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Il paradosso di essere freelance

In 'Entreprecariat', Silvio Lorusso racconta la situazione di tantissimi giovani lavoratori sospesi tra imprenditoria di sé e precariato.
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Foto via Krisis Publishing.

Quando il giornalista di un famoso quotidiano nazionale è andato a intervistarlo, Silvio Lorusso era soddisfatto della sua vita. Aveva vinto un dottorato con borsa in scienze del design all’università di Venezia e lo stava portando avanti con interesse. La sua attività gli sembrava in linea con le sue aspirazioni, era pronto a spostarsi all’estero per proseguire le sue ricerche. Quando ha letto l’intervista editata e pubblicata, però, ha sperimentato una forma di dissonanza cognitiva.

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Agli occhi del giornalista vecchio stampo, che cercava testimonianze-verità di giovani italiani, la sua vita non aveva niente di desiderabile. E con il passare del tempo, dopo essersi visto dalla prospettiva di chi pensava in termini di stabilità e posto fisso, Silvio ha iniziato a convincersi che il suo ritratto negativo sul giornale non fosse poi così lontano dalla realtà. Entreprecariat, il libro che ha pubblicato a fine novembre con la casa editrice indipendente Krisis Publishing, è un’analisi dell’attuale mondo del lavoro che prende spunto da questo e altri episodi. “Non possiamo semplicemente vivere la vita, siamo condannati a progettarla” è la sua dichiarazione programmatica.

"A un certo punto il dottorato stava finendo e l’autonarrazione che mi ero costruito ha iniziato a vacillare. L’idea imprenditoriale che avevo di me negava un’altra idea di realtà: quella della stabilità economica. È una situazione in cui si trovano molte persone della mia generazione, e non solo in Italia," mi ha detto Lorusso, designer e ricercatore di base a Rotterdam. "In una società come la nostra, in cui i grandi della Silicon Valley rappresentano sempre di più dei modelli di vita, i lavoratori freelance, i ricercatori e gli startupper spesso aspirano a essere imprenditori del proprio brand personale, ma nel concreto non sono in una condizione molto diversa da quella dei precari."

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Il neologismo del titolo è infatti una crasi tra le parole “imprenditoria” e “precariato”. Descrive il paradosso di essere lavoratori autonomi, padroni di se stessi, in un contesto generale in cui l’iniziativa imprenditoriale viene esaltata ma le possibilità di realizzarsi sono spesso limitate. “In Italia ci sono una serie di programmi statali che incoraggiano ad aprire delle startup per rispondere al problema della disoccupazione e dei NEET. La risposta dello stato, quindi, non è tanto offrire possibilità di lavoro quanto attivare le energie dei cittadini. Pensa al 'navigator' proposto recentemente da Di Maio.”

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Questa retorica non è circoscritta alle aree geografiche più notoriamente competitive o business-centriche, ma secondo Lorusso è trasversale. “Io sono pugliese, e ricordo quando la Puglia era considerata una sorta di Silicon Valley, durante il periodo di Nichi Vendola,” ricorda Silvio. “C’era questa narrazione piuttosto forte sui giovani, sull’idea che dovessimo prendere l’iniziativa. Io stesso ho partecipato ad alcuni progetti, ma poi è finita lì. Il problema è che l’apporto dello stato spesso è limitato a qualche finanziamento iniziale, mentre il vero problema è strutturale.”

Entreprecariat tratta l’"imprendicariato" su diversi piani, ed è diviso in tre capitoli. Nel primo analizza l’idolatria sempre più dilagante verso figure come Steve Jobs e Elon Musk, denotando una certa inclinazione liberal, e contemporaneamente l'abisso tra le aspettative di successo e la realtà. Nella seconda parte analizza invece il rapporto dell’imprendicariato con lo spazio, il tempo e la propria mente: dalla fissazione per la produttività—app che oscurano i social come StayFocused e tecniche del pomodoro varie—al paradosso di dover pagare una scrivania in un coworking per non dover stare tutto il giorno chiusi in casa. Infine, si parla di piattaforme come Fiverr e Kickstarter che, portando certe dinamiche all’esasperazione, sono una perfetta versione 2.0 di questo mercato.

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“All’inizio si parlava di Kickstarter come di una svolta epocale per chiunque cercasse un finanziamento per il proprio progetto. Con il tempo è diventato chiaro che la realtà era molto più complicata,” aggiunge Silvio—che nell’ambito della sua attività artistica ha creato una sorta di parodia di Kickstarter, Kickended, in cui raccoglie le campagne che hanno totalizzato 0 dollari. “Fiverr, invece, è una piattaforma globale che permette di usufruire dei servizi più assurdi forniti da freelance a basso costo in tutto il mondo. Rappresenta quella catena tipica dell’outsourcing in cui chi viene sfruttato tende a sfruttare qualcun altro a sua volta.”

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Nella postfazione a Entreprecariat, l’autore di Teoria della classe disagiata Raffaele Alberto Ventura descrive questo circolo vizioso come uno human centipede. “Una metafora un po’ forte, ma non troppo lontana dalla realtà,” puntualizza Lorusso. “Il problema non è il fatto in sé di avere un progetto e volerlo portare a compimento. Per certi aspetti è una scelta necessaria, uno strumento per districarsi nell’attuale mercato del lavoro. È che spesso ti fa andare incontro a situazioni un po’ infelici, come il vivere nell’incertezza economica o l’essere costretto a pagare il meno possibile le prestazioni dei tuoi collaboratori.”

Uno dei cardini del discorso di Lorusso è che la spinta a mettere in piedi la propria impresa non è una questione di autoaffermazione ma una necessità sociale, anche perché la tendenza generale delle aziende è di assumere sempre meno. “La dinamica che ha portato alla situazione attuale è descritta molto bene da Boltanski e Chiapello ne Il nuovo spirito del capitalismo. Mentre i movimenti del ‘68 e del ‘77 portavano avanti una specie di critica artistica all’economia e lo stile di vita dell’epoca, proponendo in alternativa l’autonomia e il lavoro nomade, oggi la situazione si è ribaltata. L’autonomia, vera o presunta, non è più un obiettivo da raggiungere, ma una necessità: il mercato è riuscito a fagocitare anche ciò che era contro la ragione economica.”

Quindi quella che alcuni vivono come una libera scelta, un modo per evitare di timbrare il cartellino, è a sua volta una forma di asservimento a dinamiche globali. “Nel libro ho cercato di limitarmi all’analisi, lasciando le considerazioni critiche al lettore. Di sicuro un punto di partenza è la questione della flessibilità, che viene spesso tirata in ballo nel dibattito politico. Per aggirare la precarietà e poter essere flessibile devi avere una sicurezza di fondo, la certezza che tra un progetto e l’altro hai qualcosa a cui attingere. Se non ti vengono forniti gli strumenti economici, l’invito all’iniziativa imprenditoriale è una truffa.”

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A proposito di Elon Musk, guarda il nostro video: