La proliferazione di contenuti video online, pensati per spingere le hit, è diventata ormai una costante. Una costante di cui non solo non si potrà più fare a meno, ma che è diventata sempre più decisiva da quando anche YouTube gioca un ruolo cruciale nell’influenzare le classifiche di vendita. Tutto ciò pesa enormemente sulle spalle dei produttori e dei registi di video, che si vedono costretti a produrre materiali sempre nuovi, ma che restino pur sempre calibrati sui gusti del mercato. Non si direbbe, ma i risultati sono molto spesso più stupefacenti del previsto.
Provate a guardare quel che succede per esempio nel video di “Geko”, un pezzo del producer olandese Oliver Helden. L’autore si fa chiamare Kidshow, ma il nome cela in realtà due registi importanti: Andrei Schwartz e Sam Jones. Il video inizia riprendendo tutti gli stilemi della classica commedia leggera e familiare, ma si trasforma presto in un bordello allucinante con incesti, porno tentacolare e un cazzo di gattino dorato (presente quelli cinesi che muovono la zampa?) che compare di tanto in tanto e che ti fissa minaccioso. È roba bella sul serio, dateci un’occhiata.
“È andata così. Ci hanno contattato i produttori della Warner perché volevano che il video di quel pezzo avesse qualcosa di mai visto. Insomma, volevano vedere qualcosa che non ti aspetteresti di vedere in un video.” ci ha spiegato Andrei. “Devo dire che mi stupì scoprire che una richiesta del genere veniva proprio dalla Warner. E non ti nego che la cosa mi impauriva anche un po’.” Ecco, vedere che una richiesta del genere sia stata formulata proprio da una major, secondo me spiega efficacemente la natura del nostro tempo. “Capisci, la Warner ci aveva dato dei margini per poter fare ricerca con la video art, per provare a fare qualcosa di nuovo.” ci ha raccontato Sam, l’aiuto regista. “Per ispirarci abbiamo guardato un sacco di video di Aphex Twin e di Fatboy Slim. Quelle cose ci hanno influenzato molto, anche se forse, vedendo il risultato finale, non si direbbe proprio.”
Che il video di “Geko” sia qualcosa di diverso, be’, non ci sono molti dubbi. “Geko” è solo l’ultimo di una serie di video di brani dance che si misurano con concetti (visivi e no) completamente anomali per quell’orizzonte. È il caso, per esempio di quella specie di mangianastri impiantato nel corpo del protagonista di “Need U” di Duke Dumont; oppure delle teste che si sostituiscono ai piselli dei personaggi del video di “Big Bad Wolf” (Duck Sauce). Una delle ragioni che hanno portato a questo cambio di registro può essere individuata nella crescente disponibilità di macchine da presa ad alta risoluzione ma a bassissimo costo. Ora che tutti sono in grado di fare video carini, la vita si complica un po’ per i registi professionisti.
“Questo progetto per la Warner ci ha spinto a lavorare tantissimo e a produrre idee completamente fuori di testa.” ci ha detto poi Sam. “Sapevamo perfettamente cosa stavamo facendo. Volevamo che ne uscisse qualcosa di nuovo, di mai visto. Non potevamo permetterci che il risultato assomigliasse ad altre cose.” Andrei è convinto che l’altissima competizione che impone oggi il mercato li abbia spinti a produrre del materiale più preciso e più conciso. “Questo clima ci portava a riflettere in continuazione sulla qualità del nostro girato. Se ogni passaggio fosse davvero indispensabile, o se avessimo potuto girarlo altrimenti.”
Questa nuova forma di intrattenimento multimediale oggi rappresenta, nel bene o nel male, l’orizzonte privilegiato della dance mainstream. Questo però non vuol dire che la vera ricerca o l’innovazione si facciano solamente lì. Un ottimo esempio è quello di cui parlavamo prima: Sofia, che con Cherise Payne ha fatto ballare un gruppo di persone sorde sulle note di “Sleep Sound”. “Per quel che mi riguarda è importantissimo che ci sia una concettualità solida dietro l’immagine,” dice Sofia. “Se così non fosse, le cose sarebbero di certo molto più semplici. Non è detto però che sarebbero più divertenti. Perché? Perché basterebbero poche immagini per accompagnare le sensazioni che un certo brano è in grado di trasmetterti.”
Sam, invece, ha un’altra visione della cosa: “A me interessano le cose meno strane e, perché no, un po’ meno spinte. Solo mi chiedo se un video musicale rappresenti il mezzo più efficace per questo tipo di video art. Mi capita spesso di vedere costruzioni più contemplative e in certi casi la concettualità riesce a rappresentare un pezzo molto bene. La maggior parte di questi video però sono di una noia mortale. Ecco, io credo che fare quel tipo di cose non basti. Agli spettatori, oggi, servono esperienze più forti.”
Ora, non ci sono dubbi sul fatto che esistano divergenze d’opinione tra chi segue prodotti mainstream e chi si occupa invece di musica indipendente. Detto questo c’è anche chi ha rinunciato da un po’ di tempo all’innovazione per dedicarsi a produzioni perfettamente in linea con i gusti e le idiosincrasie del mercato. Prendete il video di “Nobody To Love” di Sigma e avrete davanti agli occhi un caso esemplare del filone spiaggia-sole-mare-sole-tramonto-fighe. Insomma, la versione 2014 di “Boys of Summer” di DJ Sammy. Bene, se c’è una cosa evidente è la facilità con cui si può riassumere l’immaginario di Sigma. Bastano poche parole: “figa e impronte sulla sabbia”. Ben diverso invece è il caso di “Geko”, dove la complessità di pensiero, dell’immagine e del suono è un vero e proprio elemento differenziante. “L’universo che abbiamo cercato di evocare in questo video chiama in gioco concetti decisamente complessi. È come se fossimo su una piastrina da microscopio, siamo sotto esame, l’unica cosa che conta in questo caso è portare al limite estremo il concetto di partenza.”
Alla domanda legittima “che ne sarà della musica dance tra cinque anni”, credo che nessuno sia in grado di rispondere. Con la rivoluzione di YouTube che ha toccato da vicino anche le produzioni più commerciali, i gusti, gli obiettivi e (quindi) i risultati sono stati ampiamente riposizionati. A tutto ciò si aggiungono poi un sacco di limitazioni e una concorrenza sempre più spietata e opprimente. Questo però non vale per la scena indipendente, che continua a essere in grandissima forma.
I Plaid, che sono ormai dei veterani della Warp, hanno creato di recente un’applicazione web per lanciare il loro nuovo brano “Thether”. L’idea è quella di creare un’interazione tra la traccia e l’ascoltatore, che può interpretare graficamente le complicate linee ritmiche e melodiche del pezzo. Ben Dawkin invece ha pubblicato di recente un corto intitolato Dealer, che altro non è che il racconto di una notte a Londra in compagnia di uno spacciatore. Dawkin racconta che l’ispirazione per questo progetto, gli è venuta ascoltando “Rival Dealer” di Burial. L’idea è interessante e mostra con efficacia come i video, se realizzati con attenzione e con i giusti mezzi, possano contribuire ad ampliare l’orizzonte di senso della musica.