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Omicidi, isolamento e paure: l'Italia ha un grosso problema con la transfobia

Nessun paese nell'Unione Europea ha fatto registrare un numero maggiore di omicidi di persone trans, stando ai dati registrati tra il 2008 e il 2015 dall'organizzazione Transgender Europe.
Fiaccolata contro l'omofobia e la transfobia, Milano, 21 settembre 2010 [Foto Ufficio stampa Arcigay, Stefano Bolognini?]

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Ketty era una trans italiana di 63 anni. È stata sgozzata nella sua auto a Napoli, la notte del 12 marzo scorso: l'ennesima vittima della violenza che continua a colpire la comunità transgender, specialmente in Italia.

Il nostro paese, infatti, sarebbe il primo dell'Unione Europea per il numero di omicidi di persone trans, stando ai dati registrati tra il 2008 e il 2015 dall'organizzazione Transgender Europe, e pubblicati in occasione della giornata mondiale per la visibilità transgender, svoltasi lo scorso 31 marzo.

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Su 2016 casi riportati in tutto il mondo, 33 sarebbero avvenuti in Italia.

A pochi giorni dall'omicidio di Ketty nel napoletano, arriva anche la condanna a 14 anni per il 31enne bergamasco che nel febbraio del 2015, a Villa d'Adda, aveva ucciso con trenta colpi di coltello e di mannaia una trans brasiliana di 21 anni, Luna.

Una violenza radicata

Sono solo due dei casi di brutalità estrema a cui si affiancano molte altre violenze e aggressioni, come quella subita a inizio febbraio da una 18enne trans di Quarto, in Campania, insultata a presa a sputi mentre camminava verso casa con un'amica.

"In Italia abbiamo evidentemente un problema relativo all'esasperazione della violenza transfobica," spiega a VICE News Ottavia Voza, responsabile per i diritti e le politiche trans dell'Arcigay nazionale.

Voza chiarisce che spesso gli omicidi avvengono in contesti di degrado sociale e ad alto rischio — situazioni in cui ancora oggi molte persone trans si ritrovano, a causa della discriminazione che le esclude dal mondo della formazione e del lavoro legittimo.

"Per esempio il caso di [Ketty a] Napoli, una tragedia: a sessant'anni era ancora costretta a prostituirsi," commenta.

Anche all'interno della comunità LGBT, i trans sono i soggetti più vulnerabili. Un sondaggio condotto dall'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) e pubblicato nel 2015 ha rilevato che il tasso di violenza e molestie subito da questo gruppo sarebbe doppio rispetto a quello riscontrato tra gli intervistati lesbiche, gay e bisessuali.

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Daniela Falanga, portavoce dell'Arcigay di Napoli, racconta a VICE News della violenza inferta su queste persone - in maggioranza donne - costrette a vivere ai margini della società, in quelli che lei definisce "marciapiedi esistenziali."

"[Subiscono] qualunque tipo di violenza: dallo sguardo inquisitorio della gente, che è quotidiano ed è violento perché tende a ledere il diritto alla serenità della persona, a qualsiasi altro tipo di violenza. Può essere verbale, e spesso è una violenza fisica."

Come nel caso della 40enne Claudia, costretta a prostituirsi, che è stata quasi uccisa da un cliente che l'ha colpita con una coltellata al collo, nel quartiere San Lorenzo di Napoli, nel gennaio del 2014. Grondante sangue, è comunque riuscita a spingersi per strada e raggiungere un bar, dove finalmente è stata soccorsa.

Trasferita in ospedale, è stata ricoverata in un reparto maschile, perché come per molte altre trans i suoi documenti non rispecchiavano la sua vera identità di genere.

Nello stesso anno, a pochi mesi di distanza, un'altra donna trans, è stata ricoverata all'ospedale San Giovanni Bosco di Napoli dopo essere stata colpita da un ictus mentre si prostituiva. "Anche questa volta, è stata portata in un ambiente non confacente alla propria identità. È stata spogliata e denudata completamente di fronte a quattro uomini. Anche questa è violenza," spiega Falanga.

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È difficile quantificare il numero di aggressioni transfobiche in Italia, al di là dei casi riportati dalla stampa. "Non ci sono statistiche e non possono essere fatte, perché molte persone non denunciano," spiega il portavoce dell'Arcigay di Napoli.

Secondo la sua esperienza, in molti casi vincerebbe la paura di subire ulteriori discriminazioni e umiliazioni — come negli episodi riportati sopra. "Alcuni non denunciano perché hanno paura di farsi aiutare dagli esperti, hanno paura di essere trattati in modo ingiusto."

Secondo Falanga, "c'è una grande forma di rassegnazione che arriva dal fatto che queste persone non sono mai state aiutate e vengono trattate come le ultime di questo mondo."

Ad ogni modo, nel nostro paese quella trans rimane una realtà difficile, spesso segnata non solo da aggressioni e sfruttamento, ma anche da povertà, solitudine e grande sofferenza per un'identità di genere che ancora fatica a trovare legittimazione.

Come anche Voza sottolinea, in Italia, non viene riconosciuto alle persone trans il diritto di autodeterminazione, poiché le norme giuridiche ancora non consentono di ufficializzare il cambiamento di sesso senza intervento chirurgico.

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Questo avviene nonostante alcune recenti sentenze della corte costituzionale e della cassazione abbiano riconosciuto che il trattamento chirurgico non sia un requisito strettamente necessario per il cambio di genere.

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"Come sempre in Italia viviamo questa grossa disconnessione tra quello che ci dice l'avanzamento culturale della nostra società e quello che poi invece, per esempio, chi si deve occupare dell'amministrazione e gestione della politica percepisce," spiega Voza.

"Questo l'abbiamo visto in tutte le battaglie sui diritti civili. Sono spesso i giudici che devono recepire le indicazioni e le raccomandazioni che vengono dalle commissioni europee, prima tra tutti la Corte Europea per i Diritti dell'Uomo."

L'invito ad agire, a livello europeo, era già stato inviato nel 2010, quando una raccomandazione inviata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa invitava gli atati membri dell'Unione ad adottare e applicare "in maniera efficace misure legislative e di altro tipo miranti a combattere la discriminazione fondata sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere, a garantire il rispetto dei diritti umani delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali e a promuovere la tolleranza nei loro confronti."

I giudici farebbero quindi da apripista perché la classe politica intervenga poi sulle norme giuridiche. Ma spesso questo non avviene, secondo Voza. "La politica non riesce a porre rimedio [ai problemi sollevati], quindi direi che da questo punto di vista c'è un gap fortissimo rispetto a ciò che accade nei paesi più avanzati d'Europa. Ed è soprattutto un gap della nostra classe politica."

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Le barriere: lavoro e sanità

Alle difficoltà incontrate per registrare la propria transizione si aggiunge anche l'assenza di politiche mirate all'inserimento professionale, fatta eccezione per alcune rare iniziative – come quella degli atenei italiani che prevedono per gli studenti transgender il "doppio libretto" , su cui poter esprimere un'identità di genere che corrisponda alla vera percezione di sé.

Parlando delle esperienze testimoniate attraverso il suo lavoro all'Arcigay, Voza registra ancora una forte discriminazione, "un rifiuto", ad assumere persone trans. E allora anche poter proseguire nel percorso di transizione diventa un problema di tipo economico.

"Solo in pochissime regioni è possibile accedere alle terapie ormonali sostitutive attraverso il Sistema Sanitario Nazionale," ricorda, spiegando come il bisogno di reperire il denaro necessario per acquistare farmaci possa diventare un'ulteriore spinta verso attività al limite della legalità – come, ad esempio, la prostituzione.

"Bisogna lavorare molto sul servizio di offerta, in termini di sanità pubblica, per le persone transgender," aggiunge Voza. E a chi avanza dubbi riguardo le possibili implicazioni sul bilancio pubblico, risponde: "[Incide di più] un'assenza di controllo pubblico, perché spesso una terapia ormonale portata avanti senza la verifica di un endocrinologo produce più danni. Quindi la sanità pubblica deve poi intervenire maggiormente per rimediare."

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Nella sua intervista a VICE News, Voza ribadisce l'importanza di giornate come quella del 20 novembre, dedicata proprio alla memoria delle vittime della transfobia, o quella appena passata del 31 marzo, per la celebrazione della visibilità transgender, durante la quale ha ricordato: "Ciò che si celebra oggi è la necessità che le persone trans siano serenamente visibili. La necessità di una rivoluzione culturale che è anche il freno maggiore che possiamo mettere alla violenza."

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In apertura: foto Ufficio stampa Arcigay, Stefano Bolognini via Wikimedia Commons.