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Illustrazione via Shutterstock/re_bekka.
Salute

Ho subito un trauma, poi ho iniziato a 'sentire le voci'

Gli “uditori di voci” sono spesso associati alla schizofrenia o altre patologie, ma non è necessariamente così. Ne abbiamo parlato con Cristina Contini, dell’associazione Sentire le Voci.

“Ammesso che tu riesca a dormire la notte, le voci ti tormentano da appena ti svegli. Sono martellanti. Quasi sempre dicono cose denigratorie e appartengono a persone che conosci, genitori, parenti. È ingestibile. Perdi totalmente la capacità di concentrarti,” mi ha raccontato Cristina Contini la prima volta che l’ho incontrata. “Per me è iniziato tutto dopo il coma. Al risveglio mi sono ritrovata la stessa persona, ma con dei sintomi strani. Sentivo decine di voci, tra cui quella di mia nonna morta, e non capivo da dove venissero.”

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Cristina sente le voci da quando, a 19 anni, è stata in coma in seguito a un intervento. In Italia è un punto di riferimento per gli “uditori di voci” (un termine tecnico scelto poiché, spiega, sentire le voci non è di per sé sintomo di una malattia, né la patologia a cui è eventualmente associato è una unica), ma anche per psichiatri e psicologi interessati a studiare meglio il fenomeno.

Nel 2005, infatti, ha fondato l’associazione Sentire le Voci nella sua città (Reggio Emilia) sul modello del network internazionale Intervoice. Si tratta di una realtà che accoglie pazienti da tutto il territorio nazionale e mette loro a disposizione un team multidisciplinare di professionisti e uditori di voci con cui consultarsi. Cristina ha anche raccontato la sua esperienza nel libro Una vita, due vite.

Le persone come lei sono la testimonianza che convivere con il disturbo non è impossibile. “Dopo il forte disagio iniziale e un lungo lavoro di ricerca e introspezione, ho imparato a dominare le voci e sono riuscita ad avere una vita apparentemente normale. Ho portato avanti una carriera, ho avuto un figlio e ho trovato un senso a quello che mi era accaduto mettendomi al servizio degli altri,” mi ha spiegato.

Cristina ha iniziato a interessarsi alla parte clinica del fenomeno e ad aiutare gli altri uditori di voci grazie a uno psichiatra del dipartimento di salute mentale dell’università di Reggio Emilia che si è messo in contatto con lei. “Voleva capire come fossi riuscita a domare le voci, ad andare avanti con la mia vita, a non sfociare nella patologia,” racconta. “Da quel momento è iniziata una collaborazione grazie alla quale ho avuto modo di interagire con persone che avevano le mie stesse caratteristiche. Ho capito che tutte avevano forti traumi: abusi, abbandoni, incidenti.”

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In questo modo Cristina è diventata una delle prime esperte per esperienza in Italia, ossia persone che vivono sulla loro pelle determinate condizioni psichiatriche e fanno da tramite tra medici e pazienti, in modo complementare rispetto alle terapie.

“In Italia negli ultimi 15 anni è cambiato molto. All’inizio, alle conferenze, gli psichiatri mi aggredivano perché ‘non ero nemmeno laureata’, dicevano che non avevo il diritto di parlare. Ma non capivano che il mio ruolo era un altro: comunicare con la comunità scientifica, sostenere le persone come me e divulgare,” ha proseguito. “Condividere la propria condizione con qualcuno che li capisce, mette gli uditori in uno stato di tranquillità. Quando vengono da noi a chiedere aiuto, il mio ruolo è aiutarli nella pratica di decodifica, cioè a discernere le voci, a capire quante sono, se sono interne o esterne, a chi appartengono.”

Spesso gli uditori sentono decine di voci indistinguibili, a volte anche un centinaio. Il lavoro di decodifica è complesso, riconduce le voci al trauma che le ha originate e le rende più facilmente controllabili. La decodifica iniziale facilita il percorso successivo con gli psichiatri, gli psicologi, gli educatori e gli altri professionisti dell’associazione. Capire se le voci sono interne o esterne, ad esempio, è un punto di partenza fondamentale per la terapia.

“Quando le voci sono pensieri ossessivi e interni, la persona tende a diventare autolesionista: sbatte la testa, si fa del male, fa di tutto per metterle a tacere. Se invece le voci sono sentite come esterne si diventa aggressivi: ci si sente controllati e si reagisce di conseguenza,” ha continuato Cristina. “Se senti tua madre che ti denigra continuamente, è normale che diventi aggressiva con lei anche se il motivo, ovviamente, non è reale. Più spesso di quanto si creda omicidi e suicidi possono essere ricondotti alla difficoltà a sopportare le voci oppure a comandi provenienti da queste. Ci sono diversi casi di cronaca.”

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Negli ultimi anni, l’associazione Sentire le Voci ha lavorato soprattutto con bambini e adolescenti, ma non solo. “Di solito le voci arrivano a quattro o cinque anni dal trauma, spesso in piena età evolutiva,” mi ha spiegato Cristina. “Con gli adulti il lavoro è molto più complicato perché, trascurando il sintomo, negli anni tendono a costruire barriere psichiche difficili da valicare.”

Anche per questo il lavoro di sensibilizzazione e divulgazione è importantissimo. Come molti altri temi che riguardano la salute mentale, il sentire le voci è legato a uno stigma. Spesso, per paura, è taciuto da chi ne è affetto—molti uditori tendono a chiudersi in un mutismo incomprensibile dall’esterno—sottovalutato dai famigliari o non compreso dagli stessi terapeuti.

“È una problematica più diffusa di quanto si pensi, circa una persona su dieci sente o ha sentito le voci, ma solo il 15-20 percento diventa patologico,” mi ha spiegato Francesco Bocci, psicoterapeuta adleriano che collabora con l’associazione.

“Si tratta di un sintomo che spesso viene associato a diverse patologie con troppa fretta; in realtà non è possibile arrivare a una diagnosi univoca,” dice lo psicoterapeuta. “Ci sono tratti propri della depressione, come elementi paranoidi o propri del disturbo dissociativo, ma quasi tutte le categorie psichiatriche sono limitanti per descrivere questo fenomeno. Sicuramente una diagnosi a cui ricondurlo potrebbe essere quella del disturbo post-traumatico." Come riporta il sito di Sentire le Voci, solo un uditore su sei rientra nei criteri diagnostici per la schizofrenia, e due terzi degli uditori non richiedono cure psichiatriche.

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La voce, secondo Bocci, può diventare patologica soprattutto in base al vissuto soggettivo, al contesto relazionale e socio culturale e alla predisposizione genetica. “Non è altro che l’amplificazione di alcune parti del sé collocate soprattutto a livello dell’emisfero destro, quello legato alle emozioni,” prosegue lo psicoterapeuta. “Infatti noi parliamo di diagnosi affettiva, non psichiatrica: cerchiamo di capire quali emozioni sono state insopportabili per il soggetto e in che modo sono state interpretate, fino a diventare un problema disfunzionale all'adattamento, una rottura rispetto ad una sicurezza originaria”.

Il fatto di formare dei gruppi di uditori di voci, di familiari e di professionisti con diverse specializzazioni va sicuramente oltre l’approccio psichiatrico classico. Ed è il principale punto di forza dell’associazione. “È difficile far capire che dare significato, piuttosto che prescrivere solo farmaci, è importante ai fini della terapia,” mi ha spiegato lo psichiatra Paolo Cozzaglio, a sua volta tra i collaboratori di Cristina. “Approcci come quello di Sentire le Voci, in Italia, non sono ancora istituzionali, dipendono sempre dalla buona volontà del singolo professionista.”

Secondo Cozzaglio, oggi in psichiatria ci sono due filoni principali. Ce n'è uno che crede “nella dimensione del sentire e del comprendere,” e uno più legato alla psichiatria classica in cui “a ogni sintomo equivale una precisa diagnosi e una cura farmacologica.” Per lo psichiatra, però, “ormai è dimostrato che l’approccio classico organicista da solo non funziona, perché impoverisce il paziente e lo rende passivo; eppure molti miei colleghi continuano ad adottarlo come unico approccio. Le voci sono parte di una condizione persistente con cui si deve imparare a convivere, perché esprimono una parte di sé.”

Oltre che a Reggio Emilia, l’associazione ha altre due sedi operative, una a Cagliari e l’altra a Brescia. L’obiettivo di Cristina e dei suoi collaboratori è quello di creare una rete ancora più fitta di professionisti, così da garantire agli uditori cure adeguate anche in altre regioni d’Italia.

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