Salina dove mangiare
Tutte le immagini di Stefano Butturini
Cibo

Perché Salina è forse l'isola siciliana dove si mangia meglio in assoluto

Ci sono un ristorante stellato, una pizzeria londinese, i capperi più buoni del mondo e vino fatto in anfora. Questo solo a Salina. Vi basta?
Giorgia Cannarella
Bologna, IT

La maestosità della cucina siciliana ha il potere di unire i popoli

Se vi trovate in una stanza piena di persone sconosciute, e la maggior parte di esse sono italiane, avete un metodo infallibile per rompere il ghiaccio e attaccare bottone [inserire altra metafora sulle difficoltà di socializzazione]. Basta pronunciare la frase “Comunque come si mangia in Sicilia… ” per essere sicuri di attirare su di voi l’attenzione di tutti, costruire una conversazione profittevolmente pacifica e magari rimediare un invito a casa vicino Agrigento dell’amico di un cugino di un partecipante alla discussione. La maestosità della cucina siciliana ha il potere di unire i popoli. E io sulla cucina siciliana pensavo di sapere, se non tutto, molto. Pensavo di aver assaggiato l’assaggiabile, provato tutte le versioni del cannolo e imparato a riconoscere ad occhi chiusi un pani câ meusa fatto come si deve. Poi sono andata a Salina.

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Mentre il catamarano si avvicinava all’isola ho iniziato a intuire di avere commesso un gigantesco errore nell’aspettare 29 anni per visitarla. Una volta scesa, l’intuizione si è trasformata in certezza. Perché non mi ero mai avventurata sui suoi pendii verdi, pigramente battuti dal vento, punteggiati da nugoli di case candide e attraversati da stradine drappeggiate di bougainvillea? Una volta arrivata al mio hotel dove mi hanno invitata, poi, la certezza si è trasformata in senso di colpa. Mentre sorseggiavo il mio caffè ghiacciato con latte di mandorla (il primo che sostiene che vada bevuto solo in Salento riceve una bacchettata sulle mani) sulla terrazza del Signum, un pergolato di canne a ripararmi dal sole di luglio e il profilo di Stromboli in lontananza a riempirmi gli occhi, non potevo fare a meno di chiedermi perché mi ero tenuta lontana da tutta quella bellezza per così tanto tempo.

Le piccole isole comportano grossi fattori di difficoltà nella gestione di un ristorante, una su tutte quella di rifornimento degli ingredienti

Hotel Signum

La vista dal Signum

All’interno del Signum c'è l’unico ristorante di Salina con una stella Michelin. Un ristorante stellato in un’isolotto di 26 chilometri quadrati è già di per sé una notizia degna di nota. Eppure non è l’unico nelle Eolie: anche Il Cappero al Therasia Resort di Vulcano ne ha una. E se andiamo un po’ più lontano, a Ischia, il Danì Maison di Nino Di Costanzo di stelle ne ha addirittura due. Le piccole isole comportano grossi fattori di difficoltà nella gestione di un ristorante, una su tutte quella di rifornimento degli ingredienti, ma allo stesso tempo vantano una peculiare concentrazione di investimenti nell’industria dell’ospitalità di lusso e un notevole, seppur stagionale, afflusso di turisti alto-spendenti. Quello che rende unico il Signum è prima di tutto la sua storia.

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Martina Caruso

Martina Caruso

Spaghetti alle vongole

Le linguine con latte di mandorla e vongole

"Tra i suoi classici trovi la bagnacauda con aggiunta di ricci di mare crudi e le linguine con soli due ingredienti: latte di mandorle e vongole"

Martina Caruso aveva solo un anno nel 1990, quando i genitori Clara, psicologa e ora sindaco del borgo di Malfa, e Michele, impiegato comunale e isolano DOC, che ha convinto la moglie campana a trasferirsi sull’isola, hanno aperto l'hotel. A sedici anni è andata a studiare all’istituto alberghiero di Cefalù. Una volta finito è passata a lavorare prima a Londra da Jamie’s Oliver, poi in ristoranti pluri-blasonati a Roma e a Vico Equense. A 23 anni è tornata a casa. Ora, immaginatevi di avere davanti una carriera internazionale nell’alta ristorazione, e tornare a vivere in un’isola dove d’inverno ci sono poche centinaia di abitanti. Prende il posto del padre alle cucine del Signum, che nel frattempo da piccolo albergo è diventato un hotel a 4 stelle con SPA e piscina. Al suo fianco c’è il fratello Luca, maître e sommelier. Nella Guida Michelin 2016 è la più giovane cuoca stellata d’Italia, il primo di tanti, prestigiosi riconoscimenti internazionali. Quando si parla di cucina siciliana un aggettivo viene sempre in mente: barocca. Esagerata. Opulenta. Ecco, la cucina di Martina è tutto il contrario.

Cena al Signum
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A cena proviamo il menu degustazione più lungo: 9 portate, 120 euro. È così incredibilmente leggero che la mattina dopo, a colazione, sono abbastanza affamata da mangiare la parmigiana di melanzane che suo padre prepara ancora, ogni domenica, per gli ospiti dell’hotel. E pure la caponata. E anche il succo di fichi d’India perché insomma, siamo in Sicilia. Ma torniamo al menu. Martina riesce a distillare l’essenza dell’isola in piatti di straordinaria leggerezza e altrettanto straordinaria picchi di intensità - di volta in volta marina, vegetale, aromatica. Tra i suoi classici trovi la bagnacauda con aggiunta di ricci di mare crudi e le linguine con soli due ingredienti: latte di mandorle e vongole.

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Bottoni di melanzane

Bottoni di melanzana con brodo di nepitella, foglia di cappero e pomodorino

Una cena al Signum è uno dei rari casi in cui si dovrebbe elencare ogni singola portata, ogni singolo sapore. Ma non lo farò. Il Tonno alalunga con fichi e finocchietto è una quintessenza di sicilianità; lo Sgombro confit con zuppa di olive verdi, bufala e capperi canditi, o i Bottoni di melanzana con brodo di nepitella, foglia di cappero e pomodorino, due piatti dove l’equilibrio tra la parte ‘liquida’ e quella solida è così sottile da risultare commovente. A un certo punto a tavola arriva anche una murena alla brace, olio, limone e origano. Una semplicità che puoi permetterti solo se se sei davvero, davvero capace. Salina al suo meglio. La Sicilia al suo meglio.

"Quando la catena Franco Manca cresce, fino ad essere quotata in borsa e ad aprire altre 45 pizzerie nel Regno Unito, decidono di aprirne una in Italia: sull’isola. La pizzeria londinese di Salina"

Giuseppe Mascoli

Giuseppe Mascoli

Ma quella del Signum non è l’unica storia dell'isola che vale la pena raccontare.

Le isole sono notoriamente un coacervo di storie straordinarie: personaggi improbabili e altrettanto improbabili traiettorie che portano persone diverse, da diverse parti del mondo, a trasferirsi in un’isola di poche decine di metri quadrati. Prendiamo Giuseppe Mascoli. Una trentina d’anni si trasferisce a Londra per studiare scienze di comportamento alla London School Of Economics dove diventa assistente professore. Dopo qualche mese molla tutto per aprire un locale che diventa uno dei simboli della Londra underground, multi etnica e inclusiva, il Blacks. Lì conosce l’olandese Bridget Hugo, che diventerà la sua partner professionale.

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Insieme frequentano spesso una pizzeria a Brixton Market e diventano amici del proprietario Franco (da cui viene il nome del locale: Franco Manca, "Franco is missing", perché sta lavorando). La rilevano nel 2008. Quando la catena Franco Manca cresce, fino ad essere quotata in borsa e ad aprire altre 45 pizzerie nel Regno Unito, decidono di aprirne una in Italia: sull’isola. La pizzeria londinese di Salina.

Forno

“Che problema c’è?” ride Giuseppe. “La pizza è ‘strutturalista’. Così come la mente è universale, ma cambia il pensiero, la bocca è la stessa, ma sono diversi i modi di mangiarla.” Tradotto: la pizza se è buona è buona dovunque. Confermo, è buonissima. Sulla piazzetta del paesino di Lingua assaggiamo la pizza preparata insieme a Martina, un omaggio all’insalata eoliana: pomodori del Piennolo, patate arrosto, cipolla rossa, capperi selvatici dell’isole, olive di Nocellara del Belice, mozzarella e menta. Sulla tavola vini che Giuseppe produce sull’isola, da lui definiti 'ancestrali', agricoltura 100% bio e vinificazione in anfora (metodo utilizzato sull'isola anche dall'azienda Caravaglio).

Pizza Franco Manca

Una pizza di Franco Manca con i capperi dell'isola

Il suolo vulcanico delle Eolie è favorevole alla crescita di numerosi vitigni, il più famoso dei quali è sicuramente la Malvasia. Fino agli anni Sessanta qui era semplicemente il 'vino del disobbligo', prodotto in casa e regalato per 'disobbligarsi' al dottore, all’avvocato. Ce lo spiega Salvatore D’Amico, uno dei tanti isolani diventato amico e fornitore di Giuseppe. Il primo a capire le potenzialità del vino su quest’isola è stato Carlo Hauner: origini bresciane, pittore prima e designer poi, è arrivato alle Eolie negli anni Sessanta e nel 1968 si è trasferito qui. Mette insieme una ventina di ettari, abbandonati dagli isolani stessi in quei decenni di fortissima emigrazione eoliana negli Stati Uniti e in Australia. Ripristina la coltivazione a terrazzamento, sperimenta nuove tecniche, ottiene risultati che rendono la sua Malvasia famosa in tutto il mondo. E diversi altri produttori seguono il suo esempio.

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Sgombro Salina

Lo sgombro di Martina con i capperi confit

Come la famiglia D'Amico, che fa una piccola (diecimila bottiglie) produzione bio, di cui il passito è il protagonista. Produce anche i capperi: i cucunci (capperi 'sbocciati'), foglie di cappero 'cunzate', ovvero in sale e olio, pesto di capperi, origano fresco. Sulla terrazza della sua casa di Leni ci fa assaggiare polpette di melanzane e capperi, crostini con paté di capperi e cime di cappero, lische di alici fritte, un'insalata eoliana freschissima.

Salina-ristoranti

Il bordo blu del mare in lontananza, intorno le colline verdissime di Salina. Sulla grandezza della cucina siciliana concordano tutti. Quello su cui non tutti concordano, anzi, su cui tutti sono discordi, è quale cucina siciliana sia migliore: quale città abbia più specialità, in quale provincia si mangino le versioni migliori di una tal ricetta. Non mi azzarderò a dire di avere l'assoluta, inequivocabile certezza che Salina sia l'isola siciliana in cui si mangia meglio: di isole ce ne sono tante, difficili da mettere a paragone per grandezza e ubicazione, e in molte, ne sono sicura, si mangia splendidamente.

Ma il rigoglio di biodiversità di Salina, la varietà delle sue storie, la peculiarità curiosa, financo buffa, delle sue tavole, me la porterò dentro a lungo.

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