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Le cose sbagliate che fai credendo di salvare l’ambiente

Cannucce di plastica, bottiglie schiacciate, borse di tela: occhio. Ci sono un sacco di cose che facciamo pensando di salvare l'ambiente dall'inquinamento.
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Foto via Unsplash.

Il principio delle tre R che sta alla base di qualunque ragionamento 'ecologico' è molto semplice: Riciclare, Ridurre, Riutilizzare. Sono i tre pilastri a cui è necessario ispirarsi per ridurre il nostro impatto ambientale come singoli, in attesa di paradigmi normativi più sostenibili.

Spesso però, nel caos della svolta “green” che ci troviamo a dover mettere in atto, è difficile distinguere tra azioni sostenibili e specchietti per le allodole. Per fare chiarezza sulle scelte realmente utili all'ambiente, abbiamo messo insieme una lista di abitudini che hanno spesso l’effetto opposto a quello desiderato, tutte all’interno dei già citati principi del riciclare, ridurre e usare.

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In questo articolo non discuteremo delle scelte alimentari, in quanto le sconfinate considerazioni e variabili ad esse associate meritano un approfondimento e uno spazio a sé.

FARE LA DIFFERENZIATA SENZA CONSUMO RESPONSABILE E SELETTIVO

Fare la differenziata non risolve automaticamente il problema della sovrapproduzione e gestione dei rifiuti. Ce lo dice anche la Strategia Europea per la Plastica nell’ Economia Circolare: che siano riusati, riciclati, inceneriti o messi in discarica, gestire i rifiuti domestici e industriali ha un costo economico e ambientale.

Questo vale in particolare per la plastica: a differenza di alluminio e vetro, che possono essere riciclati all’infinito mantenendo le stesse qualità del materiale vergine, nel caso della plastica questo non è possibile. Un articolo del 2017 di Science Advances, Production, use, and fate of all plastics ever made, stima che solo il 9 percento di quella prodotta dal 1950 al 2015 è stata riciclata e fa notare come riciclare plastica significhi nella maggior parte dei casi solo ritardare l’arrivo dell’oggetto in discarica, senza quindi chiudere il cerchio.

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È molto più importante ridurre il consumo e, laddove non sia possibile acquistare prodotti sfusi, porre l’attenzione sul packaging, scegliendo contenitori che abbiano indicazioni chiare per il riciclo.

BUTTARE LE CANNUCCE NELLA RACCOLTA DELLA PLASTICA

Le cannucce sono da tempo l’oggetto monouso più bersagliato dagli ecologisti. A chi non è mai capitato di buttarle nel cestino della plastica e di sentirsi in pace con la differenziata? Purtroppo le cannucce, pur essendo prodotte in plastica riciclabile (spesso in PP - Polipropilene), non sono classificate come imballaggi e pertanto non sono destinate al riciclaggio. Andrebbero buttate nella raccolta dei materiali non riciclabili (ad esempio: Asia Napoli - Dove lo butto?, Ama Roma - Dove si butta? , Amsa Milano - Dove lo butto?). Il motivo sta proprio nella loro forma e leggerezza, che le rendono difficili da raccogliere sui nastri degli attuali impianti, non idonei alla selezione di oggetti di piccole dimensioni.

Un discorso analogo va fatto per le posate di plastica usa e getta, spesso prodotte in polipropilene o polistirene e classificate come non riciclabili. Si tratta spesso di plastica di basso valore, sia economico che materiale, che in seguito al processo di raccolta, si frammenta in piccoli pezzi a causa della scarsa resistenza all’urto. Anche questa plastica è quindi destinata agli scarti dell’indifferenziata, per evitare che si mescoli con altri materiali interferendo nel processo di riciclaggio.

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A tal proposito, il Parlamento europeo ha di recente approvato la nuova legge che vieta l’uso di plastica usa e getta entro il 2021, affrontando il problema alla radice. La strategia europea si concentra anche sull’individuazione ed il sostegno delle alternative provenienti da fonti rinnovabili che siano davvero un’alternativa sostenibile, in modo da non cadere dalla padella alla brace. Noi, nel frattempo, possiamo cercare di ordinare i drink senza cannuccia e usare posate di acciaio o di plastica rigida riutilizzabile che, diciamocelo, sono anche molto meglio.

ECCESSI DI ZELO E SPRECARE TANTA ACQUA

Quante volte ai più dediti all’indifferenziata è capitato di mettere a mollo barattoli e vaschette da buttare, magari con un po’ di sapone? Ecco: le linee guida Conai (Consorzio nazionale per il recupero degli imballaggi) sostengono che il più delle volte non sia necessario, dovendo effettivamente evitare solo i residui di cibo. Spesso, quindi, lavare a fondo gli oggetti è un eccesso di zelo che comporta uno spreco di acqua.

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Sempre tra le linee guida Conai viene indicato come schiacciare le bottiglie consenta di ridurre il volume occupato dai rifiuti, rendendone più efficiente lo smaltimento e minimizzandone i costi di trasporto. Le bottiglie andrebbero però schiacciate a ‘sottiletta’, e non accartocciate, permettendo ai macchinari di riconoscerle e garantendo maggiore stabilità sul nastro mobile, facilitando peraltro la rimozione dell’etichetta. Schiacciare la bottiglia sul lato lungo è quindi un piccolo gesto che le dà più chance di venire selezionata adeguatamente per il riciclaggio.


Guarda il nostro video sullo stile di vita zero-waste, quello in cui si cerca di produrre il minor numero di rifiuti:


BUTTARE IMBALLAGGI BIODEGRADABILI COME FOSSERO NOCCIOLI DI PESCA

Ultimamente i sacchetti biodegradabili e/o compostabili sono finiti nel mirino di molte testate in seguito allo studio dell’Università di Plymouth pubblicato sulla rivista Environemental Science and Technology. Quello che possiamo dedurre da questo studio è che utilizzare questi sacchetti senza abusarne di per sé non è sbagliato, ma rimane importante comprendere come smaltirli.

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Secondo la normativa europea (UNI EN13432), biodegradabile è un materiale che si decompone almeno del 90 percento, in meno di sei mesi in ambiente ricco di anidride carbonica. Compostabile indica invece un materiale che al contatto con altri composti organici, in condizioni standard prestabilite, si decompone per il 90 percento in meno di tre mesi. Sono quindi parametri determinati in condizioni controllate e non valgono per qualsiasi tipo di condizione esterna. A conferma di questo, lo studio dell’Università di Plymouth riporta che solo il sacchetto biodegradabile e compostabile scompare totalmente in meno di tre mesi in acque marine mentre nel suolo (e non nelle condizioni di compostaggio definite dalla norma) resiste per 27 mesi pur perdendo la sua consistenza originaria.

A resistere più tenacemente nell’ambiente sono poi i materiali biodegradabili (non compostabili) che nonostante il nome fuorviante non sono comunque idonei per essere dispersi nell’ambiente (così come tutti gli altri rifiuti).

CONCEPIRE LE BORSE DI COTONE COME SCELTA AUTOMATICAMENTE ECO-FRIENDLY

Siamo abituati a pensare alle borse di cotone come alternative più ecologiche, ma è veramente così? Uno studio della Danish Environment Protection Agency mostra come in realtà la risposta dipenda dalla longevità di impiego. Nello studio vengono confrontati i diversi tipi di buste usati per fare la spesa, dalle quelle in plastica leggera (LDPE o HDPE, ovvero Polietilene a bassa o alta densità) alle sportine di cotone. Analizzando il ciclo di vita di questi accessori ed una vasta gamma di indicatori, dall’impatto sul cambiamento climatico alla riduzione dell’ozonosfera passando per l’effetto sugli ecosistemi, lo studio ha calcolato quante volte dovremmo riusare i diversi sacchetti in modo da neutralizzarne l’impatto ambientale.

Il dato peggiore è registrato proprio per le borse di cotone. Queste, devono essere riutilizzate un numero strabiliante di volte (circa 7000) per azzerare il loro impatto, a causa della grande quantità di risorse necessaria a produrle e dell’inquinamento che ne deriva. Per quanto riguarda il cotone organico, lo studio danese è ancora più severo: il fatto che non vengano usati pesticidi e fertilizzanti diminuisce la resa di coltivazione, determinando una richiesta di risorse maggiore rispetto al cotone convenzionale.

Non è il primo studio ad arrivare a simili conclusioni: un report del 2006 dell’Environment Agency britannica aveva calcolato che una borsa di cotone, in media, deve essere usata almeno 173 volte per avere un impatto ambientale inferiore ad una busta in HDPE. In entrambi gli studi si evidenzia quindi la necessità di sensibilizzare le aziende verso la produzione di oggetti resistenti all’usura e al lavaggio, per facilitarne il riutilizzo. Accumulare borse di cotone potrebbe essere fra le scelte più sbagliate, mentre usare il più possibile quelle che già abbiamo sembra un'opzione più che sensata.

Segui il progetto delle Green Galz su Instagram @green.galz. Si ringrazia per l'aiuto Jandira Moreno di Nascimento.