gli artisti affluivano nei suoi piccoli studios. Nel 1970 venne fondata la società "Telediffusione Italiana – Telenapoli."

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Nel 1972, in Piemonte, dall'idea di Beppe Sacchi—un ex giornalista della Rai—venne invece fuori Telebiella. La notizia, prosegue l'ingegnere, ebbe una fortissima eco nei quotidiani nazionali, perfino in quelli campani, che accolsero con grande entusiasmo la televisione piemontese come la prima tv via cavo in Italia. "Non capivo," mi dice Gregorio, quasi ancora stupito. "Da cinque anni noi mandavamo in onda in tutta la città un palinsesto intero e questi davano la notizia di Telebiella?"

L'occasione per la rivincita sarebbe però arrivata presto, col 23° festival di Sanremo nel 1973. Dopo che la Rai dichiarò che avrebbe trasmesso in televisione solo le ultime due delle quattro serate previste, i giornali si rivolsero pubblicamente a Telebiella perché trasmettesse il resto. Ma Sacchi, in tutta onestà, dichiarò di non avere i mezzi per coprire un evento di tale portata.

L'equipe dello studio 2 di Telenapoli.

Gregorio non aspettava altro: "Caricammo l'attrezzatura su un pullman e partimmo per Sanremo con tutta la troupe. Montammo le telecamere, mettemmo su tutto. Stavamo già facendo le prove quando arrivò il no della Rai: il sindaco di Sanremo ci disse di sloggiare. Ma l'attrezzatura ormai c'era, i manager volevano assolutamente far trasmettere i cantanti a colori."

L'intraprendenza e le conoscenze tecniche dell'ingegnere gli avevano infatti permesso di avere a disposizione la tecnologia necessaria per riprendere a trasmettere a colori, bruciando sul tempo la televisione di Stato. Gregorio risolse tutto fecendo esibire gli artisti per le sue telecamere fuori dal Casinò di Sanremo, dove all'epoca aveva luogo il festival. Tornata a Napoli la troupe montò tutto e trasmise i video in sincrono con le dirette radio delle prime due serate di Sanremo. Erano i primi videoclip.

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Telenapoli conobbe d'improvviso la fama, e lo scalpore—dato anche dalle trasmissioni a colori—mise in luce una galassia di tv locali che nel il territorio nazionale mandavano in onda di tutto, senza controllo. E qui entra in gioco la politica: al governo Andreotti, infatti, tutto questo baccano non andava a genio; e poco dopo, nel marzo 1973, venivano di fatto vietate le trasmissioni televisive via cavo. Ai trasgressori, oltre che una multa salata, erano riservati diversi anni di carcere.

"Quella legge mi aveva rovinato, fu un disastro," ricorda Gregorio. "L'unico a venirci incontro fu Ugo La Malfa, che fece un'interpellanza: se non avessero abolito la legge il suo gruppo avrebbe tolto la fiducia al governo. Così fecero, e il governo Andreotti cadde." La battaglia per la legalizzazione continuò fino all'anno seguente, quando la legge venne definita incostituzionale e le tv via cavo ebbero il via libera.

Approfittando del momento e del vantaggio tecnologico, Telenapoli divenne una grande televisione locale, con 150 dipendenti e 380 chilometri di cavi che collegavano tutti gli edifici della città all'emittente di Gregorio. Ma l'ingegnere voleva continuare a espandersi, e il cavo stava diventando un intralcio. "All'epoca era illegale trasmettere via etere. Ma io dissi: facciamolo, vediamo che succede. Al massimo, se ci arrestano, diciamo che lo abbiamo fatto in nome della libertà di espressione, facciamo i martiri. Gli altri non accettarono." Così, a sue spese, fondò quella che sarebbe poi diventata Canale 21. "Trasmettevo di notte," ricorda Gregorio. "All'inizio si chiamava 'Tele X'."

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Pietrangelo Gregorio, a sinistra, con lo storico armatore e politico napoletano Achille Lauro.

Il progetto pilota andò a gonfie vele e Gregorio fu ancora più determinato a scommettere sull'etere. "C'era comunque il pericolo di disturbare la Rai, dovevamo chiedere ai nostri utenti di comprare una antenna a parte per ricevere il segnale," spiega l'ingegnere. "Ma io feci una follia, decisi di trasmettere su un canale vicinissimo a quello della televisione nazionale, in modo che con la stessa antenna si potesse vedere anche il nostro canale, spostando semplicemente la manopola della tv. Il posto migliore per installare i ripetitori era a Ercolano: la mettemmo sulle pendici del Vesuvio e ci ricevevano in quasi tutta la regione."

Per installare le antenne utili a ricevere Canale 21, molti giovani disoccupati si inventarono il mestiere di "sintonizzatore porta a porta," incassando come compenso l'offerta a piacere dei napoletani. Poi, nel 1976, le televisioni via etere locali furono legalizzate: Canale 21, già operante e in pole position, fece il botto e divenne subito la più importante in Campania.

"Quando uscì la legge," dice Gregorio, "io pigliai il terno. Da Canale 21 passarono un sacco di artisti, anche Benigni, me lo ricordo, tutto impacciato che presentava la Pellegrini, sbagliò anche il nome due o tre volte. Anche Maurizio Costanzo cominciò da noi, fece una specie di talk show. Come anche Enzo Tortora."

Il programma che ebbe maggior successo si chiamava Filo Diretto. "Volevo che fosse la gente a intervenire, che chiamassero in diretta per parlare in pubblico," continua l'ingegnere. "Nessun giornalista accettò di condurre una trasmissione del genere, allora mi misi a farlo io, che sono solo un tecnico. Mi presentai sullo schermo, spiegai come funzionava e da lì in poi fu un grande successo."

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Gregorio spegne le candeline per la 500esima diretta di

Filo Diretto.

Tra le questioni discusse nel programma, ricorda Gregorio, una particolarmente scandalosa riguardò un sistema di sfruttamento e ricatti che alcuni poliziotti avevano imposto a un gruppo di prostitute. "Queste erano venute da me a denunciare tutto, facendo nomi e cognomi. Decisi di parlare della questione durante il programma, denunciammo questi poliziotti corrotti, chiamarono in tanti e se la presero col Prefetto: ne venne fuori uno scandalo tale che il funzionario dello Stato fu sostituito e chi venne al suo posto seppe trovare un accordo."

Un'altra volta, la trasmissione riuscì a far cambiare il nome di una strada di Secondigliano. "Ci telefonarono per chiedere alla municipalità di cambiare il nome di una strada, chiamata allora 'Via Cimitero'," mi racconta Gregorio. "Dopo tre mesi chiamò in trasmissione un assessore e ci comunicò la buona notizia: il nome era stato cambiato in 'Via del Camposanto'."

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Col tempo però le televisioni private, travolte dai colossi di Berlusconi prima e dal web dopo, videro tramontare la loro epoca d'oro. A proposito di Berlusconi, Gregorio ricorda un incontro tra i due—che sono rimasti "amici"—in cui era stata avanzata la proposta di acquisto di Canale 21. L'ingegnere tuttavia rifiutò, e dopotutto non poteva essere altrimenti.

Sul piano imprenditoriale, infatti, la differenza tra Berlusconi e Gregorio è profonda. Il primo ha un talento incredibile per il compromesso e la manipolazione; ha stravinto nella costruzione di un impero mediatico privato in Italia pur non avendo la minima preparazione tecnica in materia.

Quanto all'ingegnere, di certo il compromesso non era il suo forte. Le diverse e ripetute rotture con i soci delle sue emittenti lo hanno messo più volte all'angolo, facendolo lentamente passare in secondo piano—anche se ancora oggi, quasi novantenne, continua a lavorare al suo ultimo progetto, quello della " televisione tridimensionale."

I successi della televisione italiana non sono nati dal nulla: sono in molti a dovere qualcosa a Gregorio, e la sua vita è un pezzo importante della storia dello spettacolo in Italia. Per questo, valeva la pena raccontarla.

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