È affascinante osservare la dinamica di accanimento mediatico che ciclicamente colpisce prima un cibo poi un altro. In questa stagione c'è l'avocado che la sta facendo da gran padrone di tutti i mali dell'universo, ragion per cui ogni volta che mangi un toast al guacamole la gente informata ti guarda storto e bisbiglia frasi truci.È un fatto: l'avocado va di moda. O meglio, si è scoperto che è buono e sano, per cui se prima lo mangiavano solo i messicani, adesso c'è tutto l'Occidente che ci si vuole fare i panini hipster, per non parlare della Cina. E siccome Messico, Perù e Cile sono i principali produttori, è qui che la pressione della domanda sta affollando i problemi: 690 ettari disboscati in dieci anni solo in Messico, riserve idriche esaurite che lasciano paesi senz'acqua, popolazione ammalata a causa delle sostanze chimiche, prezzi in crescita che rendono l'avocado – qui un cibo tradizionale – troppo caro per le popolazioni locali e allo stesso tempo appetibile per la criminalità organizzata.
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Ed è vero, è un tema serio che è giusto denunciare. Ma, attenzione, non tanto per l'avocado in sé, quando per il modello agro-industriale che regge tutta la dinamica: cresce la domanda di un alimento, si va in qualche paese semi-povero a sfinirne i terreni con coltivazioni intensive e si rispedisce tutto nei supermercati dall'altra parte del mondo.Ad esempio, se vai in Sicilia, incontri una filiera dell'avocado completamente diversa.
"Qui in Sicilia ci sono alcune zone che hanno una vocazione per l'avocado di alta qualità: il versante orientale dell'Etna e alcuni terreni nel messinese e nel siracusano. In generale, si prestano le aree dove si coltiva il limone e quelle dove c'è un terreno vulcanico." A dirmi questo è il fondatore di Avoconsult, una società di consulenza che aiuta gli agricoltori a impostare coltivazioni biologiche di avocado. E insiste molto sul concetto di vocazione perché è a partire da un terreno compatibile che si può fare un'agricoltura senza abuso di chimica o spreco di acqua.Poi: "tutte le aziende che seguiamo piantano alberi distanti 7 metri l'uno dall'altro, e li fertilizzano con sovesci di leguminose e letame di pecore che pascolano libere su terreni incolti." Se invece si guarda la foto di una delle coltivazioni cilene sotto accusa, si vedono piante ravvicinate e mantenute piccole contro la naturale evoluzione dell'avocado che è invece un albero vigoroso.
Quindi primo punto: l'Avocado non si può coltivare ovunque, inutile disboscare a tappeto.
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Questo per ridurre i costi di manodopera e crescere in produttività, al prezzo però di aumentare il bisogno di pesticidi, fertilizzanti e acqua.
A proposito di pesticidi, Walter Tropea, produttore dal 2010 su un terreno alle falde dell'Etna, mi spiega che: "per il momento le varietà più diffuse a livello commerciale non hanno grandi problemi di infestanti, almeno per quanto riguarda la mia zona. Usare pesticidi non avrebbe senso, al massimo ogni tanto arriva un fungo, ma non fa grandi danni". Antonio Pennisi, anche lui agricoltore di una piccola piantagione a Riposto, nel catanese, insiste sulla concimazione: "faccio crescere il favino tra gli alberi, poi lo taglio per creare un tappeto che alimenta i microrganismi e arricchisce il terreno". A sentire loro, il biologico è dato praticamente per scontato: " ma sì – parole di Avoconsult – nelle zone adatte non c'è proprio motivo di fare l'avocado col metodo convenzionale, si può lavorare in biologico senza grossi sforzi, basta mantenere l'equilibrio e la fertilità del suolo".Quanto al fabbisogno d'acqua, mi faccio aiutare da un agronomo milanese, Andrea Bucci, a rimettere i dati in prospettiva: "la critica sul consumo di acqua dell'avocado mi lascia perplesso; l'irrigazione che serve all'avocado è paragonabile a quella che nel Nord Italia si usa per il mais ed è comunque di gran lunga inferiore a quella necessaria per produrre carne e latte". E infatti su questo i produttori siciliani interpellati sono compatti: una piantagione di avocado ha un fabbisogno di acqua simile, se non inferiore, a quello di un agrumeto.
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