Secondo uno studio del 2015 condotto dal movimento contro lo street harassment “Hollaback!” e dalla Cornell University, il 79 percento delle intervistate in Italia ha subito molestie per strada già entro i 17 anni. L’indagine riferisce come le emozioni maggiormente suscitate nelle donne dal catcalling siano depressione e bassa autostima, mentre altre conseguenze includono un cambiamento dello stile di abbigliamento o la scelta di non percorrere certe strade, di socializzare o rincasare a un certo orario.
Il problema è che la cultura che ci ha allattati ha trasmesso l’idea che se sei una donna, ricevere apprezzamenti o commenti qua e là per strada è assolutamente normale. Come a dire che esisti, sì, ma in funzione dello sguardo maschile. Se ne è parlato anche a giugno 2020, per via delle dichiarazioni di Raffaele Morelli a RTL 102.5: “Se una donna esce di casa, e gli uomini non le mettono gli occhi addosso, deve preoccuparsi, perché vuol dire che il suo femminile non è presente in primo piano,” ha affermato lo psichiatra in radio, suscitando giustamente molte reazioni.
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Quando si parla di catcalling sui social, però, si assiste sistematicamente alla minimizzazione o negazione del fenomeno. Commenti da uomini e donne, la metà dei quali vanno solitamente contro la vittima, seguendo diverse modalità: dallo sminuire il problema a additare la vittima insinuando che ci sia qualcosa che non va in lei se non “sa apprezzare” quei “complimenti” ricevuti per strada.
Ho voluto chiedere il parere di un esperto per capire qual è il sistema di pensiero da cui scaturiscono queste tipologie di commenti. Così ne ho parlato con Lorenzo Gasparrini, scrittore, filosofo e attivista femminista, autore di diversi libri tra cui Non sono sessista ma… Il sessismo nel linguaggio contemporaneo (Tlon) e NO. Del rifiuto e del suo essere essenzialmente un problema maschile (EffeQu).
Alcuni dei commenti sono tratti tra quelli ricorrenti in uno status in cui la scrittrice Carolina Capria racconta di alcune battute indesiderate ricevute per strada.
SMINUIRE O NEGARE IL CATCALLING
“Fatti una risata, prendila con più leggerezza, che sarà mai!”
“Sminuire il problema è un modo per sminuire la persona,” spiega Gasparrini. “Dato che il catcalling parte da un disparità di potere (qualcuno si arroga il diritto di poter parlare pubblicamente come vuole del corpo altrui) dire che questo non è un problema o è una cosa da ridere significa voler nascondere quella disparità, negarne l’esistenza,” continua. “Quel diritto nessuno può pretenderlo come fosse una propria ‘libertà’, perché di fatto è un abuso e soffoca una libertà altrui.”
COLPEVOLIZZARE LA VITTIMA
“Se non sai apprezzare un complimento, hai dei problemi.”
Gasparrini precisa che il catcalling non è mai un “complimento.” Anzi: “Nasconderlo attraverso un complimento è un modo per fingere che poi sia la donna a non aver capito le ‘intenzioni’ dell’abusante, che erano buone,” spiega. “La menzogna è doppia: non erano buone intenzioni (perché si sono espresse tramite un abuso) e non era un complimento (era un abuso),” prosegue. “Non esserne coscienti non è una scusa: basterebbe chiedere il consenso, o non darlo per scontato,” precisa, e infatti dalla percezione delle molestie fino a quella degli stupri sappiamo come il concetto del consenso sia ancora poco chiaro per alcuni (secondo il report Istat del 2018, il 39,3 percento degli italiani ritiene che una donna è in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole).
Ci si potrebbe domandare come chiedere esplicitamente il consenso per approcciare una donna che non si conosce… be’, tante interazioni o relazioni sono nate da uno scambio di battute in un locale, alla fermata dell’autobus, in fila da qualche parte: la chiave dovrebbe essere comprendere se il contesto è adatto (il fatto che una donna sia semplicemente lì “presente” non significa che sia disponibile, per esempio), comprendere chi abbiamo di fronte e quali sono i tempi giusti per un approccio. È facile? No, nessuno ha mai detto che lo sia, infatti le relazioni umane richiedono impegno e capacità di ascolto dell’altro.
GIUDICARE DALLA PROPRIA SOGGETTIVITÀ, ANCHE DA PARTE DI ALTRE DONNE
“A me non dà fastidio se mi fanno complimenti per strada, stai esagerando.”
“Il proprio gusto privato e personale non può mai tramutarsi in una regola pubblica o generale,” puntualizza Gasparrini. “A me piace la trippa, che faccio, la faccio mangiare a forza a tutti i miei amici e amiche?”
I sentimenti negativi innescati dal catcalling e riportati nello studio citato—che parla anche di rabbia o paura e stress, queste ultime in particolare per donne seguite, vittime di stalking o toccate in pubblico—dovrebbero del resto già far capire come una donna non si senta sistematicamente lusingata dagli approcci per strada: può accadere che lo sia, ma non per tutte è così. Quando qualcosa a noi sembra innocua, ma ferisce una categoria di persone (non due o tre al mondo), la prima cosa da chiedersi, invece di negare il loro sentimento di sofferenza, dovrebbe essere: ‘quale punto di vista mi sto perdendo?’.
AFFERMARE CHE ALCUNE MOLESTIE SAREBBERO PIÙ ACCETTABILI (E QUINDI LECITE) DI ALTRE
“Posso capire dia fastidio ‘bel culetto’, ma se uno ti dice solo ‘ciao bella’ non è una molestia dai…”
“Non riconoscere il legame tra forme di abuso diverse è un altro modo per nasconderle,” spiega Gasparrini. “‘Bel culetto’ si costruisce su tanti ‘ciao bella’: è lo stesso diritto che qualcuno pretende per sé di parlare del corpo altrui senza consenso. Poi se uso una metafora elegante o un linguaggio volgare, la sostanza non cambia. Voglio in qualche modo ‘possedere’ quel corpo attraverso un atto di potere.”
ATTEGGIAMENTO PASSIVO AGGRESSIVO DI FRONTE A SEGNALAZIONI DI CATCALLING
“Di questo passo non si potrà più dire nulla a voi donne!”
“Generalizzare gli atti linguistici è un altro modo per nascondere quando essi sono abusi,” spiega Gasparrini. “Nessuno vieta agli uomini di parlare delle donne; vogliamo che non abusino di poteri che nessuno gli ha conferito, e che non hanno il diritto di conferirsi da sé.”
NOT ALL MEN, NON TUTTI GLI UOMINI
“Sì ma noi uomini non siamo tutti così! Io non ho mai molestato una donna.”
“Il problema non è se gli uomini sono così o no, il problema è quello che molti uomini fanno,” precisa Gasparrini. “E se fanno schifo, spargono questo schifo su tutti i rappresentanti del genere, perché hanno in comune lo stesso sguardo sulle donne, costruito da solo senza consenso,” conclude il filosofo.
Non si sta insomma dicendo che tutto il genere maschile abbia una colpa—questo è il fattore che spesso fa andare in difensiva gli uomini quando si parla di molestie. Il punto è mettersi nei panni altrui—le donne, in questo caso—e riconoscere di avere un privilegio ereditato per via culturale, in una società che a lungo ha attribuito agli uomini maggiori diritti e opportunità delle donne in diversi ambiti. Con quel privilegio tu ci sei nato, lo hai. Questo non vuol dire che come uomo hai anche ereditato una colpa. Però se non fai niente per cambiare questo sistema di disparità di potere, magari facendo notare ad altri quando attuano comportamenti nocivi, hai quantomeno una responsabilità dentro quel sistema.
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Se sei una donna, molto probabilmente ti sarà capitato nella vita di subire catcalling. Magari ne hai anche parlato con le tue amiche ed è capitato anche a loro. Questo non vuol dire che le molestie per strada non capitino anche agli uomini, ma i dati parlano chiaro sulla specifica componente di genere di questo tipo di molestie, che ricade più sulle donne. Secondo uno studio del 2019 dello UC San Diego Center on Gender Equity and Health su soggetti in USA, a sperimentare “verbal sexual harassment” sono state il 76 percento delle donne e il 35 degli uomini (nel caso di questi ultimi, una delle forme più ricorrenti era data da insulti omofobici o transfobici, dato che ci fa anche capire come il problema riguardi più in generale l’oppressione di tutto ciò che si allontana dallo standard maschile patriarcale).
Le reazioni al catcalling possono andare dalla non-reazione, al reagire a voce verso il molestatore per farsi lasciare in pace; la scelta su come reagire è puramente soggettiva e va ponderata dal soggetto a seconda del contesto, per la propria sicurezza e incolumità.
Il punto è che il modo per affrontare questo fenomeno sociale non dovrebbe essere chiedersi come una donna possa reagirvi al meglio, ma come far capire a quegli uomini che fanno catcalling che si tratta di una molestia.
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