Dall’annuncio della chiusura del Noma di Copenaghen si è molto parlato della crisi dei ristoranti stellati, o di un cambio per la cucina fine dining come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi.“Avere la stella ti fa capire di aver raggiunto un livello per cui puoi decidere cosa fare, ma io non riconosco più quel mondo. Io ho scelto una nuova filosofia di ristorazione e la mia missione è condividerla”
Si è parlato di rimettere in discussione un sistema —un concetto ancora abbastanza labile— e io, nel mio piccolo, penso di aver trovato una buona rivoluzione da Reis-Cibo Libero di Montagna a Chiot Martin, nel cuneese.
Lo chef Juri Chiotti e uno dei suoi agnellini.
“Cuneo per molti è già un luogo abbastanza remoto, cosa ha fatto scattare l’asticella e ti ha fatto decidere di spostare tutta la famiglia (incluse tre bambine e un bambino in arrivo) fin qui"?”
Juri Chiotti dà il fieno alle pecore, vicino a me due capre ammirano il paesaggio, l’immenso cane da pastore (unico alleato contro i lupi) rincorre il fotografo e io ancora mi chiedo quale sia questa grande rivoluzione, al di là di avere prodotti a metro zero e avere il coraggio di cucinare gli agnellini che stanno gironzolando attorno alla mamma tra la paglia. Ma lo chef me lo chiarisce presto: “Il cambiamento più grande è che solitamente un cuoco pensa ad un piatto e poi cerca gli ingredienti. Io faccio il contrario,” mi racconta. “L’approccio è diverso perché noi sappiamo che non possiamo sprecare nulla, quindi non mettiamo al primo posto l’estetica.” Che comunque c’è, aggiungo io.“Assistendo alla fatica concreta nel produrre il cibo diventa facile da comprendere la scelta di ottimizzare gli sforzi. Se ho un prodotto che voglio lavorare e so benissimo che ci sarebbe, da qualche parte nel mondo, un ingrediente che si abbinerebbe magistralmente, ma io ne ho un altro che non è altrettanto perfetto, allora scelgo quello vicino a me. Mi limito per rispettare e dare maggior valore a quello che ho”.“Assistendo alla fatica concreta nel produrre il cibo diventa facile da comprendere la scelta di ottimizzare gli sforzi.”
Lo chef ci mostra la carne che viene dal suo allevamento.
La scelta di un’apertura limitata è anche etica, dunque: “Siamo andati troppo oltre, ci siamo abituati ad andare sempre a cena fuori, ma il cibo non è una cosa che possiamo delegare ad altri. È una comodità insostenibile,” mi dice Juri Chiotti. Un passaggio un po’ confuso, devo ammettere, dato che ha lui stesso un ristorante. Ma suona poetico lo stesso.
“L’alta cucina, almeno per me, non dovrebbe essere un mezzo per divertirci, ma dovrebbe essere una fotografia fatta da un esperto di cibo che ti dice come ti dovresti nutrire. Sappiamo che il cibo oggi è responsabile del 40% dell’inquinamento del mondo e il cuoco, in quanto esperto in materia, deve responsabilizzare il suo pubblico. Invece molti continuano a voler accontentare solo il loro ego e le loro tasche. Non possiamo più concentrarci sull’abbinamento, la tecnica o la creatività: dobbiamo imparare a coltivare, a capire da dove arrivano le cose che cuciniamo, poi viene il resto. Dobbiamo proprio rivedere tutto. Il cibo non può più essere solo divertimento.”“Cibo libero di montagna, per me, vuol dire anche non limitarsi a cosa cucina la nonna, ma cercare di ritagliarci un futuro in cui decrescita e progresso si equilibrino.”
Batsoa fritto con cipolle in agro e cavolo alla brace. Foto per concessione di Reis.
Considerando poi che gli agnelli non vengono macellati a due mesi (Juri gli mette un elastico sui testicoli, castrandoli in modo indolore, e li macella quando hanno un anno) e che vivono liberi nei prati, anche le due portate di carne sono un concentrato di consapevolezza e rispetto.
L'insalata di Reis contro lo spreco. Foto per concessione di Reis.
“Le fermentazioni saranno mainstreem, ma se non vuoi buttare via nulla e preservare i tuoi prodotti, sono una tecnica importante. In montagna le conserve, le marmellate e, perché no, anche le fermentazioni, sono passaggi fondamentali”.
La sala con vista di Reis.
I soldi. Insomma, si può campare così? “Se ti fai il culo, sì”.
O meglio: “La cosa più difficile è la costanza di essere presenti sette giorni su sette in azienda. Stanno succedendo molte cose belle e vorrei che succedessero più in fretta, ma qui i tempi li decide la natura. Da lunedì a giovedì sono nell’orto, o tagliare la legna, o a spalare la neve. In settimana posso gestire il mio tempo in un’anarchia agricola, mentre nel weekend torno alla tempistica precisa della cucina. Mi sembra un buon equilibrio. Però ci va molta manualità e con gli animali devi sempre essere presente, che tu abbia l’influenza o che sia Natale,” mi spiega Juri.“È un progetto fattibile solo se hai un’ossessione, più che una passione. Poi in questo tipo di allevamento non vedi il ritorno economico subito, ma arriva lavorando l’animale e, quindi, cucinandolo.”C’è ancora molto lavoro da fare, e le idee di Juri non mancano, dalle attività didattiche per i bambini al salorto per l’estate (un orto in cui mangiare circondati da frutta e verdura).Del resto, nessuno pensa che la rivoluzione sia facile ma sembra sempre più necessaria. Segui Giulia su Instagram.
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