Cosa ci ha lasciato la rivoluzione d'Ottobre, 100 anni dopo
Una statua di Lenin al Museo del comunismo di Praga. Foto via Flickr/Mark Surman

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Cosa ci ha lasciato la rivoluzione d'Ottobre, 100 anni dopo

Perché essere comunista oggi viene vista come una cosa idealista e ridicola?

Per tutto quest'anno ho seguito assiduamente su Twitter una serie di account, creati dall'emittente russa Russia Today, che impersonavano i vari protagonisti della rivoluzione russa: @VLenin_1917 ‏, @LeoTrotsky_1917 ‏, @JoeStalin_1917 ‏, @Kerensky_1917 ‏, @NicholasII_1917 ‏ (lo zar) e così via. Lo scopo del progetto era appunto, in occasione del centenario, rievocare la rivoluzione russa per far vedere passo passo come andarono le cose. Talmente passo passo che sul sito di Russia Today c'era persino un "Lenin tracker" aggiornato in tempo reale che di giorno in giorno seguiva gli spostamenti del leader bolscevico.

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Ecco, oggi questo progetto è giunto alla sua naturale conclusione: il 100esimo anniversario della rivoluzione d'Ottobre—che, ricordiamo, in realtà è avvenuta a novembre del nostro calendario gregoriano, a ottobre di quello giuliano usato dalla Russia a quei tempi—è arrivato. Ieri sera—100 anni fa—le guardie rosse del partito bolscevico insorgevano a Pietrogrado contro il governo provvisorio di Kerenskij, occupavano uno dopo l'altro i palazzi del potere e le sedi dei mezzi di comunicazione e consegnavano tutto il potere nelle mani del soviet dei degli operai e dei soldati. E ieri sera—nel 2017—l'account Twitter di Lenin postava questo:

Com'era prevedibile oggi sono fioccati i pezzi sulla rivoluzione d'Ottobre. Sia i pezzi storici, quelli che i giornali fanno sempre in occasione delle ricorrenze, e se cercate cose del genere vi basta andare su Repubblica dove da mesi Ezio Mauro ci ammorba con la sua videoserie in diecimila puntate dall'originalissimo titolo "Cronache di una rivoluzione." Sia i pezzi critici della rivoluzione, che 100 anni dopo ne sottolineano il fallimento mettendo in fila banalità sulla "stagione di idealismo ormai finita" e sul "voler cambiare il mondo" che va bene ma poi bisogna crescere e accettare le cose come stanno. Sia pezzi deliranti come questo del Washington Post secondo cui Donald Trump, Marine Le Pen, Viktor Orban e Nigel Farage sono i nuovi bolscevichi, che lascerei perdere a prescindere.

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Al di là di come la si pensi sui suoi esiti, la rivoluzione d'Ottobre è stata uno degli eventi più importanti dei 100 anni che sono passati da allora a oggi: l'unico caso in cui un popolo è insorto mettendo in discussione non solo la propria classe politica ma anche il sistema economico che ci sta dietro. Come ogni evento storico ha le sue luci e le sue ombre ma il suo impatto è stato innegabile: se oggi abbiamo ancora qualche diritto sociale lo dobbiamo alle lotte dei lavoratori in Europa occidentale e all'influenza dell'Unione Sovietica, e se La svastica sul sole di Philip K. Dick è solo un'opera di fantascienza e non la realtà in cui viviamo lo dobbiamo all'eroismo dell'Armata rossa a Stalingrado.

Quindi, perché oggi la rivoluzione d'Ottobre viene considerata come qualcosa che appartiene solo ai libri di storia? Perché essere comunista oggi è vista come una posizione velleitaria, utopistica, fuori dal tempo—in una parola: ridicola?

Posso provare a capirlo rivedendo la storia della mia formazione politica, che è simile a quella di molte persone della mia età—adolescenti nel pieno del berlusconismo, in cui aderivano a una sinistra stereotipata e confusionaria. A 14-15 anni giravo con la maglietta di Che Guevara, gestivo un sito zapatista amatoriale, andavo ai concerti dei Modena City Ramblers e in piazza a protestare contro la riforma Moratti. Ma questa militanza (se così può chiamare) non si accompagnava ad alcuna idea precisa di che cosa volesse dire "essere di sinistra" a parte un generico "stare sempre dalla parte dei più deboli." Crescendo poi ho superato quella fase e lasciato perdere la politica, finendo a non votare o a votare Oscar Giannino per il lol, sviluppando un'avversione naturale per l'impegno politico che vedevo come qualcosa da lasciar perdere o da portare avanti solo sotto 100 strati di ironia.

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Le cose sono cambiate quando ho cominciato a lavorare, a fare lavori di merda in cui dovevo fissare una transenna per 8 ore pagato 30 euro (lordi, dopo un anno) e a rendermi conto di cosa volevano dire davvero alienazione, lotta di classe e tutti quegli altri termini che conoscevo per sentito dire. E mi sono riavvicinato alle stesse idee che credevo di conoscere a 16 anni, in modo più critico, parlandone e rileggendo i libri che non avevo capito. Arrivo al centenario della rivoluzione d'Ottobre che ho 26 anni e che, se fino a qualche anno fa a queste cose non ci pensavo nemmeno, in questi giorni sto per consegnare al mio relatore una tesi di laurea intitolata Il pensiero di Trotskij e la rivoluzione permanente. Le mie letture di quest'estate: La rivoluzione permanente, Stato e rivoluzione, una Storia del marxismo in tre volumi, una recente biografia di Lenin. Non sono libri facili, eppure se dico a qualcuno che li sto leggendo mi guardano come se stessi leggendo I love shopping. Perché?

Una delle ragioni sta in quello che la parola "comunista" è arrivato a significare in Italia, nell'intento denigratorio con cui è stata usata negli ultimi decenni. Oggi in Italia un comunista è un fallito, uno che non vuole vincere, destinato a restare sempre minoritario. È una persona fuori dal tempo, staccata dalla realtà, uno che non vuole o non sa adeguarsi a competere nella società. È un hippie, uno che vorrebbe cambiare il mondo con la forza dell'amore, uno che gira vestito come un barbone e che per ideologia dovrebbe rinunciare a ogni comodità della vita moderna (e se non lo fa è visto come un ipocrita). Infine—anche se quest'accezione forse non è tanto diffusa in Italia quanto all'estero—un comunista è un totalitario, un pericoloso sovversivo, un fascista "rosso" da infilare in discorsi sul "fascismo degli antifascisti."

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A guardar bene tutte queste accezioni sono molto lontane dal vero significato del termine. Se si sono affermate credo che la colpa sia tutta da imputare alla sinistra in Italia e alla fine che ha fatto negli ultimi 25 anni. Prima del crollo dell'URSS il PCI era il più grande partito comunista europeo e uno dei più grandi dopo quello sovietico, oggi invece tra un Diliberto e un Bertinotti quell'eredità è stata tutta dilapidata in maglioncini di cachemire, la bandiera rossa si è scolorita fino a diventare il logo del PD, i congressi dei partiti comunisti italiani sono praticamente diventati delle riunioni di condominio. Per forza che in Italia oggi il comunismo viene visto come un'idea sconfitta, o come una setta che ti suona il campanello di domenica per venderti un giornale con la sintassi dell'Ottocento, o come qualcosa di pericoloso che rimanda subito agli anni Settanta, al terrorismo e alle Brigate Rosse. I comunisti, almeno in Italia, sono rimasti abbarbicati al proprio passato e per questo vengono visti come dei ruderi antistorici.

Altrove però forse qualcosa sta cambiando. Negli Stati Uniti, ad esempio, il marxismo ha trovato il modo di venire memificato ed è in forte ascesa. Negli ultimi due anni sono sorte decine di meme page comuniste: da Sassy Socialist Memes (quasi un milione di like, foto di Marx con gli occhiali da sole) a £ ∆ β Ø U ᴙ ₩ ∆ ⧩ ∑ (che declina il comunismo con un'estetica vaporwave), a Communist Memes (200mila like, come foto di copertina un'immagine di Che Guevara che fuma il sigaro su uno sfondo di galassie) e decine di altre simili. C'è poi tutto un filone di pagine dedicate a criticare il capitalismo, la più famosa delle quali è Humans of Late Capitalism che fa la parodia di Humans of New York. Su reddit ci sono r/LateStageCapitalism, r/FULLCOMMUNISM e una marea di altri subreddit in cui le icone di upvote dei post hanno la faccia di Stalin, i flair riproducono i principali leader comunisti mondiali e le discussioni politiche si alternano a shitpost di meme come questo (che non è ironico):

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Secondo il prof. Marshall della Deakin University, "come le vignette politiche, che risalgono indietro a secoli fa fino agli anni Cinquanta dell'Ottocento, i meme politici sono uno strumento per mandare un messaggio in modo più diretto, girandoci un po' attorno e facendo ridere. Servono a coinvolgere le persone e farle interessare a problemi che altrimenti non le riguarderebbero direttamente."

A quanto pare tutte queste iniziative stanno funzionando. Stando a un sondaggio condotto l'anno scorso dall'università di Harvard, il 51 percento dei millennial americani si è detto contrario al capitalismo; un altro sondaggio di YouGov del mese scorso ha scoperto che la maggioranza dei giovani americani preferirebbe vivere in un paese socialista che in un paese capitalista. In Italia invece tutti questi tentativi stanno provando a venire tradotti da pagine come Compagni Annoiati e Memes Against Fascism, ma ancora non ci siamo del tutto.

Insomma, alla luce di tutto questo, siamo davvero sicuri che il comunismo sia un'idea del passato? A 100 anni dalla rivoluzione d'Ottobre il sistema economico dominante è ancora il capitalismo (proprio come nel 1917) e le disuguaglianze economiche e sociali ci sono ancora (proprio come nel 1917). I motivi che hanno portato alla rivoluzione d'Ottobre sono ancora lì, checché ne pensino Ezio Mauro e i vari commentatori sulla sua scia. E ridurre un sistema economico e filosofico che si è formato con i contributi teorici di alcune delle migliori menti dell'ultimo secolo a una semplice utopia—ignorando, tra l'altro, tutte le volte che quest'utopia è diventata almeno in parte realtà—è decisamente stupido.

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Possiamo parlare dei limiti e dei problemi che sono stati incontrati quando si è tentato di realizzarlo: non sono certo uno di quei comunisti matti come Marco Rizzo che negano i crimini di Stalin e supportano l'ISIS per la sua resistenza all'imperialismo americano. Le critiche sensate sono legittime, perché la teoria comunista stessa è stata sviluppata a partire dalla discussione, dalla critica e dal dissenso. Io stesso quando mi sono messo ad approfondirlo l'ho fatto in modo critico, cercando in ogni modo di trovarci una falla o qualcosa che non mi tornasse: alla fine però sono stato costretto ad arrendermi e ho dovuto alzare le mani—anzi, il pugno. Non è un sistema perfetto ma i suoi pregi superano di gran lunga i difetti, almeno a mio parere.

È vero: negli ultimi decenni, dal crollo dell'URSS in poi, il comunismo è in ritirata in tutto il mondo—anche se di tanto in tanto conosce nuove fiammate: il Venezuela di Chavez, il Chiapas del Subcomandante Marcos, la rivoluzione del Rojava. Ma 100 anni dopo l'Ottobre c'è ancora Cuba, che rimane socialista 63 anni dopo la rivoluzione. C'è ancora la Cina, che si avvia a diventare la principale potenza economica mondiale e che—almeno formalmente, con tutte le critiche del caso—è ancora governata da un partito comunista.

E soprattutto c'è ancora l'account Twitter di Lenin.

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