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Dall'omicidio di Luca Varani al suicidio di Marco Prato: storia di un caso

Dopo il suicidio in cella di Marco Prato, abbiamo provato a ricostruire il suo caso a partire dalla morte di Luca Varani.

Nella notte tra il 19 e il 20 giugno 2017, Marco Prato si è tolto la vita in carcere, soffocandosi con un sacchetto di plastica, il tutto nella stessa cella del compagno che, ha dichiarato, "non si è accorto di nulla." Prato aveva 31 anni ed era in attesa di essere processato per l'omicidio di Luca Varani, il 23enne che nel marzo 2016, dopo essere sparito per due giorni, era stato trovato morto in un appartamento al Collatino, nella periferia est di Roma, con un coltello ancora conficcato nel ventre.

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L'efferatezza e il contesto in cui l'omicidio era avvenuto—durante un festino a base di alcol e cocaina organizzato da due giovani di buona famiglia, comprendente anche un presunto ricatto sessuale—l'avevano fatto diventare subito un caso nazionale, al centro del quale si stagliavano le figure (e le vite) dei due protagonisti e presunti assassini: il 28enne Manuel Foffo, proprietario dell'appartamento in cui era stato commesso l'omicidio, e appunto Marco Prato, ritrovato qualche ora dopo in un hotel in zona piazza Bologna dopo aver assunto dei barbiturici, in uno stato di semi-incoscienza che faceva pensare a un tentato suicidio.

Stando a dichiarazioni rilasciate da Foffo in fase di interrogatorio—e nonostante le prime indiscrezioni lasciassero intendere il contrario—Marco Prato e Manuel Foffo non avevano una relazione, né sentimentale né di amicizia. "Marc [ il soprannome con cui è conosciuto Marco Prato] è gay, io sono eterosessuale. Abbiamo avuto un rapporto e lui aveva un video, così ho temuto che potesse ricattarmi e ho continuato a vederlo," riportavano i giornali.

Sempre durante gli interrogatori Foffo aveva raccontato che lui e Marco Prato si sarebbero ritrovati nell'appartamento del Collatino mercoledì, con Prato provvisto di un quantitativo di cocaina pari a 1.800 euro. "Ricordo che il 4 marzo Marco ha mandato un messaggio WhatsApp a Luca," avrebbe spiegato Foffo. Il messaggio conteneva una richiesta: 100 euro in cambio di una prestazione sessuale. "Marco mi ha detto che si prostituiva, fra noi c'è stato quasi un tacito accordo. Mentre noi siamo rimasti vestiti, Luca si è denudato e poi ha bevuto quello che gli avevamo offerto. Poi è andato in bagno e si è sentito male. Marco lo ha aggredito e gli ha detto che sia io sia lui avevamo scelto che doveva morire. Ho preso io il martello e forse anche i due coltelli. Luca non è mai riuscito a resistere alle nostre violenze." Ciò che è stato messo maggiormente in risalto dalla stampa nei giorni successivi, però, è stata la premeditazione e l'aver ucciso un uomo "per vedere che effetto fa." Foffo ha raccontato di come i due avessero incontrato altre persone, fossero addirittura usciti in macchina per trovare "una vittima", ma, soprattutto, che "in passato avevo avuto un momento in cui avevo l'intenzione di far del male a qualcuno. Non so come questa idea è maturata tra me e me, ma anche se ho avuto questo pensiero in passato, lo stesso è rimasto tale e non ho mai pensato che potesse concretizzarsi. Non mi ritengo capace di aver fatto quello che ho fatto."

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Poco dopo l'omicidio, invitato in studio a Porta a porta, il padre di Foffo lo aveva descritto come un ragazzo modello "contro la violenza, molto buono, forse eccessivamente buono" e "riservato, con un quoziente intellettivo superiore alla norma"; più tardi, nel corso degli interrogatori, Foffo aveva confessato al pm di voler uccidere il padre dicendo anche che "forse ho combinato tutto questo per vendicarmi di lui."

A parte questo, però, i dettagli sulla figura di Foffo sono quantomeno nebulosi e l'attenzione su di lui—anche a seguito della sua confessione, che successivamente ha portato a una condanna con rito abbreviato e, lo scorso 21 febbraio, al patteggiamento per 30 anni di carcere—è andata man mano scemando.

Viceversa, nel frattempo il personaggio di Marco Prato ha assunto contorni sempre più pittoreschi. Già qualche giorno dopo i fatti, il Giornale aveva pubblicato un articolo—il primo di una lunga serie—dal titolo "Uno dei killer era fidanzato con la Vento." Rimandava a un altro articolo, pubblicato nel 2014 su Oggi, in cui Flavia Vento presentava Marco Prato:

"Si chiama Marc Prato, organizza eventi, è laureato in Scienze politiche, studia recitazione e vive tra Roma e Parigi, perché sua madre è francese. Siamo fidanzati da un mese e mezzo, ci siamo conosciuti per caso: io stavo mangiando un gelato in Piazza di Spagna quando i nostri sguardi si sono incrociati. E la sera siamo usciti a cena. Chissà se è l'uomo giusto. Per ora l'amore c'è. Io lo faccio ridere e lui è un santo perché ama i miei sette cani, mentre i miei ex li odiavano. È dolce, sensibile e non è geloso dei messaggi che scrivo su Twitter per Leonardo Di Caprio".

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Quella dell'ex di Flavia Vento, però, è solo una delle tante caratterizzazioni attribuite a Marco Prato. L'8 marzo 2016, Il Messaggero l'aveva definito "manager bipolare" e "pazzo per la cocaina", raccontando di come "preferisse rimorchiare gli eterosessuali" e, ancora, di come una volta "avesse sottratto 1200 euro con un bancomat ad un amico, rubandogli anche un anello." "Per tutti la colpa principale è della cocaina, da cui quel ragazzo bilingue, che ogni tanto dava ripetizioni di francese, era ossessionato. Soprattutto la notte, quando si faceva vedere nelle più popolari discoteche dedicate al pubblico LGBT," concludeva l'articolo. Qualche giorno dopo, Dagospia aveva poi titolato: "Marco Prato e quel sogno di essere una donna, la reincarnazione della cantante Dalida. Voleva cambiare sesso. Sempre a caccia di ragazzi etero pronti a prostituirsi."

Nel frattempo tra Prato e Foffo era iniziato uno scambio di accuse che univa i momenti con Varani alla stanza d'albergo di piazza Bologna. In quella stanza d'albergo Prato aveva lasciato un biglietto per i genitori contenente l'invito a fare "sempre feste" e indicazioni per il suo funerale. "Buttate il mio telefono e distruggetelo insieme ai due computer," chiedeva inoltre, "nascondono i miei lati brutti." Sul telefono di Prato, i carabinieri avrebbero poi trovato "due video palesemente pedopornografici."

Foffo aveva una responsabilità nel tentato suicidio di Prato coi barbiturici, o, come avanzato dagli inquirenti, si era trattato di una "messa in scena" di quest'ultimo per scaricare le colpe su Foffo? Come emerso successivamente, non era la prima volta che il nome di Prato veniva accostato a un tentato suicidio: ci aveva già provato due volte nel 2011, quando era tornato a Roma da Parigi dopo la fine di una relazione.

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Dopo l'arresto, Prato era stato rinchiuso nel carcere di Regina Coeli, nel reparto destinato ai chi commette crimini sessuali. Da lì aveva accusato Foffo, ammettendo di essere stato lui a contattare Varani "perché con Manuel avevamo deciso di mettere in atto un gioco erotico e una violenza sessuale" ma che era stato Foffo a somministrargli lo psicofarmaco che l'aveva stordito e poi ad ucciderlo. "Io non ho reagito perché ho avuto paura anche per la mia incolumità. Manuel si è comportato in maniera assurda. "Sul suo è stato un raptus violento e io sono rimasto bloccato anche perché lo amo e sono succube della sua personalità." —sono alcune delle sue dichiarazioni riportate dalla stampa.

In seguito, Prato era stato trasferito nel carcere di Rebibbia e poi in quello di Velletri. Le ultime notizie che lo riguardavano l'avevano descritto come esausto della detenzione e in qualche modo deciso a passare alle "maniere forti". Il settimanale Giallo, nell'anniversario dell'omicidio, aveva pubblicato dei documenti secondo cui sarebbe stato sieropositivo.

Nello stesso periodo erano emerse le prime parole pronunciate da Prato al padre durante i gli orari di ricevimento nel carcere di Rebibbia, su cui la stampa aveva calcato la mano per proseguire nel ritratto di un giovane snob viziato e bipolare: "La situazione in carcere è dura. Non ci sono termosifoni e le finestre sono medioevali. Non ci sono attività, niente da fare… Io vorrei frequentare un corso di buddismo, ho bisogno di relax, per me è importante l'orientamento del pensiero…"

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In queste occasioni, Prato avrebbe chiesto al padre, una figura vicina al Ministero dei Beni Culturali, di contattare "i tuoi amici. Il deputato, il senatore, quelli che conosci tu…" facendo emergere anche la figura di Christian De Sica. Prato aveva infatti sostenuto di avere sul telefono delle foto compromettenti dell'attore romano e di essere pronto a divulgarle a meno che "non si faccia qualcosa."

Il 20 giugno scorso è stato ritrovato durante il giro di ispezione con un sacchetto di plastica in testa: sarebbe morto asfissiato dal gas della bomboletta che aveva in dotazione in cella. Secondo lo psichiatra dell'Asl che lo aveva in cura, non aveva mostrato tendenze suicide: "[ è stato] visitato con regolarità dallo psichiatra dal 14 febbraio, che ha effettuato le visite a cadenza settimanale […] durante le valutazioni cliniche non sono state riferite intenzionalità anticonservative. Umore riferito come non depresso," si legge nella relazione inviata da questi al Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria. Il Garante dei detenuti ha però parlato di un suicidio "per molti versi annunciato": "il rischio suicidio per Marco Prato nel carcere di Velletri era elevato ed era stato segnalato alle autorità competenti, ma senza risultati."

Nella sua cella Prato ha lasciato una breve lettera: "Non ce la faccio a reggere l'assedio mediatico che ruota intorno a questa vicenda. Io sono innocente," ha scritto. Anche in questa lettera ritorna la figura del padre: Prato ha scritto di voler un medico accanto al proprio genitore nel momento in cui gli verrà comunicato della morte del figlio.

Il processo contro Prato, accusato di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà, non era ancora cominciato: la prima udienza era stata rinviata due volte e si sarebbe dovuta tenere proprio oggi in sua presenza. Questa mattina il processo a suo carico si è chiuso comunque: "È stata dichiarata l'estinzione del reato per intervenuta morta del reo, non ravvisando ragioni che possano consentire l'assoluzione nel merito," ha dichiarato Alessandro Cassiani, difensore della famiglia Varani. Al momento, l'unico colpevole resta quindi Foffo.

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