Cos'è il "bomberismo", il nuovo credo delle pagine Facebook italiane
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Attualità

Cos'è il "bomberismo", il nuovo credo delle pagine Facebook italiane

Sull'esaltazione della vita "ignorante", della "provincia", del "bomber vero" e del concetto travisato di "degrado".

A fine febbraio le nostre bacheche Facebook sono state invase dal video dei dipendenti LIDL di Follonica che avevano rinchiuso due donne di etnia rom nell'angolo rottura del supermercato perché sorprese a rovistare nei cassonetti.

Dico "invase" non soltanto perché le pagine dalle quali è stato condiviso il video hanno ormai centinaia di migliaia di fan, molti dei quali nostri amici—e magari noi stessi. Né soltanto perché il video è arrivato nelle redazioni nei principali giornali italiani. Ma perché è diventato qualcosa di effettivamente reale, consumato, elaborato e rinato in mille altri modi.

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Tipo come maschera di Carnevale

che al sindaco di Cascina "faceva ridere."

Capire perché un atto di sostanziale violenza sia diventato un meme straordinariamente cinico non è difficile: in 49 secondi, il filmato condensava brutalità gratuita, urla strazianti, un marchio sinonimo di "ignoranza"—nell'accezione meno denigratoria e più moderna del termine—e soprattutto la conferma di uno stereotipo piuttosto comune: "i rom rubano".

Per accorgersi di quanto la tempesta fosse effettivamente perfetta in tutti i suoi elementi, bastava guardare i commenti—che qui avevamo raccolto—con sfumature che andavano dall'ironia evitabile al Quarto Reich.

Se però da un lato non è la prima volta che succede una cosa del genere, né bisogna stupirsi del fatto che—SORPRESA!—al mondo esistano persone razziste a livelli più o meno consapevoli, dall'altro resta da segnalare l'elemento più rilevante dell'intera faccenda, e cioè quello che fa sì che un post qualsiasi della pagina "Non sono bello ma spaccio" non resti solo un post di "Non sono bello ma spaccio."

Ma questo:

E cioè il fatto che dopo poche ore Matteo Salvini ci sia piombato sopra, facendo da acceleratore gravitazionale.

È stato in quel momento che, senza accorgersene, il nostro amico legittimamente iscritto al gruppo "Pastorizia Never Dies" e il leader di uno dei partiti più xenofobi d'Europa, anche se distanti anni luce a più livelli, stavano dicendo, lamentandosi e ridendo esattamente della stessa cosa:

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Qualche mese fa, dopo la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane, avevo cercato di capire se potesse esistere una versione italiana di quell'alt-right che negli USA era riuscita a entrare nello studio ovale dalla porta d'ingresso nelle forme del corpo e del cappuccio bianco di Steve Bannon (premessa: per "alt-right" possiamo definire una specie di aggregato politico-culturale che attinge da blog, account influenti sui social media e board di 4chan e Reddit, e che si basa su messaggi volutamente eccessivi, spesso ai limiti del trolling e della meta-ironia, con un'estrazione ideologica dichiaratamente reazionaria, maschilista, xenofoba e anti-moralista).

La risposta alla domanda "Esiste una alt-right italiana?", in pratica, era "forse", motivata attraverso l'analisi di alcuni fenomeni che—buttati nella mischia—avrebbero potuto portare a soluzioni vagamente simili all'alt-right degli USA. Era una domanda legittima per uno sforzo teorico, un espediente narrativo. Il problema però è che arrivati al febbraio del 2017, appena quattro mesi dopo, mi è sembrato che quella cosa, in Italia, non fosse mai stati così tanto vicina a noi.

E per questo motivo: la storia della Lidl non ha—ovviamente—fatto esordire le versioni italiane dei meme con le rane antisemite, né fatto emergere siti politici di riferimento o figure carismatiche in pieno crollo verticale. Ci ha fatto però forse intravedere dinamiche simili con simboli diversi, che hanno concentrato tutta la loro potenza di fuoco contro due rom segregate dai dipendenti di un discount in Toscana, accompagnate da migliaia di messaggi di approvazione vagamente moderati, tipo "Troppo buoni a chiuderli dentro solamente. Gli avrei rovesciato dentro anche olio bollente."

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In pratica, quello che in America era diventato il tema dell'anno e una forma più indefinibile e moderna di quasi-fascismo (se non fascismo vero e proprio), in Italia—in quei giorni—ha forse trovato voce attraverso alcune pagine che di recente hanno molto successo, che sono chiaramente e dichiaratamente ironiche, ma che spesso condividono contenuti velatamente "violenti", in grado di stimolare la censura morale di Selvaggia Lucarelli—e riuscendo quindi nell'improbabile missione di farle avere *quasi* ragione almeno una volta nella vita.

Sono le pagine che fanno parte di quella cosa che nel pezzo sull'alt-right italiana avevo chiamato "bomberismo".

La definizione di "bomberismo" in realtà non esiste (se non, in qualche modo, su Nonciclopedia) ma serve a dare un'etichetta e a fissare un certo fenomeno online che in queste ultimi mesi continua a crescere enormemente, principalmente su pagine e gruppi Facebook. Ossia: l'esaltazione di comportamenti sostanzialmente sessisti, xenofobi, ammantati da livelli incerti di ironia e animati dall'esaltazione della vita "ignorante", della "provincia", del "bomber vero" e del concetto travisato di "degrado."

È quella cosa per cui da qualche mese esiste una tendenza piuttosto invadente—tra pagine Facebook o più in generale atteggiamenti online—nell'entusiasmarsi per gag, comportamenti o personaggi abbietti solo perché tali, in un processo che riesce a tenere insieme l'esultanza per la facilità di bestemmia dei veneti e l'esasperazione del culto per tutto ciò che riguarda gli anni Novanta—specie se per anni sono stati oggetto di una sorta di ostracismo culturale (da Gigi D'Agostino a Carlo Mazzone che corre verso la curva dell'Atalanta, per intenderci).

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Non è il "gentismo", di cui si parla da qualche anno e che espleta (anche) attraverso la rete "la reazione della gente comune contro gli adepti, dei cittadini ordinari contro coloro che svolgono una funzione di direzione politica"—come scriveva Nadia Urbinati su Repubblica. Il livello qui è pre-politico, spiccatamente della rete, e pressoché giovanile: è un respiro online animato da uno spirito comune ma declinato su più sfumature, che su GQ Italia hanno cercato di spiegare—a modo loro—introducendo al grande pubblico uno dei suoi cavalli di razza, la pagina "Sesso Droga e Pastorizia", in un articolo dal titolo perfetto: "Su Facebook un'orgia di divertimento ignorante."

"È il kitch supremo da cui allontanarsi con sdegnata repulsione o da amare per il suo primordiale richiamo al fanciullino bifolco che si nasconde in ognuno di noi," si legge nell'articolo. Che sarebbe come dire che il Muslim Ban di Trump è in sostanza una forma di sostegno alle piccole e medie imprese americane.

Per capire meglio su cosa si può concordare quando si cerca di definire bomberismo, forse è necessario partire da uno dei suoi primi motori: la propagazione inarrestabile delle pagine a trazione calcistica tendenti alla glorificazione dei concetti di ignoranza e nostalgia ("Chiamarsi bomber", "Calciatori brutti", "Serie A - Operazione Nostalgia", "Delinquenti prestati al mondo del pallone", "Che fatica la Vita da Bomber"), che negli ultimi anni sono cresciute esponenzialmente fino a esondare anche nei media mainstream—che si tratti di giornali online o di televisione—istituzionalizzando le loro retoriche.

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Per spiegare: su queste pagine, solitamente, le "cose di una volta" sono sempre migliori, più sane e autentiche di quelle di oggi: i calciatori degli anni Novanta la pucciavano anche se si devastavano di Dreher, Marlboro e mortadella nell'intervallo, il calcio di provincia è quello fatto di sani valori come il degrado e il porchiddio, e il Tamagotchi è una specie di afrodisiaco, secondo solo al serpente di Snake. Allo stesso tempo, i calciatori giovani di oggi vengono generalmente etichettati come viziati, privi di anima e dediti solo a soldi e fama—e in generale #machenesannoi2000 di cose a caso (tu comunque nel dubbio compra la maglietta ufficiale).

Ecco: questo stesso meccanismo viene applicato a praticamente tutto. E nelle pagine in cui non si parla di calcio, ma che sono sempre assimilabili al bomberismo, lo stesso concetto "Calcio anni Novanta vs Calcio di oggi"—quando si tratta, per esempio, di donne—finisce in genere con il produrre battutone sulle ragazze nate dopo il 2000, reputate generalmente un po' più facili di quelle di una volta.

Nelle altre pagine bomberiste (come "Io Sono Vagitariano", "Sesso Droga e Pastorizia", "Non Sono Bello Ma Spaccio", "Welcome to Favelas") le tematiche variano, mantenendo sempre un certo livello di fratellanza nello stesso afflato. Si va da un più generico rifiuto per ciò che passa da un minimo processo di intellettualizzazione, all'odio per tutto quello che rappresenta un discostamento dall'estetica brutale, maschia ("alpha") e ignorante,

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Fino all'esaltazione gratuita per tutto ciò che può essere riassumibile con il concetto di "degrado"—che si tratti della foto di una cena di coppia dentro un cassonetto o di un ragazzino che saluta la gente in video con spiccata pronuncia cosentina—o alla più plateale insofferenza nei confronti "diversi" e di qualsiasi tipo di problematizzazione della realtà. Intellettuali, vegani, donne, francesi, africani, gente di sinistra, rom.

In questo senso, il caso della Lidl—oltre ad aver svegliato l'erezione di Matteo Salvini—è quello più rappresentativo. Sebbene non manchino altri esempi, a sostanziare questo tipo di sentimento è in senso più lato il pregiudizio verso l'estrazione geografica della persona (gli africani, gli arabi, i francesi di cui sopra , i nomadi ossessionati dal rame). Che arriva a colpire gli italiani stessi. Specie se napoletani.

Questo tipo di meme su Napoli e suoi cittadini circola da dicembre: napoletani bravi a rubare, che pensano solo a rubare, che non fanno mai nulla che non sia finalizzato all'atto di rubare.

Il meme funziona perché replica—appunto—una credenza comune, ammantandola di chissà quanti livelli di ironia (uno? dieci?) e quindi scagionandola dall'accusa di razzismo. Però è da qualche mese che non smetto di farmi questa domanda—pur sentendomi come una damina del Vomero nell'Ottocento ogni volta che me la faccio: per quale ragione se esponessi quelle stesse frasi in uno stadio rischierei il Daspo, mentre nei gruppi Facebook questo tipo di post dovrebbe essere ok?

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È un meccanismo che si può estendere a molte altre "categorie", implicando la stessa domanda: per quale motivo pronunciare certi giudizi non è pubblicamente accettabile, ma posso però mantenere il mio like su pagine che pubblicano post come questi?

A tal proposito, basta seguire alcune di queste pagine (insieme a quelle già citate, "Il Maschio Alpha", "Senza Futuro Ma a Cazzo Duro", "Nasce, Cresce, Ignora", "Il Regno del Degrado") e scorrerle per qualche minuto per rendersene conto: il più delle volte i post sono una specie di contest nazionale della denigrazione sessista, sia che si tratti di foto particolarmente stimolanti, del maledire insieme—tipo rituale tribale—chi ha stampato in faccia al consimile l'onta e il timbro indelebile della "friendzone", o della rielaborazione "moderna" ( perché messa sotto forma di meme con font Impact) di vecchie battute sessiste al limite dell'invito allo stupro—veicolate da un inconsapevole Goku versione Super Saiyan.

E qui si arriva al punto. Tutti questi sono elementi per nulla dissimili da quella che è stata globalmente e variamente definita come "modern misogyny", o "meninism", un tipo diverso—quantomeno nei metodi—di misoginia che all'interno di gruppi Facebook, chat WhatsApp e rant generici online si espleta in quella che è stata a sua volta etichettata come "Manosphere"—un insieme di blog, siti, forum e community sui social in cui si affrontano e commentano questioni maschili condividendo lamentele sessiste, commenti anti-femministi, esperienze di vita esasperate o meme. E che è stata uno dei terreni più fertili per l'alt-right americana.

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Sulla figura dell'uomo tipo al contempo dominatore della specie perché carnivoro, ma falcidiato dal destino e dalle piccole sfighe quotidiane della vita (come, appunto, una friendzone), si possono peraltro ritrovare altre analogie con uno dei temi che sono stati alla base dell'evoluzione dell'alt-right—almeno stando a Dale Beran, fumettista e scrittore, che ha inserito la cosa in un lunghissimo intervento su Medium.

Nel suo post, Beran cerca di spiegare perché in qualche modo Trump sia finito con l'incarnare istanze che non fossero rappresentative soltanto dall'elettore con la doppietta dietro la schiena, il cappello da cowboy di frontiera, la camicia di flanella e la spiga di grano in bocca.

Come scrive Beran, "Trump ha rappresentato lo sfigato, la battuta patetica," come è evidente, MA al tempo stesso "la persona di successo" che in un certo senso vendicava il maschio "beta" contro gli intellettuali e la cultura "critica", incarnando anche la parte "alfa" di chi si considerava vessato. Questo non ne spiega la vittoria elettorale, ovviamente, ma vorrebbe farci capire meglio perché la rana di un fumetto sia riuscita a rappresentare questo "labirinto senza centro" che è Trump e il trumpismo meglio di qualsiasi altro simbolo—quello stesso simbolo che i giornalisti non sono riusciti a spiegare, continua Beran, e che additato da Clinton come messaggio d'odio appariva automaticamente come un disegnetto innocente—e invece.

Attenzione però FERMI TUTTI. Non sto dicendo che chi frequenta questi gruppi o mette il proprio like a queste pagine sia ascrivibile scientificamente al partito dell'alt-right italiana, né che sia un fascista, né che sia razzista, né che non sia più mio amico. È evidente che ognuno spende i propri like come vuole, e che si tratta comunque di contenitori online, senza alcuna finalità pre—né post—politica.

Il problema, semmai, rischia di essere un altro.

Come spiegavano Whitney Phillips e Ryan M. Milner su Slate parlando del 2016 e dell'ascesa politica dei meme, un tormentone come quello di Harambe—per esempio—può essere piuttosto esemplificativo di una cosa: nessuno ha capito se la gente fosse davvero triste per un gorilla morto, o se tutto quanto fosse solo uno scherzo dadaista o uno scherzo sullo scherzo. Quello che sappiamo per certo è che quel gorilla aveva comunque prodotto una forma di "partecipazione."

Quella stessa partecipazione, anche se "giustificabile con frasi come 'stavo solo trollando', 'sono solo parole a caso'," inserita in un contesto diverso, rischia di perdere immediatamente l'impulso iniziale che l'ha provocata, per riprodursi in un altro frame.

"Può succedere che i tuoi amici capiscano la battuta perché magari hanno il tuo stesso senso dell'umorismo o la tua stessa visione del mondo," scrivono i due. "Ma anche se i tuoi amici più prossimi sono in grado di decrittare il tuo messaggio, questo non vuol dire che non possa tranquillamente diventare altro per persone che non conoscono te, né il contesto entro il quale è nata la battuta."

Insomma: cosa succede quando contenitori come gruppi e pagine di cui sopra—e che portano in dote i seguaci più diversi fra loro—aderiscono almeno per un secondo della loro esistenza al messaggio politico di un leader di partito? Quanto manca prima che Salvini, che già ha condiviso alcuni contenuti da pagine bomberiste, diventi LA RAGIONE—e non il mezzo—della viralità di un post di un certo tipo? E cosa ci fa quel signore coi capelli unti alla Casa Bianca?

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