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Photo by Kevin Mazur/Getty Images 
Musica

L'industria musicale continua a sfruttare la cultura nera

Il movimento Black Lives Matter ha reso chiaro quanto il settore sia in gran parte nelle mani dei bianchi.
KC
Queens, US
Giacomo Stefanini
traduzione di Giacomo Stefanini
Milan, IT

Persone nere muoiono, e questo mi chiede di ascoltare il suo artista. Persone nere muoiono, e un addetto stampa mi chiede se ho ricevuto il suo comunicato. Persone nere muoiono e io sono nera, lavoro per un'azienda con uno staff in grande maggioranza bianco che deve molta della sua fortuna alla sua vicinanza con il mondo hip-hop. "Oggi più che mai", questo dice la mail, ma le morti di Ahmaud Arbery, Beronna Taylor, George Floyd e di tutti gli altri nomi che sono diventati hashtag (e la cifra incalcolabile di altri nomi che non lo sono diventati) non sono un nuovo fenomeno sconosciuto. C'è una taglia sulla testa dei neri, è il prezzo che si paga quando la società ti considera una forma di intrattenimento invece di esseri umani.

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L'industria musicale e i media che le girano attorno si sostengono con la compravendita dell'arte, delle idee e della forza lavoro dei neri, e più lo fanno e più si sentono progressisti o antirazzisti. È un gioco che si basa sulla reputazione e sul prestigio, con i custodi bianchi che entrano ed escono dalla cultura nera quando e come lo ritengono opportuno. È un universo curato secondo un punto di vista bianco. "Oggi più che mai", la comunità nera americana ha bisogno che chi si è riempito le tasche grazie alla sua cultura alzi la voce.

La taglia sulla testa dei neri è il prezzo che si paga quando la società ti considera una forma di intrattenimento.

Il movimento Black Lives Matter e le sollevazioni delle ultime settimane hanno svelato un sistema di ingiustizie ormai storico, compresa un'industria musicale basata sullo sfruttamento degli artisti neri da parte di dirigenti, apparati di promozione e redazioni giornalistiche. La cultura nera non è la vostra gallina dalle uova d'oro.

"Mi sembra perfettamente sensato che la prima parola che imparavano gli schiavi fosse 'VENDUTO'", scrive la famosa poeta e attivista Nikki Giovanni in Black Ink. Strappati al loro continente e separati dalle famiglie che parlavano la loro lingua, gli schiavi africani usavano le canzoni per comunicare mentre attraversavano il Middle Passage, il tratto di Atlantico dall'Africa Occidentale all'America. Non sorprende quindi che generi come il blues, il jazz, il country, il reggae e il rap siano prodotti della comunità nera. La musica è sempre stata una risposta diretta a un sistema corrotto. Le storie che accompagnano i toni vellutati dei sassofoni, il ritmo dei tamburi di latta o delle 808 sono così affascinanti che tutti ne vogliono una fetta—anche se per ottenerla dire cancellare il lavoro degli artisti neri o costruire un'industria che li sfrutta.

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Nel 2017, l'hip-hop è diventato il genere di musica più ascoltato in America, totalizzando quasi un quarto degli streaming. Con la trasformazione in nuovo mainstream, per i rapper più in vista sono arrivati generosi contratti discografici, ma non era altrettanto chiaro chi stesse davvero facendo soldi grazie alla loro musica. L'anno scorso, Goldman Sachs ha diffuso una previsione per cui gli introiti legati alla musica avrebbero raggiunto i 131 miliardi di dollari entro il 2030. "Al momento le piattaforme di streaming sono dominate da artisti R&B e hip-hop come Drake, Kendrick Lamar, The Weeknd, Migos e Cardi B", raccontava un articolo di Forbes. "Gli editori di musica e le etichette discografiche possono aspettarsi grandi profitti dalla crescita dello streaming, guidata dagli ascoltatori neri che sono il gruppo di utenti più ampio". Il gruppo Universal Music ha guadagnato oltre 3 miliardi di dollari nel 2018, con le etichette che ne fanno parte—Capitol, Def Jam, Interscope—a raccoglierne i frutti.

La settimana scorsa quelle etichette, insieme a molte altre, hanno partecipato al #BlackoutTuesday, una protesta organizzata da Jamila Thomas e Brianna Agyemang, due donne nere che lavorano nel settore. In una dichiarazione ufficiale, la casa discografica Def Jam promette di "fare DI PIÙ", ma cosa significa? Se non sei in grado di impegnarti in modo credibile a smantellare il sistema che tiene in piedi la supremazia bianca e i suoi effetti collaterali, come i consigli di amministrazione a stragrande maggioranza bianca, non meriti di considerarti parte di quelle comunità.

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La copertura voyeuristica delle scene trap e drill da parte delle riviste musicali ha avuto ripercussioni serie.

Il fallimento dell'industria nel proteggere l'umanità degli artisti neri è spesso legato inestricabilmente alla mancanza di diversità nel campo del giornalismo musicale. In aprile, un'ondata di licenziamenti in pubblicazioni storicamente rivolte a un pubblico nero ha trasformato, ad esempio, VIBE in un guscio svuotato della ricca tradizione culturale costruita nel suo periodo d'oro. Gli artisti sono rimasti tanto delusi a forza di parlare con giornalisti incompetenti che preferiscono farsi intervistare dai propri amici. E come biasimarli?

La copertura voyeuristica delle scene trap e drill da parte delle riviste musicali ha avuto ripercussioni serie. Nel 2013, Chief Keef è entrato in violazione della libertà vigilata perché Pitchfork ha deciso di portarlo a un poligono di tiro per un'intervista. Nel 2015, una negligenza di Noisey ha fatto finire in carcere membri dei Migos dopo che un episodio di Noisey Atlanta aveva mostrato i tre imbracciare armi pesanti e grandi quantità di erba. La feticizzazione della vita di strada non è limitata alle redazioni piene di uomini bianchi entusiasti provenienti dalle piccole province d'America. Dopo aver firmato un contratto a sei zeri con la Epic, Bobby Shmurda non ha ricevuto alcun aiuto dalla label per la sua cauzione da 2 milioni di dollari. "Quando mi hanno arrestato, pensavo che mi sarebbero venuti a prendere", ha raccontato al New York Times dal carcere nel 2015, "ma non si è mai presentato nessuno". Quando chi apre i rubinetti è anche spettatore, la musica rap—e le persone nere—diventano una merce e un'estetica. Ma questi errori hanno conseguenze che vanno ben oltre un contratto o la pubblicazione di un articolo.

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Per gli ultimi due anni, la mia missione è stata quella di far notare le sviste dell'industria dell'intrattenimento alle spese di artisti neri e, ancora più significativamente, del popolo nero. Nonostante artisti come Kendrick Lamar, Solange e Beyoncé abbiano dimostrato che la musica di protesta nera può essere un successo commerciale senza sacrificarne l'integrità artistica, le istituzioni sono rimaste indietro. To Pimp a Butterfly, A Seat at the Table e Lemonade sono stati esclusi dalle categorie più importanti dei Grammy e relegati all'etichetta di musica "urban". SZA e Ari Lennox hanno pubblicato progetti R&B spettacolari che hanno fatto da colonna sonora a tantissime donne millennial nere e sono state completamente ignorate. Lil Nas X ha dovuto tirare dentro Billy Ray Cyrus su "Old Town Road" per essere considerato country quando Justin Timberlake salta dal bosco al blocco senza pensarci due volte. L'industria musicale in quanto istituzione ha abbandonato chi più di tutti l'ha tenuta in piedi.

Per chi come me scrive, e come me si trova a essere l'unica persona nera in una redazione in cui si scrive di musica e cultura pop, il peso da portare sta diventando troppo. Ogni giorno al lavoro è un giorno in cui devo impegnarmi per mettere al centro storie di persone nere e i dettagli che ci rendono umani. Vuol dire aver frequentato il doppio delle scuole rispetto agli altri "candidati qualificati", ma venire pagata la metà. A volte, ci vogliono giorni per trovare le parole perché, da portavoce non ufficiale della comunità nera, mi sento inadeguata perché non ho un soliloquio degno di James Baldwin che mi ruggisce dentro. Le immagini di Ahmaud Arbery, Breonna Taylor e George Floyd sono un ciclo infinito di trauma dal quale non posso permettermi il lusso di "staccare".

Per le persone non-nere che insistono a inserirsi nella cultura nera, un pensiero: prima di scriverci "Come stai?" in tono compassionevole, chiedetevi "Come sto usando il mio privilegio per risolvere il problema?"

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