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L'Italia è così indietro che un monologo come quello di Amici è 'combattere il razzismo'

E se la tua reazione alle critiche è “ma dipende dal contesto/l’ha fatto a fin di bene/quindi si può parlare di razzismo solo se si è neri,” pensaci meglio.
Irama
Grab dall'esibizione di Irama.

Scena: l’ultima puntata di Amici Speciali, uno spin-off di Amici di Maria De Filippi con vecchi concorrenti e personaggi del mondo dello spettacolo che si sfidano per raccogliere fondi per la Protezione Civile. Il cantante Irama, che poi si aggiudicherà la vittoria, si esibisce in un monologo “scritto di suo pugno” e dedicato a George Floyd.

Irama parte dalla constatazione per cui tutti respiriamo senza accorgercene, mentre viviamo o cantiamo o facciamo sesso (?!), e nel mondo c’è chi toglie ad altri la possibilità di farlo: ma “io non sono come te, io non sono un vigliacco.” E poi: “Io non gli schiaccio la testa sull'asfalto a come lo chiamate, come un n***o, mentre sua madre lo sta cercando piangendo […] Io non sono un n***o come lui, ma respiro come lui, adesso io piango con lui, adesso io sono lui, adesso non uccidermi.” Dietro di lui scorre la citazione “I have a dream” di Martin Luther King, e tutti in studio si alzano in piedi commossi.

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Quindi: un artista bianco che si “paragona” a Floyd e ripete la N word per due volte in un discorso contro il razzismo, in un programma record di ascolti, e non viene solo applaudito dai presenti, ma anche da moltissimi fan e dai quotidiani (Fanpage parla di “lungo e toccante monologo,” Il Secolo XIX di “monologo che ha messo i brividi,” TGCOM lo definisce “commovente”).

Se non è questa una eloquente rappresentazione del livello del discorso sul razzismo in Italia, non sappiamo cosa potrebbe esserlo.

Se la lotta al razzismo non passa anche dal riconoscere e fermare tutte le pratiche quotidiane che lo perpetuano—magari portate avanti da chi ritiene di essere un “alleato” o di farlo a fin di bene, o da chi rimane in silenzio di fronte a esse—non può funzionare. Se non si sviluppa una consapevolezza del significato dei propri gesti—e non parliamo solo di N word, ma di programmi tv con la blackface o di un manifestante bianco che ha un cartello con scritto “I can’t breathe”—non si va da nessuna parte. E se in tutto questo non c'è coinvolgimento consapevole delle persone che vivono sulla propria pelle le conseguenze dei problemi che si vogliono denunciare—questa volta il razzismo, altre volte la violenza di genere, altre ancora l'omobofia—il lavoro sarà sempre incompleto.

Per molti, la risposta sarà "Ma che ti aspetti da Amici." Invece il punto è anche questo: che nel 2020 un programma da 3 milioni di ascoltatori a puntata non abbia avuto gli strumenti per capire che quello non fosse il modo più appropriato di affrontare il tema del razzismo, non ce lo si dovrebbe proprio aspettare.

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Se dopo tutto questo sei tentato dal commentare “ma dipende dal contesto/l’ha fatto a fin di bene/quindi si può parlare di razzismo solo se si è neri” o hai bisogno di delucidazioni su N word, blackface e altro, leggi anche: