Piero Pompili Intervista
Foto di Sebastiano Barbieri per gentile concessione di Piero Pompili
Cibo

Perché essere camerieri non significa fare un lavoro umile

Piero Pompili è il restaurant manager del Cambio di Bologna e se c'è una cosa che non sopporta e vedere uomini e donne di sala umili. Si può essere protagonisti nel ristorante e "oscurare" gli chef?

Da 4 anni Piero Pompili è il frontman del Cambio di Bologna, ex ristorante di cucina creativa che ha convertito in cucina tradizionale, facendolo diventare uno degli indirizzi più apprezzati in città. Ma Piero Pompili non è uno chef, come potrebbe sembrare, è un cameriere e sta completante rivoluzionando questa figura che ancora oggi viene vista spesso come una professione di serie B o addirittura da sfigati, e lo sta facendo a modo suo, fregandosene di tante convenzioni.

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Mentre lo chef negli anni è riuscito a costruirsi un’immagine da bello, tatuato e dannato, quando si è iniziato a parlare della figura del cameriere quelli che contavano hanno puntato tutto sull’umiltà, che non è di certo una qualità che aiuta a diventare un mito.

Ho iniziato a fare il cameriere nel 1995. Allora era visto come un mestiere da sfigati. Quando all’inizio degli anni 2000 è scoppiato il fenomeno della cucina e i cuochi hanno iniziato a comparire in tv il cameriere, maître o direttore di sala di quei “castelli della ristorazione” ha assunto il ruolo della valletta muta alla Flavia Vento, il cui compito era esclusivamente servire alla corte del Re. Che noia.

Mentre lo chef negli anni è riuscito a costruirsi un’immagine da bello, tatuato e dannato, legato alla realizzazione di qualcosa di creativo, quando si è iniziato a parlare della figura del cameriere quelli che contavano hanno puntato tutto sull’umiltà, che non è di certo una qualità che aiuta a diventare un mito. L’umiltà non c’entra nulla con la professionalità e il raggiungimento degli obiettivi.

Ma affrontiamo il fatto che le cose sono cambiate: ci sono persone laureate che lavorano in un call center mentre io guadagno come un medico di base.

E come possono aspettarsi che i ragazzi abbiano voglia di fare un mestiere che in realtà, se fatto nel modo giusto, può essere figo, divertente, pop se mi passate il termine? Chi mai avrebbe voglia di andare a fare il prete nella sala di un ristorante? Si riconosce l’arte del cucinare e del creare ma non si riconosce l’arte nel servire, e tanto meno nell’apparire e nell’essere, caratteristica fondamentale per chi vuole stare in sala. Io mi considero un artista: nella mia vita ho cambiato tre ristoranti, dando ogni volta un’identità diversa al mio mestiere e al locale.

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In Italia la sala è cresciuta tantissimo, ma in realtà ben poco è cambiato in questi 20 anni e c’è tanta, inutile ipocrisia. Oggi giornalisti dicono che il servizio di sala vale addirittura il 60% dell’esperienza al ristorante, ma se vai a vedere le copertine dei giornali capisci che sono i primi a non crederci, visto che poi in copertina continuano ad esserci i cuochi.

Ma da noi in Italia non userei il termine restaurant manager: mi piace quello di ‘super cameriere’.

Quando sotto la pandemia eravamo tutti rintanati a casa ho seguito le dirette quotidiane di diverse testate: si sono contate sulle dita di una mano le persone della sala invitate a parlare della situazione che stavamo vivendo e delle prospettive future della ristorazione. Per poi invece sorbirsi inutili opinioni di cuochi neanche conosciuti, che ti facevano rimpiangere di non avere il giardino per andare a zappare la terra piuttosto che ascoltarli.

All’estero la percezione di sala è diversa. Negli Stati Uniti c’è un proprio culto, riconoscono il lavoro di chi sta servendo e lo pagano davvero bene, i restaurant manager sono trattati come delle star. In Italia indicherei solo altre due figure a quel livello: Beppe Palmieri, ombra invisibile di Massimo Bottura, ma fondamentale per il successo dell’Osteria Francescana; e Alessandro Pipero, il re della carbonara, un grandissimo patron che ha creato un impero intorno a un piatto. Siamo le tre P come le Kardashian. Ma da noi non userei il termine restaurant manager: mi piace quello di super cameriere.

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Paradossalmente oggi il livello di chi fa colloqui per lavorare da me è più alto. I ragazzi giovani sono più interessati al mestiere e di questo dobbiamo dare merito all’interesse mediatico che si è creata attorno la cucina. Allora perché si parla ancora di quello di cameriere come un mestiere ‘umile’? Il problema è che è un lavoro che spesso si comincia “facendo altre cose”. La tipologia di orario ti permette di svolgerlo mentre studi. E così si pensa che sia un lavoro da fare nell’attesa di costruirsi un’altra carriera, di trovare un lavoro ‘vero’. Ma affrontiamo il fatto che le cose sono cambiate: ci sono persone laureate che lavorano in un call center mentre io guadagno come un medico di base.

Quando nel 2016 sono arrivato ad assumere la conduzione del Cambio avevo ben chiaro quello che ne volevo fare. Ho deciso io che tipo di cucina proporre, a che prezzo, come promuoverla e a quale figura legare il nome del ristorante, con la squadra che ho personalmente scelto. Ho rispolverato la ristorazione classica borghese che aveva fatto grande Bologna a cavallo degli anni 70/80, animata da grandissimi patron che erano grandi uomini di sala. E che pian piano, salvo rare eccezioni, sono scomparsi. Non bisogna mai avere paura di prendersi dello spazio, soprattutto se si è capaci di saperlo gestire come, a volte anche meglio di, un cuoco. Osate e non abbiate mai paura di esser giudicati. Di noi hanno scritto che Al Cambio è il primo ristorante nato dalla sala.

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In futuro dovremmo evitare di avere ristoranti che ripetano gli stessi errori degli chef nel creare modelli di ristorazione insostenibili

Dietro a ristoranti di cucina tradizionale borghese, ma anche di grandi trattorie, possono esserci cuochi e cuoche non potranno mai avere la stessa attenzione mediatica di uno chef di cucina creativa ma che, se coadiuvati da grandi uomini di sala, potranno ricoprire un ruolo fondamentale nella ristorazione italiana, portando avanti la storia della tradizione gastronomica in ogni città d’Italia a testa alta.

Ma come fare a diventare un grande cameriere? Il consiglio che do a chi vuole intraprendere questo lavoro è prima di fare un percorso di studi universitario e poi eventualmente decidere, dai 25/27 anni in su, se dedicarsi alla sala. Le future figure di sala dovranno sempre più avere competenze trasversali che non si fermeranno più a quelle gastronomiche ed enologiche. Saranno manager a 360 gradi. Consiglio conoscenze di marketing, per saper vendere il prodotto e collocarlo in una fascia di mercato; manageriali, per saper impostare e guidare un ristorante con un filo conduttore logico tra cucina, ambiente, servizio, carta dei vini; di comunicazione per avere una quadratura perfetta del cerchio. Ricordandosi sempre che si può avere una vita bellissima al di fuori del ristorante. Io non lavoro più di 8 ore al giorno e non lo chiedo anche ai miei chef. Siamo chiusi la domenica e il sabato a pranzo.

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La cultura è fondamentale per un cameriere. Sbaglia chi pensa il contrario e concepisce il nostro mestiere come facile: dobbiamo rapportarci con persone diverse ogni giorno. Spesso mi capita di gestire una clientela politica, manageriale, imprenditoriale.

Il futuro della ristorazione sarà la sala, e non faccio retorica. Perché in futuro dovremmo evitare di avere ristoranti che ripetano gli stessi errori che gli chef hanno fatto nel creare modelli di ristorazione insostenibili, pronti ad andare in difficoltà come è successo alla prima pandemia. E chi lavora in sala dovrà essere un vero e proprio punto di riferimento per la città in cui lavora, affinché anche la politica cambi rotta e si accorga di quanto un ristorante possa essere sempre più un biglietto da visita della città in cui si trova, e il suo uomo di sala di riferimento il primo anello di congiunzione tra la città e chi viene da fuori. Certo uno chef che fa cucina creativa resterà sempre il protagonista di certi ristoranti, in cui il cameriere resterà sempre la spalla. Ma credo che tra 5-10 anni la bolla della cucina esploderà e a quel punto ci sarà la svolta.

Noi camerieri non siamo dei semplici portapiatti. Saremo noi a fare la differenza della ristorazione italiana.

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