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medio oriente

Abbiamo parlato di Islam, fondamentalismo e caos in Afghanistan con Farhad Bitani

Bitani, classe 1986, ha trascorso l'infanzia scappando dai talebani ed è sfuggito per miracolo alla morte; poi si è rifugiato in Italia, dove ha cominciato una nuova vita, combattendo per il dialogo interreligioso.
[Foto di DVIDSHUB/Flickr]

L'instabilità politica sta generando sempre più confusione in Afghanistan — dove lo Stato Islamico (IS), talebani e mujahidin si spartiscono il potere.

"In Afghanistan oggi regna la corruzione più sfrenata, esistono diversi centri di potere e la popolazione è stremata e tenuta nell'ignoranza", spiega a VICE News Farhad Bitani, figlio del generale e mujahidin Mohammad Qasim, uomo potente in Aghanistan ed ex fedelissimo di Karzai.

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Bitani, classe 1986, ha trascorso l'infanzia scappando dai talebani e imparando a memoria versetti del Corano, la giovinezza come ufficiale dell'esercito tra colpi di Kalashnikov e feste private nelle case delle famiglie più ricche di Kabul.

Poi, dopo aver visto da vicino la corruzione e il fondamentalismo di matrice islamica, nel 2005 si trasferisce a Roma per seguire il padre nominato addetto militare presso l'Ambasciata dell'Afghanistan in Italia.

Studia all'Accademia Militare di Modena e quando ritorna in Afghanistan, nel 2011 durante un periodo di licenza, sfugge miracolosamente a un attentato terroristico tesogli dai talebani: nel 1999, Bin Laden aveva messo sulla testa di suo padre una taglia di 1 milione di dollari.

È a questo punto che Bitani decide di cambiare vita.

Deposte le armi, nel 2012 richiede e ottiene dall'Italia l'asilo politico. Oggi vive stabilmente a Torino, dove ha iniziato a dedicarsi al dialogo interreligioso; nel 2014 ha pubblicato il libro "L'ultimo lenzuolo bianco. L'inferno e il cuore dell'Afghanistan" (casa editrice Guaraldi, con prefazione di Domenico Quirico).

Ma se in Italia Bitani si è guadagnato il titolo di attivista interculturale, i talebani e i mujahidin accusano l'ex ufficiale di essersi tramutato in un "infedele". E lo minacciano di morte.

VICE News lo ha intervistato prima di una conferenza in una scuola superiore - da anni, infatti, Bitani incontra gli studenti per raccontare la sua testimonianza e spiegare che il dialogo tra islam e Occidente è possibile - per capire qual è la situazione attuale in Afghanistan, anche alla luce dell'attentato terroristico avvenuto a Kabul lo scorso 19 aprile.

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VICE News: Oggi l'Afghanistan vive una situazione politica di estrema instabilità. Chi la controlla?

Farhad Bitani: Nonostante nel 2014 l'80 per cento della popolazione abbia votato Ashraf Ghani come presidente della Repubblica Islamica dell'Afghanistan, è il politico Adbullah Abdullah, che faceva parte dei mujahidin, ad aver preso de facto il potere.

Ghani è solo un presidente de iure e la sua figura è poco determinante nella politica afghana. Ora il potere è concretamente in mano ai mujahidin: infiltrati nei ministeri e nelle banche, hanno nelle loro mani la maggior parte della ricchezza del paese. E controllano il mercato della droga.

Quali sono le attuali piaghe dell'Afghanistan?

Prima di tutto la corruzione dilagante. Questa è dovuta da un lato all'assenza di un potere centrale forte e stabile, dall'altro allo sconforto e alla mancanza di ideali nella popolazione. Questo stato d'animo si è diffuso ovunque come conseguenza anche del fatto che, dopo anni di operazioni di peace building da parte della Nato, non si sia giunti a un'effettiva stabilità politica. Ciò spinge spesso anche gli uomini onesti, non appena giungono in posizioni di potere, ad arraffare tutto il possibile e a darsi alla corruzione per arricchire la propria famiglia.

Farhad Bitani, trent'anni. [Foto di Alberto Rossignoli]

Con l'attentato del 19 aprile scorso i talebani hanno dato il via alla cosiddetta 'offensiva di primavera'. Nel paese sono tuttavia presenti anche forze riconducibili allo Stato Islamico (IS). Qual è il rapporto quindi tra IS e i gruppi talebani?

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IS è prima di tutto una realtà economica. In Afghanistan i gruppi terroristici - ma non solo - che vogliono arricchirsi non fanno altro che sostituire la bandiera bianca dei talebani, che non fa più paura, con quella nera dello Stato Islamico, molto più temuta e "autorevole".

In sostanza, "IS" è diventato una marca che va molto di moda. I talebani che passano a Daesh sono finanziati anche dal Pakistan e dall'Arabia Saudita, e si stanno rafforzando e diffondendo soprattutto nelle province di Kandahar, Nangarhar e Helmand.

Ma ripeto, la forza di IS e dei talebani in Afganistan è un problema meno urgente rispetto alla corruzione dilagante del governo che stringe affari coi mujahidin. Se ci fosse uno Stato forte a Kabul, il terrorismo oggi non sarebbe un fenomeno così radicato nel paese.

Leggi anche: Lo Stato Islamico avanza in Afghanistan, ma le milizie locali stanno reagendo

L'Afghanistan è tuttora martoriato da una guerra civile e subisce le dolorose conseguenze dell'instabilità politica. Quali sono in questo frangente le responsabilità dell'Occidente? E perché il paese è tuttora nel mirino delle grandi potenze?

Gli Stati Uniti hanno combattuto la guerra contro l'URSS finanziando i mujahidin, così come avvenuto nel 2001 nella "guerra al terrore" contro i talebani. Il risultato attuale è che gli stessi combattenti supportati un tempo da Nato e America sono quelli che oggi si sono infiltrati silenziosamente nei rami dell'apparato statale: è questo che ha distrutto la situazione politica afghana.

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A questo si aggiunge che gli Usa, dopo il 2002, hanno aiutato l'Afghanistan con 104 miliardi di dollari. Quei soldi sono tutti finiti nelle mani dei fondamentalisti. In più, sono saliti alle stelle i profitti derivanti dal commercio della droga rispetto al periodo precedente ai talebani.

A che punto è la strumentalizzazione e la radicalizzazione dell'islam in Afghanistan?

Le vere vittime del fondamentalismo sono i musulmani: bisognerebbe parlare appunto di fondamentalismo, scorporando da esso l'elemento religioso. Se si è arrivati a questo livello di snaturamento dell'islam è perché noi musulmani non possiamo contare su un rappresentante unico della religione, come per voi è il Papa. Non avendo un riferimento univoco, sono molti i gruppi che tentano di dare una loro interpretazione della fede funzionale al controllo della popolazione e al proprio arricchimento.

In Afghanistan funziona così, la religione è uno strumento di cui è facile servirsi per manipolare le masse. È molto difficile conoscere davvero l'islam quando vivi in Afghanistan: la traduzione del Corano in pashtu o in dari è vietata [il libro, scritto in arabo, viene conosciuto attraverso le parole del mullah che recita il corano a modo suo, ndr].

Nella regione al confine col Pakistan – regione del Waziristan – ci sono migliaia di scuole coraniche che fomentano il fanatismo religioso. Insomma, cresci senza mai entrare in contatto con altre culture.

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A proposito, come è visto l'Occidente dagli afghani?

L'ignoranza e la non conoscenza di ciò che sta al di là dei propri confini genera odio verso il diverso. A questo si aggiunge il fatto che da anni la popolazione è martoriata dalla guerra, e che la presenza di truppe occidentali non ha fatto che peggiorare la situazione politica del paese. In questo contesto è abbastanza normale che gli afghani generalizzino e guardino agli occidentali come a dei kafir, gli infedeli.

Corruzione, arricchimenti illeciti e grandi affari: l'Occidente banchetta al tavolo con le potenze afghane?

La collocazione strategica dell'Afghanistan ha sempre fatto gola alle grandi potenze, dalla Nato alla Russia. In particolare perché si trova in una posizione molto pericolosa per Israele. Poi ci sono il mercato della droga - rifiorito dopo il ritorno dei talebani - e le miniere. Ma anche il confine con la Cina. I vantaggi per le potenze della Nato di mantenere il paese nel caos sono i profitti derivanti dal commercio di armi e dell'oppio, il controllo della posizione strategica, l'abbassamento del costo del petrolio.

La Cina sembra essere molto interessata all'Afghanistan, a livello economico. Sono già avvenuti i primi contatti con il presidente Ghani. Che si stia aprendo un nuovo canale preferenziale?

La Cina sta allungando le mani sul nostro paese, e si tratta di un unicum nella nostra storia: non ci sono mai stati contatti con il paese del Dragone prima. La Cina è interessata a far passare il gas attraverso l'Afghanistan e a stringere rapporti commerciali che le consentano di sfruttare nuove vie.

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Nel contesto che racconti, come si può combattere il fondamentalismo?

Attraverso l'educazione, il dialogo e la conoscenza del diverso. Nel 2013 ho fondato insieme ad altri tre rifugiati afghani provenienti da famiglie influenti l'ONG Global Afghan Forum, che oggi conta 20mila iscritti. Le donazioni che arrivano dall'estero non servono a nulla perché spesso i soldi finiscono nelle mani sbagliate.

L'unico modo per risollevare il paese e aumentare la consapevolezza del popolo è promuovere gli scambi tra professori afghani emigrati e le scuole in Afghanistan: attraverso la nostra ONG creiamo dei collegamenti con l'estero e promuoviamo lo sviluppo di un nuovo sguardo sull'Occidente.

Leggi anche: Questi dati ONU dimostrano che la guerra in Afghanistan è sempre peggio

E il governo afghano, così intransigente verso gli "infedeli", permette questo tipo di attività interculturali?

Sì, perché sono condotte da afghani che conoscono la cultura del paese. Ghani appoggia la nostra iniziativa, ha presenziato anche all'inaugurazione del Global Afghan Forum.

Sarebbe possibile realizzare questo processo dall'interno, senza appoggiarsi a ONG estere?

È molto difficile agire dall'interno: io per esempio non posso tornare in Afghanistan. Sono visto come un traditore, un infedele. I giornali mi hanno denunciato come cristiano, anche se sono musulmano, solo per il fatto di essermi fatto portavoce del dialogo interreligioso.

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Se tu informi il popolo logorato dalla guerra voluta dai ricchi spiegandogli che la religione è lo strumento con cui i poteri forti mantengono i cittadini soggiogati e ignoranti, rischi la morte e vieni subito calunniato.

Esistono centinaia di persone come me, ma spesso sono costrette a lasciare il paese per non finire in prigione o uccise. I poteri forti, quelli economici – e anche i media – hanno tutto l'interesse a vietare il dialogo, la libertà di stampa e quella di opinione.

Un'ultima domanda sugli afghani in Italia. Siamo in un momento storico dove la paura dello Stato Islamico sta portando a una fobia generalizzata dell'islam. I musulmani rischiano di diventarne i nuovi capri espiatori. Come si può fare per far sì che questo non accada, proprio ora che riprendono le ondate migratorie?

I fondamentalismi in Europa nascono quando non si trova un'identità, o quando viene sottratta la propria, che spesso per molti coincide con la religione. In Italia, secondo me, non si verificheranno gli attentati che sono accaduti in Francia e Belgio.

Questo perché siete un popolo accogliente e perché l'identità italiana è molto forte e presente. Ma la situazione non può continuare così: se l'Europa non aiuta l'Italia e continua ad alzare i muri, la situazione degenererà ed è probabile che si scateni una guerra tra poveri. Il segreto è, ancora una volta, lavorare sull'educazione e sul dialogo.

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Foto di DVIDSHUB via Flickr in Creative Commons.