Alchermes liquore
Foto di Luca Zandri per Munchies Italia
Cibo

Questo superalcolico è uno fra i più antichi d'Italia, ma non lo beve più nessuno

Tendiamo a considerare l'Alchermes un liquore da cucina, ma l'alcolico rosa/rosso risale al 1200 e ha fatto parte della storia italiana.
Francesco Morresi
Senigallia, IT

“Nel giardino di Lorenzo il Magnifico l’alchermes è stata per anni la bevanda preferita da scultori, pittori e poeti”

Se sei cresciuto in centro Italia probabilmente tua nonna ne tiene una bottiglia da parte, a prendere polvere sullo scaffale di una credenza. Se sei cresciuto al Nord o al Sud è possibile che tu non ne abbia mai sentito parlare, o che al massimo tu abbia letto il nome di sfuggita, nella ricetta di un qualche dessert. Una cosa è sicura: se ti è capitato di assaggiarne una bottiglia a caso, il sapore ti avrà lasciato perplesso.

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Se l’aspetto dell’alchermes è curioso, rosso vivace, il sapore è tutt’altro che invogliante: dolce come una cucchiaiata di sciroppo. Non esattamente il tipo di superalcolico che va di moda ora, in tempi di grappe secchissime e whisky super-affumicati.

Oggi l’alchermes viene utilizzato quasi solamente in pasticceria: tanto per dirne qualcuna, le castagnole fritte di Carnevale vengono imbevute di alchermes, e sempre con il liquore si preparano le pesche di Prato e gli strati rossi della zuppa inglese. 

Un liquore da cucina ma non da bevuta

Ma perché, se l’alchermes viene tanto usato in cucina, non si beve più? Perché uno dei primi liquori inventati dall’uomo ora viene servito nemmeno nei peggiori baracci di provincia? Ripercorriamo un po’ la sua storia per capirlo.

Partiamo dal nome. Alchermes deriva dall’arabo al-qirmiz, cocciniglia, un piccolo insetto da cui si estrae il colorante naturale rosso usato nella ricetta. Quello che una volta tingeva anche il Campari per intenderci. Le prime tracce di un liquore rosso simile all’alchermes, nel nostro paese, sono in Toscana, dove probabilmente è arrivato dalla Spagna, che faceva da ponte per il mondo arabo.

“Essendo al massimo grado corroborante, ravviva potentemente gli spiriti […] irrobustisce tutto l’organismo, rendendolo più resistente alle malattie”

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Sappiamo con ragionevole certezza - ragionevole, non mi sbilancio che sennò si arrabbiano tutti - che la prima ricetta fiorentina sia stata prodotta dalle suore dell’ordine di Santa Maria dei Servi, fondato nel 1233. Era una sostanza medicinale e stava a scaffale come “elisir di lunga vita”. Di questa ricetta non sappiamo altro. Verso il quindicesimo secolo aumentano però le notizie. In città la popolarità di questo liquore cresce e, se prima ne veniva prescritto il consumo solo a chi fosse uscito da una brutta malattia o alle donne dopo il parto, ora i fiorentini iniziano ad apprezzarne anche il gusto. Complice del successo è senz’altro il bellissimo colore. Il rosso è il colore delle cose preziose ed è probabile che anche un liquore potesse diventare l’occasione per sottolineare l’appartenenza ad uno status tra le famiglie di Firenze. 

Nel giardino di Lorenzo il Magnifico l’alchermes è stata per anni la bevanda preferita da scultori, pittori e poeti. Questi, durante le loro riunioni, ne consumavano bottiglie su bottiglie, ci si ubriacavano proprio. Sono artisti e liberi pensatori e io non ho nessuna intenzione di consegnare alla storia l’austera immagine di un artista sobrio! Col tempo anche i pontefici de’ Medici se ne innamorano. Pare infatti che sia Leone X (Giovanni de' Medici, figlio secondogenito di Lorenzo e papa dal 1513 al 1521) sia Clemente VII (Giulio de’ Medici, nipote di Lorenzo e papa dal 1523 al 1534) fossero diventati grandi estimatori dell’alchermes fiorentino e con loro il prodotto raggiunge Roma. 

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“Voleva continuare a preparare il gelato alla zuppa inglese e non riusciva a trovare un alchermes che gli piacesse”

A portare invece l’elisir oltralpe è stata Caterina de’ Medici. Questa sposerà Enrico II nel 1547 e sarà regina di Francia fino al 1563. Sono in molti a credere sia stata Caterina, e il suo seguito di cuochi italiani, a gettare le basi per il successivo sviluppo della cucina francese (ne parliamo anche in questo articolo sul profiterole). Sarà lei a portare l’uso delle forchette in una corte dove ancora si mangiava con le mani e sempre grazie a lei l’alchermes diventerà una moda nel paese. Da subito chiamato: “liquore de’ Medici”.

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L'autore assaggia l'Alchermes

Ma dove veniva prodotto tutto questo liquore a Firenze? A Santa Maria Novella, in una farmacia gestita dai frati domenicani, se ne producevano centinaia di bottiglie ogni mese. Ad oggi è considerata la farmacia storica più antica d’Europa e uno dei esercizi commerciali più vecchi al mondo. 

Con un balzo di un paio di secoli arriviamo al 1743, quando il direttore di questa officina è Fra’ Cosimo Buccelli. È questo frate a trascrivere la più antica ricetta a noi pervenuta. Nel suo manoscritto, a proposito del nostro liquore, racconta: “Esso poi, essendo al massimo grado corroborante, ravviva potentemente gli spiriti e ponendoli in maggiore attività, irrobustisce tutto l’organismo, rendendolo più resistente alle malattie”, dando prova che ancora nel 1743 la convinzione che questo elisir fosse un tonico medicamentoso era ben radicata. La ricetta codificata da Fra’ Cosimo si può ancora assaggiare. La farmacia, pur se passata ad una gestione laica nel 1866, vive ancora di ottima salute e continua a produrre alchermes con gli stessi metodi e secondo la stessa ricetta.

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Usare oggi l’alchermes

Veniamo ai nostri giorni. Ho la fortuna di abitare nella stessa città di due professionisti che vogliono riportarlo nei bicchieri.

Potremmo semplificare dicendo che Oscar Quagliarini è un bartender, un distillatore e un profumiere, ma forse la parola migliore per descriverlo è proprio “alchimista”. Quando non è dietro un bancone a preparare drink è in giro per il mondo tra spezie e mercati. Mi dà appuntamento nel suo laboratorio di Senigallia: le Garagiste.

Le Garagiste.jpg

Il posto è piccolo e poco illuminato, sulla sinistra si allunga un tavolo pieno di ampolle e fornelli, mentre una parete bianchissima è completamente ricoperta da boccette nerissime. Qui produce liquori e profumi da materie 100% naturali, un po’ per la sua linea personale, un po’ sono per dei committenti che cercano un prodotto che ancora non esiste. Uno di quei committenti è proprio Paolo Brunelli, uno dei gelatai migliori d’Italia: “Paolo è partito da una questione molto semplice: voleva continuare a preparare il gelato alla zuppa inglese e non riusciva a trovare un alchermes che gli piacesse.” 

“Quando i nipotini correvano in lacrime dalla nonna questa ne calmava i pianti con uno o due cucchiai di liquore”

Secondo Oscar non c’è da stupirsi che le persone abbiano smesso di berlo. “Non si beve perché in giro non ce ne sono di bevibili. Se fai solo roba industriale con liste di ingredienti chilometriche e coloranti artificiali è normale che pian piano le persone scappino.” L’alchermes ha seguito una parabola tristemente nota ad altri prodotti: non è nato industriale, ma è quasi un secolo che viene prodotto solo industrialmente. “Passare a ricette sofisticate ha stravolto la natura del prodotto,” spiega Quagliarini. “In pasticceria si continua a usare solo perché sono di più quelli che si accontentano di una bagna rossa speziata qualunque rispetto a quelli che vogliono un prodotto fatto bene.” Sorpresa: un alchermes buono per la pasticceria può essere buono anche da bere. 

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L'autore con Oscar Quagliarini

Quagliarini ha adattato la ricetta ai gusti di oggi. Il suo alchermes ha un profilo alcolico più leggero (23% vol.), è semplice ed è molto più aromatico: “Un bouquet di profumi del genere si può prestare sia alla miscelazione sia al consumo schietto; con una base amaricante diventerebbe anche un ottimo bitter." Brunelli ha iniziato a servirlo caldo, “ed è molto più buono di quel cavolo di punch al mandarino che bevono in giro.” Sta facendo degli esperimenti di gelificazione e pensa che possa anche diventare un’alternativa senigalliese alla moretta di Fano [un nome dalla storia molto triste, NdR] un caffè liquoroso che consumavano i pescatori in inverno.

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Mi spiega anche procedimento: “Il nostro non è l’alchermes del 1500, ma viene fatto esattamente con lo stesso metodo. Sette passaggi nel percolatore per ottenere la tintura madre da ogni botanica.” Il percolatore è uno strumento per fare estrazioni a goccia, un cilindro d’acciaio con un filtro e un rubinetto alla base. Dentro ci si mettono le spezie, vengono umettate d’alcol e con la pressione esercitata da un peso si ottiene lo stillicidio dal rubinetto: “ricomponi un equilibrio di profumi e aggiungi alcol, acqua e zucchero. Niente di più.”

Oscar prende un piccolo bicchiere da una credenza e me ne versa un po’. Dolce è dolce, più di quanto sia abituato, ma lo spettro aromatico è molto interessante: si passa dai profumi tipici della sangria, cannella e chiodi di garofano su tutti, alle note  più asprigne di cardamomo e anice. Una nuvoletta di acqua di rose chiude il sorso sbattendoti sul naso leggera leggera non appena appoggi il bicchiere. Versato in un piccolo bicchierino trasparente sembra davvero un sorso di pozione.

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Il gelato della gelateria Brunelli

Rientrando verso casa mi fermo in una della gelaterie di Brunelli. In una vetrinetta stanno delle sfere ricoperte di cacao c’è scritto: “Palla di zuppa inglese”. È un semifreddo. Ne prendo una, torno in strada e tiro il primo morso. Credo che sia stata la migliore zuppa inglese della mia vita. 

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Se nei dolci bastava qualcosa che tingesse di rosso tanto valeva usare il mercuriocromo con cui mia madre mi disinfettava da piccolo le gambe.  Si dice che anticamente in Sicilia l’archemisi fosse usato per esorcizzare la paura dai bambini. Quando i nipotini correvano in lacrime dalla nonna questa ne calmava i pianti con uno o due cucchiai di liquore. 

L’alchermes è buono e si può bere. Solo che certe bottiglie fan spavento da quanto son cattive. 

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