Se anche voi come me siete troppo grandi per giocare ma allo stesso tempo cercate di ritardare il più possibile la continuazione della specie, gli smart toys potrebbero rappresentare un altro buon motivo per procrastinare ulteriormente l’inizio della vostra discendenza.
Attualmente lo stato dell’arte per le grandi compagnie è rappresentato da prodotti come Hello Barbie la nuova versione della celebre bambola di Mattel e il sempre molesto Furbie Boom.
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Furby Boom può apprendere il suono nome, ricordare quello degli altri e interagire in vari modi attraverso la sua app dedicata.
Non bastasse il fatto che acquistare un Furby risveglierebbe inevitabilmente in me il terrore ancestrale di essermi portato in casa dei Gremlins, i timori manifestati dai genitori nei confronti di questi innovativi giocattoli attingono più a classici immaginari orwelliani: gli smart toys per parlare devono essere in grado di ascoltare e per interagire in maniera pertinente memorizzano ciò che ascoltano.
Hello Barbie, ad esempio, sfrutta un sistema sviluppato dalla compagnia ToyTalk che registra le domande poste, invia l’audio ad un server di riconoscimento vocale il quale identifica alcune parole chiave restituendo risposte appropriate. Di certo non è una cosa che mette completamente a proprio agio e un utilizzo consapevole del gioco comprenderebbe il mantenere sotto controllo ogni rivelazione fatta spontaneamente alle bambole.
Gli smart toys sono problematici dal punto di vista della privacy: sono onnipresenti occupando potenzialmente ogni aspetto della vita, tengono traccia di quello che diciamo per un tempo indefinitamente lungo e infine, in questo caso entra in gioco l’intelligenza artificiale, elaborano i dati raccolti cercando di comprendere quanto ascoltano per reagire di conseguenza.
Se volessimo aggiungere altri aspetti di cui preoccuparsi dovremmo ricordare la sicurezza dagli attacchi esterni: in passato si sono già verificati casi di baby monitor hackerati in cui i genitori o i bambini venivano svegliati nel cuore della notte da urla trasmesse attraverso gli altoparlanti oppure è stato dimostrato che la Cayla Doll della Vivid Toy può essere manomessa in modo da farle dire di tutto, anche le parolacce.
Con il dinosauro super colto di CognitToys chi avrà ancora bisogno di consultare Wikipedia?
Guardando invece ai lati positivi l’integrazione delle tecnologie informatiche nei giocattoli può contribuire al progresso: alcune compagnie come Leka progettano smart toys pensati per aiutare i bambini autistici pare, infatti, che in alcuni casi per chi soffre di questi disturbi sia più facile interagire con gli oggetti che con le persone e questo può essere sfruttato in maniera costruttiva a fini terapeutici.
Altri, come Justyna Zubrycka e Matas Petrikas, mirano a costruire smart toys che seguano principi etici come Avakai una bambola di legno che può comunicare con una app o con le altre bambole attraverso Bluetooth fino ad una distanza di 50 metri. Le bambole non includono videocamere, i trasferimenti di dati sono criptati e non vengono comunicati a terzi. La loro raccolta fondi su Kickstarter non è andata bene, ma i nostri hanno deciso di rendere comunque disponibili i loro prodotti attraverso il loro sito.
I bambini che potranno crescere con questi giocattoli sono da invidiare, avranno l’occasione di interagire sin da piccoli con delle forme di intelligenza artificiale e chissà ma il loro rapportarsi con i bambini non riesca a contribuire direttamente all’evoluzione delle tecnologia: in fondo, perché i robot non dovrebbero avere il diritto di giocare come tutti gli altri?
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