Música

L’after-rave di Donato Epiro

Per me Fiume Nero—la raccolta di lavori composti da Donato Epiro tra il 2009 e il 2010 pubblicata da Black Moss nel 2014—è indiscutibilmente uno dei migliori lavori che la nostra penisola abbia partorito in questo decennio, capace di mescolare Shackleton e le sue ritmiche con atmosfere alla Demdike Stare e un calore del tutto legato all’identità mediterranea. È quindi con grande entusiasmo che mi sono approcciato a questo nuovo lavoro del tarantino, Rubisco, appena uscito per Loopy (etichetta che ha già pubblicato i bellissimi lavori di FIS).

Con grande sorpresa mi sono trovato davanti a un disco che rimuoveva completamente quelle ritmiche che in passato erano state il suo marchio di fabbrica per concentrarsi su sonorità spettrali, estremamente minimali, che parlano di paesaggi abbandonati, forse le ultime macerie di un mondo post-umano. Un lavoro molto diverso da ciò che Donato faceva in precedenza, ma di grande fascino. Ho voluto confrontarmi quindi con il suo autore, per farmi spiegare meglio le sue scelte e ripercorrere un po’ le fila dei suoi progetti.

La prima impressione che ho avuto ascoltando questo tuo nuovo lavoro è stata “in confronto a questo, Fiume Nero era il Festivalbar”.
È un’osservazione che ovviamente mi aspettavo. Fiume Nero a suo modo è un disco più abbordabile. Dentro ci trovi elementi “riconoscibili”, ci sono percussioni, puoi intercettare un gagaku, il verso di uccelli tropicali, dei flauti; nel marasma distorto hai degli appigli, riesci ad orientarti. Poi puoi inquadrarlo in diversi modi: c’è chi l’ha preso come un disco di psichedelia, chi si è focalizzato sui riferimenti library, su quelli noise o industrial. Insomma, ha una certa forza pop. Rubisco è un album più sottile. Ha una sua propria sintassi, non dico nuova, ma comunque da decodificare e di conseguenza meno diretta. Non è un album “impetuoso” come Fiume Nero, così compresso e violento, che oggi fatico ad ascoltarlo tutto di fila.Non deve trascinarti via, dovrebbe anzi ancorarti. Ho spostato ancora di più l’attenzione sul suono, sulle dinamiche ed ho immaginato le strutture come delle architetture astratte. È un album ambient in fin dei conti.

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A cosa è dovuto questo cambiamento? Oltre che un cambiamento stilistico a livello musicale riflette anche qualcosa di personale? E soprattutto il tuo lavoro ha subito l’influenza anche di quello che succede nel mondo esterno, a livello sociale e politico?
Tieni conto che anche se pubblicate in LP nel 2014, le tracce di Fiume Nero risalgono al 2009/2010, quindi sono passati sette anni dall’ultima volta che ho lavorato a qualcosa di mio, ed in questo lasso di tempo è praticamente successo di tutto, a me, alla musica, al mondo. Un’impronta autobiografica, anche inconscia, è inevitabile, senza dubbio poi Rubisco è un lavoro molto più dentro al suo tempo rispetto al precedente, che era piuttosto il risultato di mie fantasie weird, biologico-fantascientifiche. Non penso ci sia stata una svolta stilistica, credo di aver addirittura consolidato certe mie caratteristiche. C’è un evidente cambiamento di forma che è però legato al tema affrontato. Rubisco è una riflessione sull’assenza e su come certi spazi mantengano residui di quello che di vivo prima ospitavano. È anche un disco sulla comunicazione e l’influenza reciproca fra la materia “viva” e l’ambiente artificiale progettato per contenerla, sugli scambi e le trasformazioni continue fra questi due reparti. E La Rubisco, l’enzima che nelle piante catalizza l’ingresso del carbonio nel mondo organico da quello inorganico, può a tutti gli effetti essere considerata una porta di accesso verso la “nostra parte”. Certo, poi il disco puoi anche ascoltartelo senza pensare a tutta sta roba.

Nel comunicato stampa si cita la definizione after-rave, che mi ha colpito e trovo molto azzeccata. Ce ne parli?
Mi interessa l’idea di esperienza “trascinata” nel tempo, con una sua consistenza che va gradualmente riducendosi fino ad annullarsi. Ho immaginato l’album in un limbo sospeso fra azione vissuta e suo disfacimento totale. Traslando il tutto all’esperienza musicale, quello che ho cercato è il suono che continua a rimbombarti nella testa mentre torni a casa, il residuo sonoro che trattieni prima di addormentarti. Una sensazione che può essere più interessante ed intensa del momento realmente vissuto. Quell’”after” è una distanza che intendo anche in senso “spaziale”. La musica ascoltata dall’altra parte, lontano rispetto a dove le cose accadono. Nulla di così trascendentale però, si tratta anche solo di porte chiuse o di video su Youtube.

Pensi che si possa vedere una sorta di dopo-sbornia anche a livello più ampio, in un contesto mondiale?
La situazione generale è ai livelli paradossali di un romanzo distopico. Le reazioni possibili, alternative all’assorbire ed all’essere inglobati da certe follie sociali, economiche, ecologiche, sono o l’esasperazione di certe dinamiche nella speranza, superandole, di arrivare a qualcosa di diverso e migliore o la ricerca di un distacco, da interpretarsi comunque come un tipo di resistenza, in un’attesa quasi contemplativa del disastro imminente. Sono entrambe reazioni estreme, figlie della stanchezza e dell’esasperazione.

Donato Epiro - Rubisco

La copertina di Rubisco.

Che cosa hai ascoltato negli ultimi anni? I Demdike Stare mi sembrano in qualche modo presenti in questo lavoro, e anche il fatto che tu esca sulla stessa etichetta di FIS, autore di due dei dischi più belli degli ultimi anni, è significativo.
I Demdike Stare mi piacciono molto. Li sento però più in Fiume Nero, praticamente contemporaneo del loro Symbiosis. Cerco di star dietro a tutto quello che in qualche modo “deve” essere ascoltato. Ci sono label che seguo in maniera costante come Editions Mego, PAN, Blackest Ever Black, Modern Love, The Trilogy Tapes, Hospital Productions, Northern Electronics, Honest Jon’s… Non tutto mi entusiasma, mi piace però capire quello che succede ed essere sempre sul pezzo. In questi ascolti prevale forse più l’orecchio analitico. Alcune delle cose che mi appassionano di più arrivano invece in maniera casuale e fanno parte di ascolti disordinati e fisse del momento: ultimamente diverso materiale legato alla metafonia, la roba su Vitrine (tape label di Allen Mozek dei Godd Area), Kye, Penultimate Press, la meravigliosa Creel Pone di Keith Fullerton Whitman , le uscite della torinese Details Sound e il metal underground della I, Voidhanger. Non sono comunque stato influenzato da nulla in particolare, sono super critico verso quello che compongo e dal momento che ascolto un sacco di musica anche mentre lavoro, appena sento riferimenti troppo espliciti a cose che mi piacciono, mi autocensuro. Per tenere ben presente il tipo di musicista che vorrei essere ho però sempre vicino al piatto qualcosa che me lo ricordi e nei sei mesi in cui ho composto Rubisco non sono mai mancati album di Battiato (in particolare periodo Ricordi), Jon Hassel, Walter Marchetti, Aki Onda, Aaron Dilloway, Giusto Pio, Angus MacLise, Henri Pousseur. Fis certo mi piace, forse adesso, rispetto a quello che ascolto, lo trovo troppo massimalista, con lui sento però una vicinanza soprattutto concettuale.

Con cosa hai lavorato a questo disco, a livello di macchine
? Una certa essenzialità e un suono spoglio sono riflessione anche di un percorso produttivo minimale oppure è stato molto laborioso e complesso?
La mia strumentazione è ridotta al’osso ed è la stessa da anni. Lavoro principalmente con un laptop, su cui faccio girare un sequencer (di cui non dirò il nome per decenza). Utilizzo poi riverbero, delay, equalizzatore e compressore. Le fonti sonore sono sample che possono provenire da mie registrazioni, archivi in rete, video, nastri. Ho usato qualche synth, ma in maniera molto discreta. In qualche momento di slancio compro qualcosa di nuovo (sempre roba molto cheap) ma finisco sempre per usare quello che ho già in “studio”. Per me comporre significa principalmente scegliere dei suoni e mixarli, tutto qui, ma la composizione resta un momento abbastanza traumatico, che mi porta in alcuni casi ai limiti dell’esaurimento nervoso, proprio perché non so bene cosa utilizzare per arrivare a qualcosa che non so chiaramente cosa dovrebbe essere. Alla fine però è anche divertente perché quando mi chiedono come sono arrivato ad un certo risultato, il più delle volte non ne ho idea o non me lo ricordo.

Quando lavori cosa hai in testa? Quando capisci che un pezzo è finito? Soprattutto per musica così astratta come in quest’ultimo lavoro.
Non compongo con già in testa un’idea del pezzo, ne ho chiaro il suono, ma non la struttura che prende invece forma in una sorta di flusso di coscienza in cui ogni azione è risultato della precedente e punto di partenza verso la successiva. Il pezzo è chiuso quando mi sembra di non poter fare più altre mosse, quando sento che la traccia ha trovato una sua narrazione coerente, un senso di completezza che conserva però qualcosa di incompiuto ed irrisolto.

Ricordo che il live di Donato Epiro era comunque un duo con Gaspare, quindi stessa formazione dei Cannibal Movie, ed essendoci la batteria e un fortissimo elemento ritmico era un live del tutto adatto a contesti di ballo o comunque con un certo tipo di dinamiche e di atmosfere. Per questo lavoro che piani hai per il live? Io a questo punto mi immagino più una fruizione da teatro, o comunque da seduti, altri contesti che non i live club.
Io invece spero proprio di suonarlo anche nei club. Poi certo sarà un set più da “ascolto” e meno fisico rispetto a quello dei Cannibal o di Fiume Nero, ma anche molto più duro e diretto.

I Cannibal Movie che fanno? Sono fermi o c’è qualcosa in cantiere?
Siamo fermi. Io e Gaspare continuiamo a lavorare insieme ed in un certo senso anche quello che facciamo separatamente fa parte di uno stesso discorso che portiamo avanti in parallelo. Non ti nascondo che i Cannibal Movie ci mancano, personalmente penso sia stata l’esperienza più bella della mia vita. Ogni tanto ne riparliamo; per adesso è tutto fermo assieme alla strumentazione completamente distrutta dopo l’ultimo giro insieme.

Tu hai anche una tape label: Canti Magnetici (di cui abbiamo recensito un lavoro di Luca Garino). Ce ne parli?
È un progetto che porto avanti assieme ad Andrea Penso (Black Moss) e Gaspare Sammartano, aperto però a contributi esterni dal momento che l’obiettivo è quello di approfondire, partendo dal nostro interesse per il suono, argomenti che vanno dalle scienze naturali, all’antropologia, alla letteratura utilizzando anche media diversi da quello musicale. Siamo focalizzati principalmente su field recordings, tape music, sound art, spoken word. A brevissimo pubblicheremo i nuovi lavori di Joshua Bonnetta, Elisha Morningstar e l’audio racconto Tola del duo Acchiappashpirt.

La registrazione di un live di Donato Epiro a Saturnalia, Macao, Milano. A cura di URSSS.

Sei coinvolto anche in Soave, etichetta che ha appena ristampato quel capolavoro assoluto di Motore Immobile di Giusto Pio (purtroppo con un tempismo tragico)? Non mi è del tutto chiaro.
Soave è una serie nata all’interno di Cinedelic, storica label italiana con cui ho cominciato una stretta collaborazione da circa un anno. Soave è una creatura di Marco, boss Cinedelic, che ha invece affidato a me la direzione artistica della serie gemella, Grandangolo, in partenza a metà Aprile con le prime due uscite: i nuovi dischi di Golden Cup ed Heroin in Tahiti. Soave continuerà con la pubblicazione di ristampe, (assieme a Motore Immobile è stato pubblicato D é- coll / age Musik di Wolf Vostell), con Grandangolo (colto il riferimento del nome?) produrremo invece lavori inediti. Questa opportunità rappresenta in qualche modo un cerchio che si chiude, sai benissimo che importanza hanno avuto per me certe esperienze musicali italiane e Cinedelic, che in questo settore è una garanzia, ha avuto coraggio nel lanciarsi in questa operazione dandomi carta bianca.

Qual è il tuo background? Cosa facevi prima dei lavori più noti a nome Cannibal Movie e come solista? Vieni anche tu dal punk o dal noise come tutti?
Non fa figo dirlo, ma vengo dalla classica e dal prog. La mia prima registrazione ufficiale l’ho fatta a cinque anni su etichetta RCA, cantavo. Ho poi cominciato molto presto a studiare flauto. D’estate intensificavo le lezioni, in pieno agosto dalle otto di mattina fino all’una: il mio maestro preparava la colazione poi ascoltavamo King Crimson, Comus, Diamanda Galás, Tangerine Dream. Nel mio periodo universitario ho suonato post-rock, noise, musica estemporanea, tutte esperienze che mi sono servite più che altro a capire quello che veramente mi interessava approfondire. Alla fine sono tornato a quello che mi piaceva in adolescenza, quando suonavo il basso in una band di rock psichedelico ed ascoltavo a ripetizione una cassetta con Fetus su un lato ed Atem sull’altro.

Cosa fai oltre alla musica? Mi sembri uno che si prende molto i suoi tempi, che non ama apparire troppo, quindi mi chiedevo dove andasse Donato Epiro quando non appare, un po’ come cosa fa Batman quando non è Batman.
Vivo in un paesino vicino Lecce, in campagna, con la mia ragazza e sei gatti. Quando posso torno a Taranto, per prendere una boccata d’aria.

Federico ha Twitter: @justthatsome
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