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Politică

Cosa succede ora che Salvini è indagato

La redistribuzione dei migranti è stata celebrata come una vittoria, ma il caso avrà importanti conseguenze sul governo gialloverde.
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L’epilogo della vicenda della nave Diciotti si può leggere in due modi speculari: come una sostanziale vittoria del ministro Salvini o, al contrario, come una mezza capitolazione.

Lo sblocco della situazione è arrivato soltanto dopo la decisione da parte di Albania, Irlanda e Conferenza Episcopale Italiana di accettare una parte dei migranti—rispettivamente 20, 20 e 100. Da questo punto di vista, Salvini non ha tecnicamente ceduto nulla, anzi: la “linea dura” del governo ha funzionato, e i migranti non sono scesi dalla nave prima che arrivasse un accordo preliminare sulla loro ripartizione. Poco importa se la Cei non è propriamente uno stato estero—i migranti si troveranno comunque sul territorio italiano, non in Vaticano—e se tutta l’operazione, come nel caso della nave Aquarius “scortata” a Valencia lo scorso giugno, non è stata gratis. Salvini, tutto il governo e la stampa di area hanno potuto presentare la soluzione come una grande vittoria a costo zero.

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Dall’altra parte, è difficile pensare che il blocco della nave sarebbe durato ancora a lungo: dopo sei giorni (dieci contando anche lo stallo al largo di Lampedusa) e una situazione che si faceva ora dopo ora sempre più assurda, le pressioni da parte delle opposizioni e poi del presidente della Repubblica, le manifestazioni di protesta, l’ordine di far scendere i minorenni e successivamente altre 16 persone per emergenza sanitaria, il nulla di fatto a Bruxelles e infine l’inchiesta aperta dalla procura di Agrigento, sembrano aver messo Salvini e il governo all’angolo, costringendolo a cedere.

A voler tentare una sintesi, la vicenda si può riassumere così: il governo crea ad arte un’emergenza—come ricostruito da un retroscena di Nello Scavo per Avvenire—con l’intenzione di ripetere il copione sperimentato con la nave Aquarius, fatta attraccare a Malta solo dopo un accordo di ripartizione tra cinque paesi europei. Ma questa volta si tratta di una nave militare italiana, e per di più ormeggiata in un porto italiano. Per questo le pressioni diplomatiche non funzionano, e la riunione tecnica di venerdì scorso tra 12 paesi membri dell’Unione, nonostante le minacce del governo italiano, non affronta nemmeno l’argomento. Nel frattempo è già passata quasi una settimana e la situazione, dopo l’iscrizione di Salvini nel registro degli indagati, sembra sfuggita di mano: l’accordo raggiunto, per quanto raffazzonato, permette di sbrogliare l’impasse e sfruttare una discreta leva propagandistica—presentando come se fosse già realtà l’obiettivo “sbarchi zero”, nonostante altre centinaia di migranti siano sbarcati altrove, lontano dai riflettori, proprio mentre la Diciotti era bloccata, e alzando la voce contro il “grande nemico” Unione Europea.

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Ma il caso sembra destinato ad avere profonde conseguenze su più fronti, anche e soprattutto nella parabola del governo gialloverde.

L’INCHIESTA DELLA PROCURA DI AGRIGENTO

Il primo punto cruciale riguarda ovviamente l’indagine aperta dal procuratore capo di Agrigento Luigi Patronaggio, inizialmente contro ignoti e poi, com’era prevedibile, formalizzata contro Matteo Salvini e il suo capo di gabinetto Matteo Piantedosi, per sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio. Al centro dell’inchiesta c’è sia il merito—il fermo di 150 persone per più di 48 ore senza la convalida di un giudice—sia il metodo —l’ordine sarebbe stato impartito al telefono, senza nessuna comunicazione scritta.

Dal punto di vista giudiziario, è difficile che si vada da qualche parte: il fascicolo arriverà in questi giorni sul tavolo del Tribunale dei Ministri di Palermo che dovrà decidere entro 90 giorni se archiviare l’indagine (senza possibilità di appello) o trasmettere la richiesta di autorizzazione a procedere al ramo competente del Parlamento. Anche se si arrivasse fino a questo punto, non è facile, dati gli attuali equilibri parlamentari, che il Senato conceda l’autorizzazione. Gli effetti dell’inchiesta, quindi, almeno per il momento sono da misurare unicamente sul piano politico.

Salvini si è mosso sin da subito per capitalizzare la notizia in termini di consenso. Quando ancora il suo nome non era tra gli indagati, il ministro ha reagito con aria di sfida, rivendicando immediatamente la propria responsabilità nell’accaduto (“nessun ignoto, INDAGATE ME!”) e poi sbeffeggiando più volte l’operato della procura: “indaghino, mi interroghino, mi arrestino,” ha scritto, ignorando volutamente i meccanismi procedurali dell’inchiesta, che, come abbiamo detto, sono molto più lenti e vincolanti di così.

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L’Associazione nazionale magistrati ha denunciato nelle ripetute dichiarazioni del ministro—“tendenti ad orientare lo sviluppo degli accertamenti con riguardo ai soggetti potenzialmente responsabili”—un’“interferenza nelle prerogative dell’Autorità Giudiziaria.” Nulla di sorprendente: la magistratura “politicizzata” entra senza problemi nel novero dei nemici del “governo del cambiamento,” e infatti contro il pm Luigi Patronaggio è già partita una campagna diffamatoria, tra chi lo vorrebbe denunciare per “attentato ai diritti politici” e chi pubblica una vecchia foto in cui “guarda Renzi con amore” (sic).

LA TENUTA DELLA MAGGIORANZA

Meno scontata era la reazione dell’altro polo della maggioranza, dato il passato “giustizialista” e la tradizionale intransigenza nei confronti degli indagati da parte del Movimento 5 Stelle. Ma chi si aspettava l’apertura di una crisi tra i due alleati di governo è rimasto subito deluso: con qualche acrobazia retorica (“Alfano si doveva dimettere in quanto Alfano”), Di Maio ha assolto Salvini, parlando dell’inchiesta come di un “atto dovuto” e limitandosi a un tiepido invito a rispettare la magistratura.

Oggi il capo politico del M5S descrive come “condivise” le scelte del governo sulla Diciotti, ma nei giorni scorsi i giornali hanno parlato di tensioni e disaccordi sul modo in cui è stata gestita la vicenda, venute allo scoperto nella presa di posizione del presidente della Camera Roberto Fico, l’unico a esprimersi apertamente contro la linea di Salvini. Tensioni che riemergono anche in relazione all’incontro tra Salvini e Orban, previsto a Milano per domani, da cui il M5S ha preso le distanze.

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Ma il Movimento 5 Stelle non ha nessuna intenzione di abbandonare l’alleato, e non è difficile capire il perché: rispetto alla situazione del 4 marzo, l’equilibrio politico appare ora decisamente mutato e sbilanciato a favore della Lega di Salvini. La formazione guidata da Di Maio si trova quindi in una situazione complicata: essendo un partito fondato essenzialmente sull’analisi del sentimento dell’elettorato, sa benissimo che allontanarsi dall’oltranzismo anti-immigrati sarebbe un errore. Ma il blocco “sovranista” e identitario ha già il suo paladino, e come sempre in politica l’originale vince sulle imitazioni: per questo in molti vedono nel comportamento sempre più spregiudicato di Salvini una strategia verso l’acquisizione di una forza elettorale sufficiente, presto o tardi, a governare da solo.

I RAPPORTI CON L’EUROPA

Una delle conseguenze a lungo termine della crisi della Diciotti riguarda il crescente isolamento dell’Italia all’interno dell’Unione europea—o meglio, il suo progressivo slittamento verso il cosiddetto “blocco di Visegrád,” che l’incontro tra Salvini e Orban servirà a consolidare. Chiudendo i porti non solo alle navi umanitarie ma anche a quelle della Guardia costiera, ingaggiando continui scontri diplomatici con Malta e pretendendo ogni volta accordi politici ad hoc per la ripartizione dei migranti, il governo italiano ha stravolto il meccanismo di funzionamento dei soccorsi nel Mediterraneo, mentre è emersa l’inconsistenza degli accordi raggiunti nel vertice dello scorso 28 giugno, che pure erano stati salutati come un grande successo (“l’Italia non è più sola,” aveva detto Conte).

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Cosa succederà se la Diciotti o qualche altra nave della Guardia costiera prenderà a bordo altri migranti salvati in mare? Si ripeterà di nuovo tutta la scena? È evidente come questa strategia non possa essere applicata in maniera sistematica senza deteriorare irrimediabilmente—più di quanto non sia già stato fatto—i rapporti con i partner europei. D’altra parte, intervistato da La Stampa, Di Maio ha profetizzato sinistramente che “questa Europa sparirà.

IL FUTURO DELLE OPERAZIONI DI SOCCORSO NEL MEDITERRANEO

La criminalizzazione della Guardia costiera, dopo quella delle Ong, è l’ultima frontiera di una politica che prevede di evitare che situazioni del genere si ripetano non migliorando la gestione dei soccorsi ma abolendo i soccorsi—ovvero, facendo in modo che l’unico attore di controllo e di intervento nel Mediterraneo centrale sia la guardia costiera libica, grazie a cui l’Italia può respingere i migranti “per procura.

Il trattamento subito dalla Diciotti, come quello della porta-container Alexander Maersk due mesi fa, funzionerà come ulteriore deterrente per le navi che transitano in quel tratto di mare, sempre più restie a rispondere agli Sos delle imbarcazioni dei migranti. Una situazione di omissione di soccorso generalizzata che riporta le lancette dell’orologio a prima dell’introduzione di Mare nostrum, e che ha una conseguenza immediata: l’aumento dei morti in mare e la crescente pericolosità delle rotte migratorie. Nei primi sei mesi dell’anno sono morte più di mille persone—un migrante ogni 19, il doppio rispetto allo stesso periodo nel 2017. Un bilancio che difficilmente sembra destinato a diminuire.