Cibo

Il ristorante etico di Roma dove ordinare cibo internazionale, preparato da cuochi migranti

Gustamundo è un ristorante etico e multiculturale, dove puoi ordinare a casa byriani, shah plov e baklava. E dietro ci sono tantissime storie da raccontare.
Ristorante delivery roma gustamundo
Foto per gentile concessione di Gustamundo ove non specificato. 

“I clienti devono venire qui da noi prima di tutto perché il cibo è ottimo, non per vedere chi lo cucina. I migranti non sono dei freaks da circo”

Ho sempre creduto nel cibo come strumento per parlare d’altro: di persone, di territori, di storie. Gustamundo è esattamente questo. L’esempio di come il cibo possa diventare un mezzo di integrazione e di indipendenza.

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Siamo a Valle Aurelia, un quartiere apparentemente anonimo, il cui perimetro non è chiarissimo nemmeno ai romani. È qui che Pasquale Compagnone insieme ai rifugiati ha dato vita a un ristorante internazionale, etico e multiculturale, che fa anche consegna a domicilio allietando le serate dei romani in lockdown.

Chiamarlo ristorante è certamente una semplificazione, ma per alcune realtà le parole adatte ancora mancano quindi partiamo dalla genesi. “Nel 1993 apro El Pueblo, un ristorante messicano, tornando da un viaggio sociale con gli zapatisti nel Chiapas: mi sono innamorato di quella terra e volevo portarmela a Roma,” mi racconta. “Sono andato avanti con la mia attività fino a quando nel 2017 si liberò lo spazio di fianco e decisi di viaggiare per il  mondo grazie alla cucina e rappresentare i volti di cui si compongono i flussi migratori.”

Hanno creato anche un’app per il delivery, dove oltre al menu ci sono anche delle box aperitivo e cena, contribuendo così a sostenere le spese e a non mandare i ragazzi in cassa integrazione.

Ha cominciato stringendo rapporti con la comunità di Sant'Egidio, gli Sprar (Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati di Roma) di Roma, Caritas e Refugees Center, che hanno iniziato a mandargli una miriade di ragazzi con esperienze di ristorazione nel loro paese d’origine, dal quale erano dovuti fuggire per diverse ragioni. “Per iniziare a conoscerli e selezionarli, anche se è una parola che non mi piace, abbiamo organizzato delle cene sociali nei centri, per provare i piatti e capire anche il livello di offerta che potevamo proporre,” continua Pasquale.

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Solo nei primi due anni Gustamundo ha rilasciato oltre 200 cud; hanno lavorato in struttura oltre 60 chef provenienti da Senegal, Mauritania, Mali, Costa d'Avorio, Guinea, ma anche Siria, Afghanistan, Iran e Iraq. Circa un anno e mezzo fa però Pasquale ha deciso che questa modalità non era sufficiente e ha voluto aprire il ristorante Gustamundo in quello spazio sfitto che lo stava aspettando. Il lavoro serale fuori dai centri per i ragazzi comporta troppe difficoltà -non hanno mezzi propri e affidarsi ai mezzi pubblici nella Capitale, soprattutto nelle periferie, può essere molto difficile - e serviva una maggiore stabilità delle collaborazioni per poter chiedere i permessi di soggiorno.

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L'esterno di Gustamundo. Foto per gentile concessione di Gustamundo

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Piccola precisazione: i rifugiati possono rimanere nel paese ospitante per due anni; poi solo con un  lavoro, e quindi un permesso regolare, possono continuare a costruirsi una vita. In alternativa c'è la clandestinità. Non bisogna però nemmeno raccontarsi la favola che un po' di bontà fa filare tutto liscio. Lavorare in gruppo non è facile e Pasquale mi confessa di aver dovuto allontanare alcune persone che non sapevano gestire i rapporti con le donne o con chi aveva problemi ad interfacciarsi con credi religiosi diversi.

Sono soprattutto le ragazze madri che preparano i banchetti, devono lavorare di giorno perché alla sera non possono lasciare i figli da soli nei centri.

I ritmi di un ristorante sono serrati e non tutti riescono a seguirli, ma su questo Gustamundo dimostra un’elasticità che difficilmente si rintraccerebbe in altre attività. Incontro Nahja, vive in un centro contro la violenza sulle donne, è al lavoro e sta preparando i kubba, delle crocchette tipiche del sua tradizione culinaria, quella irachena, fatte di patate e riso con all'interno un macinato di manzo, mandorle, cannella e uvetta. È arrivata questa mattina presto, sono le 18 e ne ha fatte 70, tempi che in qualsiasi brigata canonica verrebbero redarguiti e qui invece sono capiti, sostenuti.

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Nahja. Foto dell'autrice

Il team ad oggi è composto da diciotto persone: una parte segue il ristorante, una parte tornerà ad occuparsi (speriamo presto) dei catering. Sono soprattutto le ragazze madri che preparano i banchetti, devono lavorare di giorno perché alla sera non possono lasciare i figli da soli nei centri. Da poco, infatti ,anche la cucina Rom è entrata nel menu grazie alla collaborazione con la casa di Leda, un istituto protetto dove vengono accolte donne detenute con figli.

Gustamundo attraverso il lavoro e la formazione dimostra che i rifugiati possono essere anche imprenditori autonomi. “Entro due anni verrà depositata un Srl con il gruppo ristretto di ragazzi e una cerchia di collaboratori. Io - mi dice Pasquale - ci sarò sempre, ma voglio lasciare l'attività completamente nello loro mani. Sono spaventati da questa crescita, ma è un percorso che stanno affrontando giorno per giorno: all'inizio non volevano neanche andare in sala, per paura del confronto,  della lingua, o per chissà quale altro spettro pronto a riaffiorare dal passato, ma stanno lavorando sull'autostima e l'accettazione”. 

La ricetta che ama preparare è lo Shah Plov, il re dei risi, composto da riso basmati, frutta secca, carne, datteri, cipolla, curcuma e zafferano, il tutto avvolto da pasta fillo

Ad oggi tre persone sono assunte a tempo indeterminato, un paio a tempo determinato e gli altri lavorano a ritenuta o con i buoni lavoro. Pasquale stesso non sempre conosce tutto il loro passato; gli assistenti sociali, che sono i suoi referenti, gli forniscono alcune informazioni, ma solo con il tempo, tra un hummus e qualche samoza, i ragazzi si aprono. E bisogna accettare che certe cose, come il timore di essere rintracciati anche se ti trovi dall'altra parte del mondo.

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Dentoura. Foto dell'autrice.

Vado in cucina e conosco Dentoura, timidissimo, che riesce a raccontarmi qualcosa del suo assurdo viaggio solo se contemporaneamente frigge. Partito dal Senegal è passato per la Libia dove ha vissuto situazioni indescrivibili e infine è approdato a Messina, dove si è fermato per sei mesi, ha conseguito la licenza media e poi, una volta a Roma, è diventato cuoco frequentando il corso all'Anpa, Accademia nazionale delle professioni alberghiere.

Dopo un breve tirocinio in un ristorante gli hanno parlato di Gustamundo e lavora con loro dal 2019. Ha 27 anni, condivide una casa con tre amici, ci mette un’ora e mezza per venire a lavorare ma sorride, sorride sempre, forse è la timidezza o forse è davvero felice di questa vita a cui è rimasto aggrappato con le unghie. Mi dice: “Anche in Senegal aiutavo mio fratello nel suo locale, ora lo chiamo e gli racconto che faccio le ricette della nonna”. Adora la pasta fresca all'uovo ma non rinuncia mai al Ceebu yapp, riso con carne di manzo, che prepara anche per i clienti del ristorante.

In Pakistan gestiva un ristorante in Kashmir che un bombardamento ha raso al suolo. Dopo dieci anni potrà riabbracciare i suoi figli grazie al ricongiungimento familiare

Dentoura non è solo in questa avventura imprenditoriale: insieme a lui c'è anche Dilruba. I due  frequenteranno tra pochissimo il REC, registro esercenti commercio, presso la Camera di Commercio, per diventare, lui responsabile dei catering e lei preposto dell’azienda. Dilruba mi studia, sorridente e attenta. Ha 33 anni, da tre in Italia e ha tre figli, (non è una filastrocca) viene dall'Azerbaijan e ha iniziato a cucinare a 15 anni i piatti della tradizione azera, turca, russa e talish (il suo gruppo etnico) nella tavola calda del padre a Mosca. Poi è tornata nella sua terra per sposarsi ma le cose non sono andate bene.

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Ha fatto un corso di formazione di cucina italiana appena arrivata al centro di accoglienza Astalli, dove ha imparato a fare la cacio e pepe e la ribollita. La cosa che le piace di più è “il sushi e il cinese, ma purtroppo i miei figli mi chiedono sempre piatti turchi” mi confessa ridendo. Dopo un primo periodo ai fornelli Pasquale l'ha catapultata in sala e ha fatto bene. Non faccio fatica a pensarla tra i clienti, a chiacchierare mentre spiega gli ingredienti del menu. “Gustamundo è un grande aiuto per le donne, è stato difficile trovare un lavoro per me”, mi dice adombrandosi. “In questo modo posso stare con tante persone di diverse culture, mi aiuta a crescere e a confrontarmi con il mondo esterno”.

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Shah Plov. Foto per gentile concessione di Gustamundo

La ricetta che ama preparare è lo Shah Plov, il re dei risi, composto da riso basmati, frutta secca, carne, datteri, cipolla, curcuma e zafferano, il tutto avvolto da una pasta fillo che stende a mano in modo magistrale. L'odore dello zafferano la riporta a casa, alle pietanze che le cucinava la mamma quando era  bambina. La puzza di smog la riporta invece alla realtà, deve trovare una casa, non potrà più stare nel centro d'accoglienza. 

Purtroppo non ho incontrato Ilyas, il veterano del gruppo, ma mi raccontano ugualmente la sua storia. In Pakistan gestiva un ristorante in Kashmir, che nel 2009, a seguito di un bombardamento, è stato raso al suolo e sotto le macerie c'era anche sua moglie. Così Ilyas e ha deciso di venire in Italia, per dare un futuro ai suoi figli che tra pochissimo, dopo dieci lunghissimi anni, potrà riabbracciare grazie al ricongiungimento familiare con il quale lo ha aiutato anche da Pasquale.

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La cucina di Gustamundo è piccola, ma c'è anche un laboratorio di supporto, al piano inferiore, che viene attivato nei week end o per i catering. Ai fornelli sono fissi in tre e preparano la linea insieme, poi portano avanti le  preparazioni singolarmente. “Mi piace imparare dai miei amici nuove ricette, così le posso spiegare in sala ai clienti, raccontando non solo del mio paese ma anche del loro” mi dice Dentoura mentre si muove tra il forno e il lavandino.

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Baklava appena sfornati. Foto dell'autrice

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Ceebu yapp, ricetta senegalese con riso e carne.

Il menu è ricco. Tra i piatti troviamo di tutto, dal byriani, piatto unico a base di riso e pollo cucinati con pomodori, zenzero, cipolla oppure i mantù, ravioli ripieni di carne. Per aggiungere ancora un po' di carne se non bastasse, il gheimeh o qeimeh è uno stufato iraniano di montone, pomodori, piselli spezzati, cipolla e lime essiccato. L'alicha, invece è vegano: è un piatto tipico della cucina eritrea fatto con un sacco di tipi di verdure speziate con peperoncino, zenzero, coriandolo. Io ho avuto il piacere di assaggiare del baklava, appena sfornato da Dilruba (che si preoccupava di averla cotta troppo).

Non ci sono sponsor o partnership che sostengono il progetto Gustamundo: non essendo una Onlus non ha diritto ad accedere a bandi e fondi regionali o europei.

“I clienti devono venire qui da noi prima di tutto perché il cibo è ottimo, non per vedere chi lo cucina. I migranti non sono dei freaks da circo” mi dice duramente Pasquale. Il progetto è trasparente e questo ha fidelizzato tanti che donano spontaneamente tramite la tessera di cittadinanza, una delle invenzioni di Pasquale, che da diritto ad uno sconto annuale sul menu.

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Gustamundo è anche presente nelle experience di Airbnb così da non abbandonare definitivamente l'idea iniziale delle cene sociali, fase embrionale del progetto. Anche se da quasi un anno non è possibile accogliere i turisti, non si sono fatti trovare impreparati, erano già attrezzati: hanno creato una loro App per il delivery, dove oltre al menu ci sono anche delle box aperitivo e cena, che ha contribuito a sostenere le spese e non mandare i ragazzi in cassa integrazione, almeno per il momento.

Chi esce dagli Sprar (anzi, chi ha avuto la fortuna esserci stato, dopo la cura Salvini che li ha decimati) ha l'affitto da pagare e questo lavoro è tutto ciò che gli permette di stare in piedi. Non ci sono sponsor o partnership che sostengono il progetto Gustamundo: non essendo una Onlus Pasquale non ha diritto ad accedere a bandi e fondi regionali o europei. Benvenuti nel paese delle meraviglie, dove tutto è possibile e tutto è impossibile allo stesso tempo. Paradossalmente la scelta di voler essere un'impresa commerciale piuttosto che premiarli li penalizza ma questo non basta a fermare la loro progettualità. Ma stanno comunque pensando di aprire in altre città.

La formula di Gustamundo, come si diceva all'inizio, è per me quella giusta: crea valore attraverso la formazione e soprattutto prospettive per chi spesso arriva in Italia e non ne ha.

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