“Still” here: la storia di Simone Trabucchi
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Musica

“Still” here: la storia di Simone Trabucchi

Il fondatore di Hundebiss, Invernomuto e Dracula Lewis debutta su PAN con un nuovo progetto, Still, tra dub, dancehall e sperimentazione.

Quello di Simone Trabucchi è un nome noto a chiunque segua certe musiche, specialmente a Milano. Negli ultimi dieci anni ha fondato un'etichetta, Hundebiss, che ha pubblicato nomi come James Ferraro, Aaron Dilloway, Lorenzo Senni e i Primitive Art; ha gestito uno spazio con lo stesso nome dove sono passati tutti i nomi più importanti dell'underground - italiano e mondiale - di un certo periodo, e ha fatto musica a nome Dracula Lewis.

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Come se questo non bastasse è anche la metà, insieme a Simone Bertuzzi, di Invernomuto, duo più legato al mondo dell'arte contemporanea che lo scorso anno ha prodotto il film Negus, al quale hanno lavorato con Lee Scratch Perry, andando alla ricerca dei legami che uniscono la loro Vernasca (PC) all'Etiopia.

Questa settimana esce il suo nuovo progetto musicale, a nome Still, e la notizia è grossa anche perché debutta su una delle etichette più importanti a livello europeo: quella PAN che da Berlino ha fatto uscire nomi come Rashad Becker, Valerio Tricoli, Lee Gamble, M.E.S.H., Afrikan Sciences, Objekt, Helm e Yves Tumor.

In un caldo pomeriggio di luglio sono andato in studio da Simone, reduce dal primo live a nome Still svoltosi al parco Sempione pochi giorni prima, a sentire il disco appena ultimato e a fare una chiacchierata su tutto il suo percorso.

Che formazione hai, cosa ascoltavi da ragazzino?
Questa è la tipica domanda di Federico Sardo! Io ho iniziato con il metal e con il rap contemporaneamente, quello che si ascoltava da ragazzini all'epoca era quello. C'era il metal perché vedevi i ragazzi più grandi che ascoltavano hard rock: i Metallica, i Guns n Roses… E iniziava a esserci il rap in Italia, anche abbastanza famoso, tipo OTR, Articolo 31, che diventavano pop e non più underground. E poi arrivava la gabber per i ragazzini, quella più bubblegum, con i sample dei cartoni animati, happy hardcore fondamentalmente. Quella è la roba che ascoltavo quando non avevo proprio un gusto mio, era quello che arrivava anche se abitavi fuori.

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Andavi anche a ballare?
No, parlo proprio di quando ero alle medie. Dopo di che ho iniziato ad avere una specie di rifiuto della musica elettronica in generale, anche l'hip hop, e ho ascoltato soltanto heavy metal per un po' di anni, e da lì sono passato al punk hardcore. E ci sono stato dentro fino a tardi, fino all'università. Suonavo in diversi gruppi, ero abbastanza settoriale: avevo un gruppo grindcore marcissimo che si chiamava Wojtyla e un altro che si chiamava Extinzione che era più anarcopunk, suonavamo solamente in certi contesti.

Con l'università ho cambiato un po' attitudine, il primo anno di accademia (Brera, ho fatto il dipartimento multimediale) mi ha aperto un po' la testa. Già c'era qualcuno del giro HC che ascoltava anche cose diverse, tipo l'industrial, e mi interessava, mi incuriosiva. E da lì mi sono un po' aperto, per esempio ascoltando i Coil, da lì è stato un continuo, senza mai smettere. La mia adolescenza invece era stata molto attiva in quel contesto molto stretto: avevo un'etichetta, avevo una fanzine… Per me era l'unico modo per essere attivo anche stando fuori dal mondo, fino ai diciotto anni muoversi era veramente un casino. Andavo sempre alla Scintilla, che era uno squat a Modena e quello era proprio il centro delle cose che mi interessavano, il fine settimana quando riuscivo ero sempre lì. Se no venivo qui a Milano ai primi tempi della Villa (Vegan, ndi), a Novara al Cavalcavia, anche il Bulk… C'era un bel giro, ogni settimana c'era qualcosa.

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Eri coinvolto anche politicamente?
Abbastanza. Fino al 2001 soprattutto. Per me il grande down, come per tanti credo, è stato il G8 di Genova.

Sei andato?
No perché lavoravo. E c'era nell'aria l'idea che sarebbe stata una grande imboscata, e di fatto fu così. È stata una tragedia, oltre per il fatto più drammatico, anche perché molta gente era proprio scomparsa, amici che non sapevi più che fine avevano fatto… Dopo un mese si è saputo che uno era nel carcere di massima sicurezza di Alessandria, uno che era semplicemente andato in manifestazione.

Sono andato il mese dopo, all'anniversario della morte di Giuliani. Molto drammatico, pesante, triste. E lì ho visto sfaldarsi molte cose, ma anche io stesso non avevo più troppe convinzioni, è stato un momento in cui mi sono messo un po' in discussione.
Penso sia stata pianificata una distruzione del movimento, è stata una botta da cui non ci si è ripresi.

Che lavoro facevi?
D'estate quando andavo a scuola ho sempre lavorato. Il manovale, il muratore, perché mio nonno aveva una piccola impresa edile quindi era tradizione andare a lavorare in cantiere; dopo ho fatto il cameriere per un bel po' di anni. Quell'estate lì invece facevo il figurante a teatro, per l'opera. Pagavano bene, avevo bisogno di soldi perché avendo fatto la maturità non avevo potuto fare la stagione.

Quindi ti sei anche sporcato le mani, non hai sempre fatto l'artista nella vita.
Mi piace molto fare le cose manuali, grande scuola di attitudine. E da dove vengo io è impossibile che stai a casa d'estate a far niente, vai nei campi o vai a fare il muratore, l'aiuto elettricista…

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Poi però sei venuto a Milano.
Sì, a fare l'Accademia. Ma facevo avanti e indietro perché non avevo i soldi per stare in affitto, in più avevo gruppi e varie cose che mi legavano là. Ho fatto cinque anni, tutto il percorso.

Hundebiss, lo spazio, quindi arriva dopo?
Sì, 2007. Ero già laureato.

E cosa stavi facendo?
Io e Simone abbiamo cominciato a lavorare insieme nel 2003. Mio secondo anno di accademia e suo primo, proprio da subito abbiamo fatto una fanzine, anzi una vera rivista. Finita l'università avevamo uno studio in provincia di Piacenza e cercavamo uno studio qua. Parlando con degli amici/sostenitori, tipo Andrea Lissoni, che era stato nostro professore, stavano facendo un progetto che si chiamava Check-in Architecture, e avevano uno spazio che gli aveva dato un collezionista, qua vicino, verso la tangenziale.

Loro avevano questo contratto che scadeva a Natale e avevano finito il progetto a luglio, ci hanno proposto di entrare noi e vedere come andava. Siamo andati dentro con Andrea Caputo, che adesso ha uno studio di architettura a Milano e uno a Shangai ma all'epoca era uno scappato di casa come noi e stava facendo un libro sul writing. Siamo entrati lì, io mi sono innamorato dello spazio, ho pensato che in un posto simile si dovevano fare anche concerti, cose.

Lo spazio è diventato poi importante per un certo underground milanese. Ci hanno suonato anche nomi stranieri di un certo peso.
Anche lì sembra passata una vita: c'era una scena in generale, anche nel mondo, qualcosa che adesso mi sembra non ci sia più. Era molto legata a passati industrial o mail art, però aggiornata alle tecnologie di internet, da Myspace ai blog, e funzionava bene: c'era un bel giro, un bel circuito e nel giro di poco eravamo diventati un punto di riferimento.

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A Milano c'era poco in quel periodo.
Spazio O', ma non ha mai potuto fare cose troppo rumorose; Dauntaun stava chiudendo e faceva cose diverse, anche se qualche volta ci abbiamo provato. Poi non è mai stato facile per noi far capire cosa volevamo fare. In certi contesti spiegare che volevi fare Aaron Dilloway era impensabile, fuori dal mondo. Quindi la cosa migliore era farcele da soli. Avevamo cominciato in un bar di cinesi in zona Abbiategrasso, c'era una stanza segreta tutta di legno bellissima, ci abbiam fatto un paio di concerti, io avevo pianificato un anno di programmazione, sono andato là un giorno ed era chiuso. Non esisteva più il bar. Ci siamo appoggiati un paio di volte ad altri spazi poi abbiamo cominciato a farle per i fatti nostri e lì è stata la svolta, devo dire. Anche a livello di stare bene, divertirsi, gestire le cose dall'inizio alla fine: facevamo tutto, dal bar all'accommodation (cioè la gente dormiva lì, anche due o tre giorni).

Come mai è finita?
Perché ci han mandato via. Gli spazi che avevamo avuto erano due: uno che era in via Oslavia e l'altro all'angolo in via Arrighi, alla fine di via Arrighi abbiamo preso l'altro posto. Sempre in accordo con la proprietà, ma in realtà con una parte della proprietà, all'altra parte non gliene fregava un cazzo di averci lì.

Appena la persona con cui eravamo d'accordo è uscita dalla società questi hanno iniziato a rompere le palle dicendo che c'era l'amianto, cosa probabilmente vera. Solo che non l'hanno mai tolto. Noi abbiamo cercato di restare in tutti i modi ma ci hanno mandato via e lo spazio adesso è terra di nessuno - è stato occupato qualche volta, ora è lì abbandonato.

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All'epoca era una cosa di cui c'era bisogno: a Milano c'era poco, voi avete anche dato una spinta a cose che poi sono successe per conto loro, e ora forse ce ne sarebbe meno bisogno, ci sono altri spazi che fanno quelle cose. Avete avuto una funzione storica che poi forse si è anche disciolta.
Sono abbastanza d'accordo, io l'ho sentita un po' così. Poi è cambiato tutto. Ci siamo ritrovati anche a fare le serate nei locali ma non ci siamo mai trovati bene, hai a che fare con mille problemi che non vuoi avere. Lì facevamo tutto noi dall'inizio alla fine, e quello era il bello. Si sentiva di merda, però facevamo le cose al meglio.

Sun Araw, ad esempio, adesso lo puoi fare in mille posti, viene molta più gente e bella per lui.
Però all'epoca no. E all'epoca non c'erano certi posti: non c'era Macao, né posti come quello.
Poi in generale tutto il mondo underground è diventato un pochino più pop da un certo punto di vista… Non sono assolutamente contro questa cosa, è diverso, fine.

Anche la musica forse è diventata un po' più pop.
Eh, anche, un po'. Io mi ricordo veramente dei concerti inascoltabili, anche in senso negativo. Adesso è tutto un po' più professionale, vuoi anche solo che la stessa gente ha imparato ad usare un mixer.

Tu dopo che hai smesso di suonare nei gruppi punk ti sei messo a fare cose da solo.
In modo molto improvvisato, per vedere cosa succedeva.

E all'inizio era noise.
Sì, per forza di cose, però a me sono sempre interessate le melodie, anche dissonanti, e mi è sempre piaciuta la forma canzone, il formato da quattro minuti: se in tre minuti riesci a dire quello che volevi dire… Poi venendo dal grind per me compattezza = qualità. Io sta cosa l'ho sempre sentita anche nelle prime cose che facevo: c'erano gli esperimenti più caciaroni ma c'erano anche delle cose melodiche in Dracula.

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Da lì a passare alla forma canzone la svolta sono stati un po' di amici, esperimenti che ho sentito in giro… Essere stato a Los Angeles per tre mesi mi ha aperto tante cose perché ho conosciuto gente che faceva musica in un modo simile al mio ma diverso, e da lì ho detto provo a fare un disco di canzoni - che è stato poi Use Your Illusion - e mi sono trovato molto più a mio agio: mi divertivo molto di più, riuscivo a chiudere le cose, riuscivo a chiudere i progetti, ero molto più contento. Da lì non me la son più tolta, e con Still l'approccio è molto simile.

Quegli anni in cui nasce Dracula Lewis, molli il punk e cominci a fare le cose per conto tuo, sono anche quelli in cui nasce Hundebiss, l'etichetta.
Sì, Hundebiss nasce nel 2006-7, e Dracula appena dopo. Hundebiss nasce perché c'era un piccolo gruppo di persone nella provincia di Piacenza, che erano Simone (Bertuzzi, ndi) e altri due nostri amici, che avevano una distribuzione di musica elettronica che si chiamava Risonanza Magnetica. Questa a un certo punto chiude e noi non avevamo più modo di recuperare i dischi che ci interessavano se non pagandoli tantissimo, e come spesso ho fatto nella mia vita mi invento allora una roba per avere quello che voglio, ma mi invento una cosa più grande di me che poi mi perseguita per la vita.

Quindi io e Barbara, che era la mia ragazza all'epoca, abbiamo detto "apriamo un mail order, prendiamo un po' di copie di poche cose che ci interessano, e facciamo così". Tipo esce Black One dei Sunn O))), ordino direttamente da Southern Lord un pacco con dentro altri dieci dischi, faccio i pre-order sulla pagina MySpace, e poi c'era Tixi che quando andavo in Liguria glieli davo, c'era un altro mio amico che stava qua che ci beccavamo e glieli davo, e facendo così fondamentalmente andavo a zero con le spese. Questo era il trip di Hundebiss inizialmente, una specie di bazar. Abbiamo fatto un po' di scambi, abbiamo messo da parte un piccolo gruzzoletto e abbiamo detto "facciamolo diventare un'etichetta". Come primo disco abbiamo fatto Olyvetty, che erano Claudio Rocchetti e Riccardo Benassi, e da lì è nata l'etichetta. La distro pian piano è andata spegnendosi, e siamo andati avanti così. Però non è nata per fare uscire cose mie, anzi all'inizio ero un po' restio, Dracula Lewis originariamente non doveva neanche uscire lì. Subito dopo ho fatto uscire Hair Police, Mudboy, Aaron Dilloway…

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Quali criteri hai seguito?
Inizialmente eravamo molto affascinati da tutto il giro americano: c'era un bel clima, per qualche strana ragione noi guardavamo là e loro guardavano qua, c'era una bella comunicazione. Ho scritto agli Hair Police "a noi piace moltissimo la vostra roba, facciamo un disco?" "Sì, volentieri, ti mando questa roba che abbiamo registrato in questa cabin durante un naufragio"… Inascoltabile, però eravamo contentissimi.

All'inizio era così: era un modo per tenere contatti con le altre persone, per stabilire un dialogo, siamo diventati tutti super amici. Poi è un po' cambiata, da quando è uscita Barbara è un po' cambiata. Lei è uscita più o meno quando abbiamo smesso di fare le Hundebiss Night, l'ultima è stata Hype Williams al Toilet, e da lì io ero stato a Los Angeles e avevo cominciato a preparare un po' le nuove uscite, che erano la videocassetta di James Ferraro, la videocassetta degli Hype Williams, il primo disco di Jaws, Sewn Leather, e da lì è iniziata tutta questa formula: Stargate, Primitive Art, Lil' Ugly Mane… Da lì è diventata più personale, più una visione curatoriale.

E si è creata un po' una famiglia allargata.
Lorenzo (Senni, ndi) c'era già dal periodo pioneristico di MySpace e siamo sempre rimasti amici, poi si è allargata un po'. Molto naturalmente. I Primitive li ho conosciuti tramite Lorenzo: lui faceva Vietnam con loro, quando sono tornato in Italia loro stavano facendo questa cosa, e siamo diventati subito amici.

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Griffin (Pyn, Sewn Leather, ndi) che fine ha fatto?
È diventato vegan, straight edge e hare krishna. Penso che sia a Austin adesso. C'è stato quel momento in cui la crew si era proprio allargata, anche con Robert e lui. Adesso è un po' cambiata anche quella cosa. Io, Lollo e i Primitive siamo sempre uniti come prima, poi le cose vanno avanti in forme diverse, siamo anche diventati più grandi.

Sei tuttora soddisfatto di quello che hai fatto come Dracula Lewis? A un certo punto hai deciso di cambiare.
Soddisfatto non lo so. Penso di avere fallito nel mantenere l'attenzione sul progetto perché ci ho messo troppo a fare uscire il mixtape, secondo me. E il mixtape era un po' strambo. Ci ho impiegato tantissimo a farlo, perché volevo cantare in italiano e fare certe cose, e tempo che è uscito non sentivo più mio il progetto: non mi sentivo più a mio agio sul palco in quella forma… Cose brutte, perché se sei tu il primo a non crederci… In realtà gli ultimi concerti sono stati molto belli, però per me era ora di uscire di scena. Mi ero stufato di avere un avatar, di avere questa persona finzionale che doveva rappresentarmi e avere determinate caratteristiche. Mi piace produrre musica ma al momento mi piace stare dietro e far stare davanti gente che lo sa fare e sa tirare in mezzo il pubblico in un altro modo. Dracula Lewis magari tornerà quando avrò 60 o 70 anni, che allora stare sul palco come ci so stare io ritorna a essere interessante. Non ho voglia di violentarmi per fare quello che non sono.

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Quanto vedi vicina la tua esperienza di artista con Invernomuto ai tuoi progetti musicali? Sono molto separati tra di loro?
Inizialmente sì, assolutamente. Però più le cose vanno avanti più si sovrappongono naturalmente, e va bene così. Sono molto più contento, mi sento più a mio agio in ogni cosa che faccio.

Sicuramente in Still c'è una forte influenza del film che avete fatto con Lee Scratch Perry, Negus.
Sì, poi non riesci davvero a tenere le cose separate, nel momento in cui ti svegli al mattino e quelle cose sono la tua vita per tutto il giorno. Non ha molto senso.

La cosa buona di Invernomuto è che è diventato un vero studio, al di là di me e Simone, funziona perché c'è Jim che è qua anche lui tutti i giorni, e tutto va avanti sempre più unito. Così anche le ricerche: le ricerche di Invernomuto hanno portato a Still, e saranno sempre più integrate le cose, ne sono convinto. È giusto così, è più naturale.

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Foto di Anna Adamo e Guido Borso.

Con quali idee nasce Still?
È iniziato raccogliendo delle produzioni abbastanza specifiche dancehall, o digital dub: un'operazione proprio da archivista quasi. Riferito agli anni '80 e '90. Raid fatti tra Vancouver, Giappone, paradossalmente neanche troppo in Giamaica… Abbiamo girato un pochino e ho raccolto tanto materiale. Pit (Matteo, Primitive Art, ndi) voleva assolutamente che gli facessi un mix per Club Adriatico, e da lì è nato Still fondamentalmente.

Poi mi è ritornata la voglia di fare musica: ho comprato una drum machine che volevo da una vita, e ho cominciato a lavorarci a Vancouver, in un mese di una situazione bellissima, dove eravamo andati per fare una mostra, avevamo un appartamento al ventisettesimo piano. Lì due sere a settimana potevi fare festa ma per il resto non c'era nulla. Quindi mi mettevo lì e ho imparato a usarla e mi sono fatto questi beat. Ho scritto ad Ashland (Total Freedom) che mi dice "prova a sentire sto ragazzo che si chiama Josh e secondo me ci vai d'accordo". Vado da questo che aveva uno studio, e mi trovo davanti lo studio delle meraviglie. Tutti i synth che avrei sempre voluto provare… Ho prenotato tre o quattro giorni di session, e da lì è nato Still. Ci ho tirato fuori un po' di ore di registrazione, e da quelle ho tirato fuori delle tracce che facevo dal vivo con la drum machine, facevo live dub: l'ho fatto a Loose per esempio. Da lì ho deciso di fare un disco e ho rifatto praticamente tutto dall'inizio, ho fatto un demo di sette tracce, l'ho mandato a Bill (Kouligas, boss della PAN, ndi) e poi ci abbiamo lavorato tanto insieme, tantissimo. Son due anni che lavoro a 'sto disco.

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Negus è stato prima di Still?
Sì, c'è stata prima tutta la ricerca, poi abbiamo chiamato Lee Perry a Vernasca, abbiamo fatto le riprese, poi siamo andati in Etiopia, che è stato incredibile, poi più avanti siamo andati in Giamaica.

A me interessava trovare la mia posizione all'interno di quella storia, questo vale sia per Negus, una storia molto difficile da raccontare, sia per il progetto che è diventato Still. A me non fregherebbe o non troverei interessante, al di là che poi la musica sia buona o meno, fare un progetto semplicemente di digital dub o di dancehall anni '90, però il demo che avevo fatto era interessante per un nerd, e Bill quando l'ha sentito mi ha detto "da qui costruiamo, partiamo da qui". Era solo il punto di partenza. Poi è nato tutto un po' per caso. La svolta è stata avere trovato i cantanti.

Con Bill com'è il rapporto?
Ci conosciamo da tanto, ci frequentiamo, mi ha sempre dato dei feedback, gli ho sempre mandato le mie cose anche se non come submission. Mi ricordo una volta che avevo suonato a Berlino come Dracula Lewis lui e Tricoli che mi dicono "metà set buttalo nel cesso, e l'altra metà parti da lì". E così è stato, perché me l'han detto loro ma perché era effettivamente la cosa giusta da fare. È un amico e c'è sempre stato come opinione e come suggerimenti. Questo quando era pronto gli ho scritto dicendo che volevo proporglielo e da lì abbiamo iniziato a lavorarci. Con tempi lunghi. Sono andato a Berlino quattro o cinque volte. La prima volta l'abbiamo mixato con Ville di Amnesia Scanner ed erano solo le strumentali più degli esperimenti che avevo fatto qua con tre ragazze di Londra, che erano qua a studiare e avevo conosciuto una sera. Le strumentali erano ancora principalmente roba fatta a Vancouver. Le voci sembravano big apple rapping, proprio super old school, era divertente ma non mi convinceva del tutto. Abbiamo fatto una prova e anche Bill non era convinto, ma anche lui ha detto che ci volevano dei cantanti. Io sono particolarmente affezionato alla voce come strumento quindi mi andava benissimo, solo che non volevo più cantare io.

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Ho parlato con una ragazza di origini etiopi che si chiama Serena, che è molto addentro alla comunità milanese: le ho spiegato tutto il progetto e lei mi ha detto "vai al Rainbow, stai lì, conosci un po' di gente lì e vedrai che trovi qualcuno che fa al caso tuo".

L'idea iniziale era di campionare delle voci che usassero le parole che nel tigrino/amarico che hanno traccia dell'invasione italiana. La mia idea era fare un cut-up di queste cose. Sono stato lì un po', ho conosciuto persone, sono diventato amico della ragazza che gestisce il bar e abbiamo scritto insieme il primo testo, e da lì sono arrivate tipo sette persone a proporsi, a dirmi che cantavano eccetera.

Sono tutti di Milano e non cantanti professionisti. L'unico nel disco che lo è è Devon, che ha un gruppo reggae e un suo progetto come Devon Miles, e lui l'ho conosciuto invece a Club Adriatico. Me l'hanno presentato e io gli ho detto "io faccio il mio dj set, questo qua è il microfono, iniziamo". Ed è stato come se avessimo suonato insieme per una vita. Lui è bravissimo. Ci siamo mandati le tracce su Whatsapp, cose di questo tipo. Io gli mandavo le mie cose un po' strane, che non aveva mai sentito, però l'ha presa come sfida e ha fatto un grandissimo lavoro. Gli altri sono tutti di Milano, quindi venivano qui. Fre (Freweini, ndi) ha studiato canto, le ho detto la prima volta "vuoi sentire i pezzi prima?" "No, attacca subito il microfono e registriamo". Mentre sentiva il pezzo ha registrato e le due tracce sue non le ho più toccate!

I testi sono roba tua?
I testi sono roba loro tranne quello che legge Elinor che è il mio, che è un cut-up. Un cut-up di testi di canzoni reggae che mi sono sempre piaciuti, e parole del tigrino come dicevamo prima. Gli altri sono testi sempre scritti da loro. Alcuni dando più importanza alla musicalità, specialmente i due gemelli Keidino e Bob (Germay). Ognuno ha un po' la sua storia e il suo modo di approcciare questa cosa, a me è piaciuto che Still sia diventato una piattaforma, una navicella spaziale, ma in cui loro salivano a bordo e facevano il loro pezzo.

Germay l'ho conosciuto al Rainbow e ha una storia molto personale che non sto a raccontare nel dettaglio, lui è nato in Etiopia e poi è stato adottato da una famiglia di qua. Per lui nell'adolescenza riscoprire le sue origini è stato tutta una parte anche di costruzione dell'individuo, diciamo. Ha fatto tutto un suo percorso, e per lui cantare in questo progetto è stato anche se vogliamo una prova di memoria: gli usciva fuori il tigrino che non aveva mai imparato, fondamentalmente. Le sue parti sono molto improvvisate, sembra un rap incazzatissimo invece sono reminiscenze di filastrocche che gli cantava sua mamma, magari sbagliandole anche un po'. Ed è una cosa potentissima.

Live sarai con tutti loro?
Germay a un certo punto mi ha detto che però non voleva più farne parte, invece al concerto è venuto sul palco a saltare e poi mi ha detto che vuole tornare. Keidino, che è uno dei due gemelli, ci tiene moltissimo, viene qua tutte le settimane e registriamo tutte le settimane. Devon quando ho la strumentale che so che fa al caso suo gliela mando e ci lavora. Con Fre stiamo andando avanti e il potenziale è altissimo.

Poi non so come andrà avanti, magari un giorno i cantanti cambieranno, mi piace pensarlo come un progetto aperto, però di base ora ci sono almeno quattro persone che mi piace portarmi in giro. Il live con loro funziona, mi piace e si può fare ancora tanto. Mettere d'accordo le agende di sette persone, peraltro che lavorano, è un casino, quindi il live è un po' modulabile.

Ci sono già in programma un po' di giri?
Unsound è confermato, poi ci sono date all'orizzonte ma non ancora chiuse.

A te piace avere questo ruolo più dietro le quinte?
Sì, mi trovo molto bene. L'altra sera ero proprio contento, loro hanno tenuto il palco in maniera incredibile, e insieme funzionano un sacco, c'è una bella energia e li ho visti anche uniti. Voglio migliorare io, nella gestione di alcune cose del suono. Dal momento in cui faccio solo quello devo essere perfetto. Keidi portava qua una professionista che gli faceva lezioni di canto, non sono cantanti professionisti ma per certi versi non hanno niente da invidiargli. Poi anche venendo dal mondo da cui vengo a me piace una certa immediatezza, qualche imperfezione. Anche nel disco c'è qualche momento di voce non perfetta, che in studio si poteva sistemare in un attimo, ma io e Ville ci siamo detti che era meglio lasciarle così, è giusto così.

Stai pensando magari di fare anche da produttore per alcuni di questi cantanti, al di là di Still, per progetti loro di altro tipo?
È molto faticoso ma mi piacerebbe. Per Keidi mi piacerebbe moltissimo perché ha una sensibilità pop, ha dei pezzi in testa che dentro questo progetto non stanno bene ma sono dei bei pezzi, quindi mi piacerebbe produrglieli diversamente. Ci stiamo lavorando un po'. Lui secondo me ha del potenziale. Anche gli altri ma magari funzionano meglio dentro questo progetto e non hanno voglia di provare cose diverse come solisti.

Un'altra persona che ha dato una mano al disco fondamentale è stato Alexis Chan (Soda Plains), è un produttore inglese che sta a Berlino e ha fatto una specie di produzione addizionale alla fine di tutto il lavoro, l'ha un po' levigato, diciamo, ed è stato fondamentale. Il master invece l'ha fatto Rashad Becker, e non lo sapevo neanche, l'ho scoperto dopo. Perché ad una certa aveva smesso di rispondere a Bill e poi invece pare gli sia piaciuto e tac, dal nulla ha mandato il master. È stato anche un bel lavoro di squadra insomma, non lo posso vedere come un progetto soltanto mio. Una cosa che invidio molto a Lollo (Senni, ndi) è che lui è veramente da solo, in controllo, contro tutti. A me piace, Dracula Lewis era un po' quello, ma in realtà mi piace molto lavorare insieme a altri, mi è sempre piaciuto e con me funziona molto di più. Devi avere la visione principale ma poi mi piace il lavoro di squadra, e coi cantanti ci sta alla grande.

Chiudiamo con una domanda impegnativa: qual è per te il senso di fare musica? O arte in generale.
Penso che sia un modo per comunicare, forse l'unico modo che conosco davvero. È abbastanza indifferente tra musica, video e altro. Lo è sempre stato per me. Quando dico che è uno strumento di comunicazione non intendo solamente che è un modo per comunicare con chi ascolta (o guarda) ma anche - e soprattutto - per comunicare con le persone con cui sto collaborando. Forse anche per questo il mio "fare" è spesso in collaborazione, perché per comunicare realmente, e a un livello profondo, devo creare un manufatto (anche un manufatto sonico, se vuoi). Non sono molto bravo con le parole, o credo che le parole non siano un tool efficace per il tipo di comunicazione che, con certe persone, mi interessa mettere in atto. Quindi lavoro su questo.

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