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Cos'è il vincolo di mandato che Lega e M5S vogliono introdurre per i parlamentari

La nuova bozza del contratto di governo prevede il vincolo di mandato per i parlamentari. Che roba è? E soprattutto: dobbiamo preoccuparci?
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Avete presente quei post che giravano negli anni d’oro di Berlusconi in cui si metteva l’Italia insieme a x paesi del terzo mondo e ci si chiedeva cosa avessero in comune? E la risposta era sempre una cosa tipo “la libertà di stampa” perché nelle classifiche al riguardo l’Italia era alla pari di posti come il Ghana e l’Uzbekistan.

Be’ eccone uno nuovo: cosa potrebbe avere in comune l’Italia con Portogallo, Bangladesh, India e Panama? Sono gli unici paesi il cui non esiste il divieto di vincolo di mandato—ovvero, dove il mandato dei parlamentari è imperativo—cosa che, stando alla nuova bozza di contratto di governo, Movimento 5 Stelle e Lega vorrebbero introdurre anche nel nostro paese.

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Per spiegarlo brevemente, il divieto di vincolo di mandato prevede che i parlamentari non siano obbligati a votare come dice il loro partito né a rimanere per forza nel gruppo parlamentare del loro partito. È un’idea che viene da lontano—l’ha formulata la prima volta Edmund Burke nel 1774 e l’ha ripresa Seyès ai tempi della rivoluzione francese—e che è sancita dalla Costituzione all’articolo 67: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.”

L’idea è che i parlamentari eletti non rappresentino questo o quel partito ma tutto il popolo italiano e che quindi debbano avere il diritto di parlare, votare e agire liberamente. Non possono essere obbligati a seguire le istruzioni di nessuno e non possono essere citati in giudizio per i loro comportamenti politici. Il loro legame con chi li ha eletti è solo una “responsabilità politica” e non un obbligo giuridico. Questo perché altrimenti gli eletti non farebbero gli interessi del paese ma quelli di chi li ha portati in Parlamento.

E infatti, come dicevo all’inizio, il divieto di vincolo di mandato è in vigore in praticamente tutti i paesi democratici del mondo—con le uniche eccezioni di Portogallo, Bangladesh, India e Panama.

L’introduzione del vincolo di mandato (che, detto en passant, costringendo i parlamentari a seguire sempre la linea del proprio leader di partito è l’esatto opposto del famoso slogan “ognuno vale uno”) è un’idea che il Movimento 5 Stelle coltiva da tempo—già nel 2013, Beppe Grillo scriveva che il parlamentare che non segue le direttive del partito con il quale è stato eletto dovrebbe “essere perseguito penalmente e cacciato a calci dalla Camera e dal Senato” perché “il voto è un contratto tra elettore ed eletto.” Questo, invece, è un vecchio video in cui Di Maio inserisce il vincolo di mandato in un discorso più generale:

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La principale motivazione che viene addotta per giustificarlo è che nell'ultima legislatura ci sono stati più di 550 "cambi di casacca," e che così facendo si impedirebbe il trasformismo. Anche se in realtà, come hanno fatto notare politologi come Giovanni Sartori o Giampiero Buonomo, questo non è causato dall’assenza del vincolo di mandato ma dal meccanismo delle liste bloccate—tramite il quale i partiti possono controllare i deputati e i senatori minacciando di non farli rieleggere nella legislatura seguente o, viceversa, convincerli a passare dalla loro parte promettendogli un posto in lista.

Secondo Francesco Costa, dopo anni in cui le opposizioni hanno fatto continuamente ricorso (esagerando) all’argomento dell’attentato alla democrazia e della deriva autoritaria, adesso quella deriva è scritta nero su bianco nel contratto per il nuovo governo: “Introdurre il vincolo di mandato significa rendere il Parlamento superfluo: se i parlamentari devono votare come indicato dai loro leader, allora è inutile votare. Basta una decisione dei leader.”

Probabilmente si tratta di una visione troppo pessimistica—dopotutto l'introduzione del vincolo di mandato sarebbe comunque una misura incostituzionale e secondo diversi costituzionalisti l'articolo 67 della Costituzione non è revisionabile perché "rientra tra i principi fondamentali che la Corte costituzionale pone come limite allo stesso processo di revisione della Carta."

Non dico che non dobbiamo preoccuparci, quindi, anche perché dai in Portogallo non si sta così male.

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