Le ferite più brutte che gli chef si sono procurati in cucina
Foto by Brian Patrick Tagalog via Unsplash

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Cibo

Le ferite più brutte che gli chef si sono procurati in cucina

C’è il classico, quello della falange mozzata, la pentola bollente nella sezione ustioni, gli svenimenti e l’azoto che ti brucia la lingua.
Andrea Strafile
Rome, IT

“Se sei in servizio, non c’è Dio che tenga, tu quel servizio devi finirlo a costo di dissanguarti”.

Quando avevo più o meno undici anni c’era un momento dopo i Simpson e prima dell’infornata di video su MTV, in cui passavo un sacco di tempo guardando la televendita di Miracle Blade. Ero andato completamente in fissa - e non ero l’unico - per quello chef cicciottello finto francese e sorridente che tagliava un ananas al volo. La mandavano in continuazione, decine di volte. E non desideravo altro, a Natale, che mettere mano su quei coltelli con cui avrei finalmente potuto tagliare un bel pomodoro maturo grazie alla tecnologia del manico AcuGrip. C’ho messo 2 anni, ma alla fine sono arrivati sotto l’albero. Ho preso le verdure, impugnato il coltello, iniziato a tagliare e zac. Pezzi di pelle erano ormai parte del soffritto. Grazie, chef Tony.

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Quello del cuoco è un lavoro duro. Un giorno dopo l’altro, dalla mattina alla sera, si combatte con la linea, le preparazioni, per ore. E poi c’è il momento di cucinare. 40 gradi in cucine piene di gente che lavora e alita che sia ottobre, gennaio o agosto. E ognuno di loro, almeno una volta, si è fatto male. Se non se n’è fatto seriamente, di sicuro qualche graffietto se l’è beccato. Se invece non ha davvero alcun segno degno di nota sula pelle che attesti le ore a tagliare carote, beh, o è un genio o vi sta mentendo.

E così abbiamo deciso di parlare del fenomeno delle ferite degli chef, un problema fatto di racconti spaventosi, a volte al limite dell’assurdo, altre da far accapponare la pelle.

Ho sentito alcuni giovani chef, rampanti, per farmi raccontare le loro peggiori ferite in cucina che hanno visto e, soprattutto, subito. Probabilmente una se la sono procurata ieri.

Un piccolo viaggio di scottature e sangue che sì, potrebbe farvi stare male.

Tagliavo il prezzemolo e mi sono tranciata la punta del dito. Col calore dei bollitori sono svenuta.

Sarah Cicolini è chef e proprietaria di Santo Palato, uno dei posti dove oggi si mangia meglio a Roma. Sarah è piccina, piena di tatuaggi e super cazzuta. Prima di diventare chef studiava medicina e ha deciso di mettersi dietro ai fornelli. E visto l'argomento fa un po' ridere.

Sarah Cicolini a Santo Palato. Foto per gentile concessione di Santo Palato.

“Una ferita cui sono particolarmente legata è quella che mi ha procurato una bella cicatrice ignorante sull’anulare della mano sinistra. In pratica era la notte prima dell’apertura di Santo Palato, quindi ero super emozionata, pensavo a mille cose. Avevo appena preso i coltelli affilati dall’arrotino e disossavo un coscio di pecora. Ero così emozionata che col coltello da disosso ho oltrepassato il coscio e l’ho affondato nel dito. Vedevo il bianco. Non sono andata nemmeno all’ospedale perché il giorno dopo avrei aperto il mio primo locale.”

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Poi continua: “Un’altra volta è successa poco tempo fa: erano i primi caldi di maggio, tagliavo il prezzemolo, la cosa più facile del mondo, ho risposto a qualcuno e mi sono tranciata la punta del dito. Col calore dei bollitori sono svenuta e mi sono svegliata fradicia perché mi avevano tirato l’acqua addosso ed ero in pieno servizio. Sono abruzzese, odio il caldo. Finché non ci sono 12 gradi odio il mondo.”

La prima ferità risale al primo giorno di scuola di cucina. Stavo tagliando una patata e all'improvviso un sacco di sangue. Mi ero tagliato al centro dell'unghia. Fine della prima lezione.

Gli incidenti capitano, ma ho capito che a rimanere impressi sono i primi, nemmeno quelli più eclatanti. Certo, a meno che non siano davvero spettacolari come la faccia sfigurata per aver buttato con forza una cotoletta nell’olio bollente.

“I tagli e le scottature dopo un po' non li senti nemmeno più. Sono abbastanza all’ordine del giorno”, mi dice Stefano Di Giosia, che ha lavorato allo stellato Era Ora di Copenaghen e ora è in forze al Borgo Spoltino.

“L’ultimo taglio è di due settimane fa mentre smontavo un agnello. Ho tagliato praticamente fino all’osso del dito medio.” Come l’amore, la prima ferita non si scorda mai. “La prima ferita è capitata il primo giorno della scuola di cucina. Era la base, tagliare le verdure. Toccava a me, mi sentivo sicuro e ho iniziato a tagliare una patata. A un certo punto c’era un sacco di sangue. Mi ero tagliato al centro dell’unghia. Fine della prima lezione”.

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Tra l’altro, tra le varie cose che mi ha detto Stefano c’è un problema grave che grava su buona parte delle cucine: quello dell’attrezzatura, che spesso non è affatto a norma. Tritacarne con cavi scoperti, affettatrici senza protezioni, sfogliatrici elettriche fatte in casa sono solo alcune delle cose che si possono trovare lì dentro. E devi lavorare bene, velocemente e concentratissimo. Perché se vai veloce e ti distrai un attimo puoi ritrovarti senza un dito. La cucina non perdona, mai.

“E se sei in servizio, non c’è Dio che tenga, tu quel servizio devi finirlo a costo di dissanguarti”. Beh, Stefano, mi confermi ancora una volta che gli chef sono completamente pazzi.

Stavo usando la macchina per tirare la pasta, non una macchina vera, era un accessorio da montare sul tritacarne. Giro e insieme alla pasta nel rullo mi entrano due dita. Strappo le dita fuori; alla fine 30 punti, ma niente di rotto.

Questa storia degli attrezzi in cucina che a volte sono dei semplici accrocchi pericolosissimi non è nuova, fa parte anche delle orribili ferite che si è procurato Christian Costardi.

Christian e Manuel sono due fratelli e hanno un ristorante coi loro nomi a Vercelli. Sono giovani, sono ganzi e si sono fatti un sacco di male. Ho sentito Christian per sapere dettagli truculenti e avviare un’indagine sulla strumentazione a disposizione nei ristoranti.

“Stavo lavorando a Venezia 15 anni fa. Era tardi, dovevo prendere un treno e dovevo fare dei ravioli. Il mio collega mi prepara la pasta e mi accorgo che è troppo dura. Non ho tempo di rifarla e me ne frego, la metto nella macchina per tirare la pasta. Non era però una macchina vera, era un accessorio da montare sul tritacarne, sicurezza zero. Insomma, la metto, giro e insieme alla pasta nel rullo mi entrano due dita. Spengo la macchina, strappo le dita fuori, mi faccio dare dello zucchero perché stavo per svenire.” Ma non tutto il male viene per nuocere. “Almeno ho preso l’ambulanza a Venezia, che è sempre una bella esperienza, visto che stai su una barca. Alla fine 30 punti ma niente di rotto”.

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Vanno bene i coltelli, vanno bene le macchine e le cose bollenti, ma l’alta cucina è fatta anche di roba strana. L’azoto ci permette di avere tante cose carine sul piatto, ma è pur sempre azoto liquido, quindi se non lo sai usare sono cazzi amari.

“Manuel, mio fratello,” racconta ancora Christian, “aveva 18 anni. Stava facendo la frutta in azoto, una delle prime volte. Insomma, fragole, frutti di bosco, lamponi… Fa quello che deve fare, prende un lampone congelato, se lo butta in bocca per assaggiarlo e tac, si incolla alla lingua. Panico, che facciamo? Dopo un po' con sto lampone incollato mettiamo la bocca sotto l’acqua tiepida e si stacca. Peccato che sia rimasta una bruciatura tonda sulla lingua”.

Con questa scenetta esilarante da slapstick comedy con tanto di musichetta - quella in cui tutti si rincorrono e sbuca un gorilla da una delle porte -, i fratelli Costardi ci insegnano che prima di assaggiare roba fatta con azoto bisogna appoggiarla sui denti. Per non perdere mezza lingua.

Stavo affilando i coltelli con l'acciaino, ma inverto la posizione delle dite. Affili affilo e niente, mi affilo pure la falange.

Più uno chef va avanti, più si alza l’asticella delle aspettative che separa un locale come una trattoria a uno come uno stellato. E sì, si alzano, ma il tempo non è che si allunga solo per loro, le cose vanno fatte di fretta e, a volte, sovrappensiero.

Ciro Scamardella, ha appena preso in mano le redini del ristorante Pipero a Roma, è giovane e si è fatto il culo in ristoranti stellati come Metamorfosi di Roy Caceres come sous chef. Ma al coltello non frega niente se sei stellato o meno, se ti distrai quello ti punisce.

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“Oh mi ricordo una volta che mi avevano sequestrato la macchina per un mese. Quindi entro in cucina e penso bellamente ai fatti miei preoccupato per sta storia. Dovevo affilare i coltelli con l’acciaino e ho invertito la posizione delle dita con cui tenerlo. Quindi al posto di bloccarlo col pollice, c’era l’indice. Affilo affilo affilo e niente, mi affilo pure la falange.”

La cucina tutta è fatta di strumenti pericolosi, stanno sempre a contatto con lame e coltelli. “Finché è uno spilucchino ok, ma quando devi spaccare un ossobuco con una mannaia c’è gente che dà una botta e si trancia un dito di netto”.

Ora però entriamo un secondo nel favoloso reparto ustionati. Le ferite da ustione sono le più interessanti, forse le più dolorose e sicuramente quelle che ti fai quando hai la testa su un altro pianeta.

Sempre per gentile concessione di Ciro, ottimi aneddoti che servono da monito se state cucinando a casa e pensate a come pagare le bollette del gas. Sottotitolo “DON’T TRY THIS AT HOME”.

“Una volta mi ricordo che dovevamo fare il pane in una pentola. C’era uno stagista incaricato. Cuoce sto pane, perfetto, tutti contenti e gli dico di mettere la pentola a lavare. Non so che aveva in testa, ma la pentola se sta sul fuoco è calda. Non ci vuole una scienza. Invece l’abbiamo visto mentre la prendeva con tutte e due le mani, e non sui manici. Non so che gradazione fosse ma ti assicuro che era un’ustione bella profonda. Poi magari devi sbrigarti e tappi i bollitori con una teglia per far alzare la temperatura. Mi ricordo di questo tizio che non ha fatto uscire il vapore da un angolo, ma ha tolto tutto insieme e si è bruciato tutte le dita”.

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Ci sono dei ristoranti in cui tutto sembra filare liscio. Posti come il Noma, dove mi hanno detto che non succedeva mai niente. Ma non sono la norma. La norma è il graffio, il taglietto all’ordine del giorno, l’olio che cade sui peli delle braccia, le ustioni, le dita gravemente ferite e quelle proprio mozzate.

La norma è che tu, se fai questo mestiere, è davvero come andare in battaglia ogni giorno.

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