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La lista con le vittime di femminicidio in Italia nel 2018 e il 'perché' sono morte

Questo post su Facebook raccoglie le storie di alcune delle almeno 72 donne uccise in Italia finora quest'anno, ed è atroce.
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Foto di Marco Monetti via Flickr (CC BY-ND 2.0).

Sabato, mentre in seguito alla tragica morte della 16enne Desirée Mariottini si è tornato a parlare di femminicidio, la pagina dei Sentinelli di Milano ha diffuso un post in cui venivano elencate 72 donne che nel 2018 sono state vittime di femminicidio nel nostro paese ("una ogni 60 ore," titolava l'Huffington Post già a marzo).

Sempre su Facebook, sulla scia di questo post ha iniziato a circolare una seconda lista che fa una cosa semplice ma che raramente trova spazio sui media: trasforma questi numeri in storie reali di persone reali.

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La lista, pubblicata dall'utente Paola Ronco, è questa, e raccoglie buona parte dei 72 nomi (nello specifico, quelli su cui ci sono più dettagli) tra gli indicati dal post dei Sentinelli:

Il suo obiettivo è trovare un pattern sottinteso alle azioni dei carnefici, isolare per così dire gli elementi che portano allo scoppio di una violenza così efferata. Ovvero: se un tratto culturale inalienabile dalla società come la conosciamo oggi è il sessismo, di cui una delle caratteristiche è che gli uomini siano detentori dell'uso della violenza, qual è poi la miccia che fa scattare l'effettivo atto violento o addirittura omicida?

"Ho omesso volontariamente la nazionalità di vittime e carnefici, perché qui cercavo le motivazioni," scrive subito l'autrice, sottolineando un altro problema ormai tristemente noto: quello della strumentalizzazione dei crimini contro le donne perpetrati da uomini non italiani—ultimo proprio il caso di Desirée Mariottini, la ragazza stuprata e uccisa a San Lorenzo il 19 ottobre e usata da Salvini per portare avanti la sua propaganda anti-immigrazione; nella lista compare al 31 gennaio anche Pamela Mastropietro, la cui tragica fine è stata utilizzata da Luca Traini per motivare la strage razzista e fascista di Macerata.

Come sappiamo ormai da tempo, a uccidere le donne sono soprattutto uomini a loro vicini: mariti, compagni. E tra i moventi scovati nelle pagine di cronaca e raccolti nel post di Paola Ronco ci sono infatti molti "gelosi," magari posti di fronte o spaventati dalla fine della relazione. "La gelosia è un fattore di rischio. Gli uomini che sono anche gelosi possono essere più pericolosi, perché la loro percezione di essere autorizzati a fare violenza o a giustificare una violenza può aumentare, ma non è l'unica ragione e non è neanche la principale," ci spiegava la dottoressa Alessandra Pauncz, psicologa e responsabile del CAM (Centro Uomini Maltrattanti) qualche anno fa. "Se parli con qualsiasi uomo [maltrattante], sono abbastanza sicura lui comincerà a fare una lista dei motivi per cui è vittima delle critiche [della donna], della sua mancanza di riconoscimento o della sua necessità di organizzare la vita familiare."

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Anna Carusone (22 gennaio). Uccisa a colpi di fucile dal marito davanti alla figlia quindicenne. Lui sostiene che lei voleva lasciarlo.

Di questi casi di non accettazione della fine della storia fanno anche parte tutti quei casi di stalking e omicidi a carico di ex-partner.

Elisa Amato (26 maggio). Uccisa a colpi di pistola dall'ex fidanzato, che da mesi la perseguitava dopo la fine della loro relazione.

Un'altra situazione che ricorre è quella delle donne anziane, malate o non più autonome uccise dai mariti, forse in condizioni in cui manca un'adeguata assistenza:

Claudia Priami (4 marzo). Uccisa a colpi di cacciavite dal marito, che poi si suicida. Lei era anziana e malata.

Ci sono poi i casi di violenza mossa da sconosciuti ai danni di donne spesso considerate in una posizione di inferiorità o debolezza: clienti che uccidono prostitute, spacciatori che uccidono le ragazze che si rivolgono loro, o, in generale, uomini che stuprano o uccidono donne che non conoscono perché be', possono fisicamente farlo.

Arietta Mata (21 gennaio). Prostituta. Rapinata e strangolata, poi buttata sui binari per simulare un suicidio.

Ma se date un occhio alla lista (per un approfondimento c'è anche quella di In quanto Donna, che raccoglie schede e articoli di cronaca collegati a queste vicende), la preponderanza delle parole "marito" e "fidanzato" è schiacciante.

Rimane una necessaria riflessione su un ulteriore passo da fare a livello dei nostri modi di divulgare le informazioni—un passo che non sminuisce ma si affianca a post Facebook: è il momento che l'attenzione venga spostata dalle vittime ai carnefici, come soggetti attivi della violenza. Perché il rischio è che parlare solamente di "donne uccise" spinga a dimenticare, a normalizzare, gli uomini che le uccidono.

Ma sicuramente parlarne, parlarne di più su tutti i mezzi di comunicazione che abbiamo, è la cosa giusta. E, ricordano i commenti sotto il post il problema è più vasto e le vittime non sono purtroppo "solo" 72: sono tutte quelle donne che subiscono violenze non mortali, abusi da parte di partner o altri uomini. Non solo perché rappresentano potenziali vittime di domani, ma perché la violenza di genere è un continuum e per far sì che questi dati in futuro non siano così preoccupanti è bene agire alla radice della catena, non all'ultimo anello. E, nonostante la crescita nelle richieste di aiuto al Telefono Rosa facciano ben sperare, su quante siano le donne oggi in Italia vittime di violenze e abusi di qualunque tipo è molto più difficile trovare dati realistici.