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Porno

La 24enne italiana che è diventata una pornostar in Giappone

Era da un po' di anni che l'idea del porno giapponese la ossessionava, così ha deciso di partire.
Niccolò Carradori
Florence, IT
Tutte le foto per gentile concessione di Victoria Yuki

Testimonianza di Victoria Yuki raccolta da Niccolò Carradori.

Nonostante possa sembrare strano detto da una ragazza di poco più di vent'anni che ha alle spalle un'attività da camgirl, da escort, e che si è trasferita a quasi 10.000 chilometri di distanza per girare scene di sesso in un paese di cui conosceva soltanto sommariamente la lingua, il porno non mi ha mai eccitato o interessato più di tanto dal punto di vista sessuale durante l'adolescenza.

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Fino ai 18 anni ho condotto una vita "normale": sono nata in una piccola provincia piemontese, ho sempre frequentato la stessa cerchia di amici con cui sono cresciuta, andavo bene a scuola e avevo una normale relazione con i miei coetanei. L'unico legame con la mia vita attuale, quella in cui sono diventata una piccola star dell'industria pornografica nipponica, era la passione per il Giappone.

Questa specie di ossessione—anche se a dire il vero non sono mai stata il genere di monomaniaca ossessiva che si dà al cosplaying e guarda soltanto anime in lingua originale—è nata più o meno quando avevo 12 anni, dopo aver visto Battle Royale. Da allora, e per tutti gli anni a seguire, ho continuato a nutrire un forte interesse per la cultura giapponese, fino a che un giorno non mi sono imbattuta nella foto di una modella che solo poi ho scoperto essere una pornostar: Mihiro, che ben presto è diventata il mio modello.

La sua naturalezza ed eleganza, anche nei porno che girava, mi avevano colpito moltissimo. Fino ad allora ero entrata in contatto soltanto con la pornografia occidentale, che perlopiù mi sembrava violenta, volgare e priva di reale attrattiva erotica, mentre i porno giapponesi erano girati con più fantasia, e le scene erano articolate e stimolanti. Ricordo che è stato in quel periodo che ho cominciato a fantasticare sul fare porno in Giappone. Ma più che altro era una sorta di curiosità, non un vero e proprio desiderio.

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La cosa è rimasta in sordina per alcuni anni, fino a che alla fine delle superiori, dopo essermi lasciata con il mio fidanzato dell'epoca, non ho deciso che era arrivato il momento di iniziare un periodo di ricerca sessuale. Non sono mai stata il genere di ragazza che va a ballare il sabato sera per trovare qualcuno che la scopi, anzi, e ad essere sincera non è che nutrissi un interesse fortissimo per il sesso. Ma c'erano un sacco di cose che volevo approfondire, quindi quasi per gioco ho iniziato a fare la camgirl.

All'inizio è stato divertente, mi piaceva offrire un servizio in cui degli estranei che mi desideravano pagavano per potermi vedere nuda ed eccitarsi—ma la verità è che a lungo andare è diventato noioso e ripetitivo. Fare la cam girl può essere pure deprimente: incappi in un sacco di clienti che pur di risparmiare qualche credito ti chiedono di spogliarti interamente prima di accendere la cam.

Grazie a uno di loro, però, ho iniziato la mia carriera da escort: mi aveva chiesto se potevamo incontrarci dal vivo, e io dopo un po' ho accettato. Visto che l'esperienza non era stata per niente negativa, poi, ho deciso di attrezzarmi per continuare a farlo. Del resto, per come la vedo io è un lavoro come un altro, e lo faccio bene e in completa sicurezza ormai da qualche anno. Per un periodo, prima di trasferirmi in Giappone e iniziare la mia carriera pornografica, ho addirittura preso casa a Lugano per lavorare. Quello che mi incuriosiva veramente, però, rimaneva il mondo del porno, e sempre nel periodo in cui avevo iniziato a fare la camgirl mi ero messa i contatto con la Pinko, una delle principali case di produzione italiane, che mi aveva fatto assistere ad alcune scene su di un set.

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Per un certo periodo ho anche avuto a che fare con una coppia che diceva di potermi far entrare nel giro del porno, ma l'unico vero lavoro che sono riuscita a rimediare in quel periodo è stato un film con un cliente privato. Non è stato spiacevole, ma quello che volevo io era qualcosa di più, quindi ho pensato di introdurre un cambiamento radicale e trasferirmi in Giappone per diventare una pornostar.

Nel tempo mi ero informata, e oltre ad essere un mercato in cui le attrici sono molto ben pagate, è anche incredibilmente vasto: sei una vera e propria idol, come una cantante pop o un'attrice tradizionale; vengono vendute le tue figurine, vengono messi in commercio i tuoi indumenti, e vengono organizzati degli eventi in cui i fan possono parlarti e fotografarti. La sola differenza, in effetti, è che il tuo pubblico è interessato al sesso. In più, per quello che ho visto, i giapponesi sono un popolo più represso sessualmente e proprio per questo il mondo del porno giapponese è molto più vario.

Nella realtà, però, le cose non sono state così semplici. Molti, ad esempio, potrebbero pensare che essere un'attrice occidentale possa rappresentare un aspetto positivo per la propria carriera in Giappone, ma la verità è che ritagliarsi un po' di spazio nel mondo lavorativo giapponese non è affatto facile per uno straniero, in qualsiasi ambito. Dopo 15 giorni in Giappone ero già riuscita a trovare un agente, ma per girare il primo film ci sono voluti otto mesi.

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Quasi fin da subito mi hanno chiesto di aggiungere Victoria al nome che avevo scelto come attrice, Yukikon, per esaltare il fatto di essere straniera. Anche se non ho il classico aspetto della pornostar occidentale, e molti fan italiani pensano che abbia dei tratti che ricordano vagamente quelli orientali, il mio fisico e i lineamenti del viso mi caratterizzavano molto all'interno dell'industria giapponese. Infatti sono sempre stata "pubblicizzata" per questo motivo dalla mia agenzia.

Nel frattempo, mentre aspettavo il primo ingaggio e costruivo il mio personaggio, ho avuto modo di sperimentare tutto quello che ruota attorno al mondo del porno giapponese. Per fare un esempio, quasi subito dopo averlo conosciuto il mio agente mi ha procurato una sessione di "satsueikai": in pratica stai dieci ore chiusa in uno studio, con pause da un quarto d'ora, e i fan che vengono a fare una specie di safari fotografico. Pagano dai 300 ai 500 euro e hanno 45 minuti a disposizione, timer alla mano, per fotografarti mentre ti chiedono di assumere certe posizioni o di metterti certi vestiti.

È un evento che difficilmente potrebbe essere importato in Italia, perché ci sarebbe subito qualcuno che tenta di allungare le mani, mentre in Giappone i fan sono rispettosissimi e timidi. In un certo senso a volte fanno quasi pena—li vedi che arrossiscono o abbassano lo sguardo mentre ti chiedono un primo piano della vagina o ti aiutano a metterti un costume in latex che loro stessi hanno scelto.

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Dopodiché sono passata a commercializzare le mie mutandine usate, che è una trovata che serve alle agenzie per farsi pubblicità—acquistano degli stock di mutandine e te le fanno indossare per qualche secondo, poi le togli, le firmi, e le infili in una bustina su cui è appiccicata una tua foto sorridente. Spesso vengono allegate ai DVD di un'attrice, ma i fan le acquistano anche singolarmente. Vanno veramente a ruba.

Solo dopo svariati mesi e un lavoro in un karaoke mi sono procurata il mio primo contratto, che è stato più che altro un video di presentazione. Piccole situazioni in cui potevo mostrare il mio personaggio al pubblico, come una scena di masturbazione in macchina, una con due attori, una di bukkake nello scompartimento di un treno, e una recitata—in giapponese, chiaramente.

Fin dall'inizio mi sono accorta che tutte le mie impressioni sul porno giapponese erano giuste; è un porno più elegante, più strutturato, con una grande organizzazione. Ho sempre trovato gradevoli gli uomini orientali, ma non è proprio per questo che il porno giapponese mi eccitava. Una delle cose che molti conoscono del porno orientale, ad esempio, è che gli attori uomini hanno dimensioni ridotte rispetto al resto degli attori pornografici. In verità, però, questo non è tanto dovuto a una caratteristica fisica, quanto a una scelta di mercato: in Giappone ho girato anche con attori superdotati, ma la verità è che nei film giapponesi è sempre la donna ad essere al centro della scena. Gli attori, al contrario, devono essere il più normali possibile, così che gli spettatori possano immedesimarsi in loro mentre l'attenzione è tutta rivolta all'attrice.

Nei due mesi successivi ho girato altri film e mi sono sempre trovata benissimo; il problema piuttosto è che cominciavo a sentire la mancanza di casa e della mia famiglia e dei miei amici, che non mi hanno mai giudicata per le mie scelte. A quel punto mi ha contattato la Pinko, che seguendomi su Twitter aveva visto che stavo lavorando in Giappone, e mi ha chiesto di provare un'esperienza in Italia. Così sono tornata e ho girato due scene con loro, anche se devo dire che dal punto di vista dell'organizzazione e dello stile ho avuto un po' di difficoltà. In Giappone non esiste questa tendenza a voler "sfondare" l'attrice, è tutto più soft, più umano. Nella scena con la Pinko, a un certo punto, abbiamo spaccato un divano da quanto lo stavamo facendo forte. Oppure per quanto riguarda l'anale—per le attrici occidentali è quasi un obbligo, mentre in Giappone non lo è.

Adesso mi sono presa un periodo per vedere come si evolve la situazione qui in Italia, ma sono pronta a tornare in Giappone in qualsiasi momento.

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