È quindi giusto e opportuno non dimenticare un insospettabile come Caparezza, oppure Willie Peyote, che spingono la propria sperimentazione verso un impegno di critica sociale e politica, se non proprio antropologica. Oppure il versante più poetico, intimo e complesso di Cranio Randagio e Disturbati dalla CUiete. O ancora gemme Old School di ricerca a tutto campo, come Kaos One, Neffa e Frankie Hi-Nrg.Oppure, ancora, l’avanguardia bizzarra e totale di alfieri dell’underground nostrano quali Uochi Toki (anche loro già con Murubutu nel disco Il limite valicabile), Zona MC e Miike Takeshi. Persino, perché no, l’ultimo Marracash con la sua rincorsa a Bergman, dove la street credibility incontra la cultura alta. Ognuno può trovare il proprio eroe in questa cosa che è "il rap intellettuale"—un gioco tutto in salita, da svelare, smontare o costruire.In questo quadro complesso, usiamo Infernvm come immagine sulla quale ragionare. Uscito per Glory Hole Records, questo album è nient’altro che la rielaborazione personale di un capitolo centrale della letteratura italiana, famoso in tutto il globo, e dal quale qualche milione di musicisti e artisti ha preso spunto per le proprie opere: la Commedia, quella divina, di Dante Alighieri.Se affianchiamo a loro Rancore possiamo inventarci una specie di trinità informale: rap PhD, rime col dottorato
I due, infatti, usano nei loro testi una figura retorica tanto cara a Dante: l'allegoria. Con le loro cascate di rime offrono uno spaccato critico e morale delle nostre giornate e della nostra società: 11 tracce per 33 canti che rielaborano l’intero presente. Basti pensare a “Pier”, ispirata alla figura di Pier Della Vigna, disgraziatissimo consigliere che finì imprigionato per il dissing altrui e si trovò costretto a togliersi la vita per risparmiarsi l’ennesimo giro di torture—per poi venir catalogato come peccatore e infilato all’inferno.Alla storia raccontata nella Commedia, i due artisti rispondono intrecciando quella di un Pier fatto vittima dell’astio quotidiano contemporaneo, si tratti di troll online, di bullismo reale o di semplice odio manifesto. “Tu ti sei chiuso dentro un guscio di paure / E stanco / Non hai la forza di lottare e tornare nel branco / Non hai più voglia di sedere solo su quel banco / Quando nessuno, sì, nessuno, vuole starti accanto / Sono scomparsi quei commenti sotto la tua foto." Così veicolano con efficacia il tema del suicidio, troppo spesso ancora accantonato nelle cronaca sentimentale e giornalistica d’ogni giorno.Claver e Murubutu offrono uno spaccato critico e morale delle nostre giornate e della nostra società: 11 tracce per 33 canti che rielaborano l’intero presente.
Anno dopo anno, il rap italiano si è semplificato e ibridato prima con il pop e poi con le correnti straniere e l’indie più facile e melodico. Intanto il numero degli ascoltatori si è impennato, e la presentabilità e appetibilità rispetto a un pubblico di massa sono andate alle stelle. È arrivata la trap italiana, e con lei anche un'attenzione dell'industria mai vista prima. Il risultato? Una lunga coda di conseguenze pratiche piuttosto impattanti sotto il profilo economico e imprenditoriale.Si rappa e si rima per raccontare e manifestare, non per apparire o per la popolarità.
A pensarci, comunque, Murubutu non ha tutti i torti. In molti sensi, infatti, l’arrivo del rap in Italia è stato un processo di digestione culturale. L’appropriazione di un linguaggio a noi quasi del tutto estraneo, sicuramente alieno nelle sue forme e storie originarie, e lontano anni luce non solo e non tanto dal template della musica italiana popolare, quanto dalle spinte che l’hanno prodotta. Non una moda, ma un vero e proprio scisma culturale.Tanto più che, se in America il rap delle origini era una questione principalmente razziale, di ghetto e di emarginazione sociale, qui la saldatura è avvenuta per altri motivi. Detto schiettamente: quelle musiche, semplicemente, piacevano anche a noi. E avevamo bisogno di rompere nel modo più energico possibile rispetto a un’altra tradizione: quella tutta nostrana della canzonetta leggera con cui intrattenere la famiglia borghese e perfetta, da Mulino Bianco.Murubutu e Claver Gold evidentemente non sono in grado di accontentarsi degli stereotipi della scena rap.
L’hip-hop, il rap e tutte le correnti che ne derivano sono il precipitato di decenni, se non centinaia d’anni, di evoluzione musicale, culturale e linguistica. Un concentrato di stili, approcci, tradizioni e influenze che solo da poco hanno raggiunto una dimensione mondiale, davvero cosmopolita. E sono oggi diventati il mezzo d’espressione principale della maggior parte dei giovani di tutto il mondo.Se in America il rap delle origini era una questione principalmente razziale, di ghetto e di emarginazione sociale, qui la saldatura è avvenuta per altri motivi.
Perché spiega al meglio che la tradizione tutta nostrana, la nostra letteratura nazionale, la nostra lingua, il nostro stile, hanno presa e significato, e possono soprattutto contribuire a formare qui, da noi, e oggi stesso, una variante di rap sentitamente nostrano, una via del tutto italiana. Senza scimmiottare le tradizioni, e ancora di più le esperienze di vita altrui.Sono sempre Claver e Murubutu a illustrarci il criterio da cui ripartire, in “Minosse”, dove il contrappasso per un poeta amante delle rime può assumere strane forme: “Ed io che amavo questa lingua e il modo come suona / Il suono d'ogni nota, ogni sua strofa in prosa / Lettere erette, qui elette nella dialettica / Devoto alla parola, luce dell'aurora / Sarò punito per millenni, a stare senza verbi / Ed io finito in questi inferni senza versi, lemmi e termini / Ai bordi degli inverni dello storytelling / Mentre campo, mentre canto, mendicando una parola nuova.” È quasi un manifesto, una dichiarazione di poetica e di paura per il futuro della nostra lingua e di questa musica meravigliosa, un inno in negativo che avvicina senza problemi le pagine maggiori della cronaca nera nazionale (Pietro Maso che macella i genitori) a un grande della musica italiana come Pino Daniele.ll rap sarà anche globale, ma l’anima appartiene saldamente alle sue varianti locali.
Per tutte le ragioni elencate e i ragionamenti sin qui illustrati, Infernum è un album importante e sublime, ma non essenziale per l’evoluzione del genere. Spesso manca di variazioni stilistiche di rilievo sul fronte strettamente musicale, soprattutto sul fronte della produzione, delle basi e dell’approccio alle ritmiche e ai timbri—compreso quello vocale, nonostante il meraviglioso ringhio aggrovigliato alla voce di Murubutu, manco si trattasse del figlio illegittimo di Lou X e Kaos One.Sono queste le variazioni che servono al rap italiano. Idee che accompagnino un contenuto denso e inconsueto verso quelle orecchie che davvero dovrebbero ascoltarsi ogni traccia e che, invece, rimarranno ben lontane da un disco monolitico vissuto come l’ennesima pallosa lezione di cui non sentono di avere bisogno. È un peccato, ma non la fine del mondo. Perché insieme possiamo sollevarci oltre il solito orizzonte conosciuto, ma senza diventare troppo artefatti, snob o adatti a pochissimi.Puoi parlare di letteratura contemporanea con Daniele su Instagram e Twitter.Segui Noisey su Instagram, YouTube e Facebook.Non possiamo né dobbiamo limitarci a ripescare Dante per convincere l’Autorità Costituita, i boomer e la televisione che il rap e la trap, la drill e quant’altro sono degni di nota.