“Sono l’imperatrice di me stessa” sembra affermare Lorely Rodriguez, in arte Empress Of, musicista di Brooklyn il cui debut, Me, esce domani per Terrible Records, casa di Blood Orange, Solange, Twin Shadow e Kindness, tra gli altri (ma potete ascoltarlo già in streaming via Hype Machine). Beat che si avvicinano all’universo Fade To Mind/Night Slugs-esco di Kelela, voce tra le astrazioni di Bjork o FKA Twigs, concretezza da club tipo Jessy Lanza, elementi pop à la Purity Ring e sguardo ambizioso verso le gigantesse della musica, come le sorelle Knowles—da qui forse il moniker da training autogeno Empress Of: sono l’imperatrice di tutto quello di cui voglio esserlo.
Le prime apparizioni di Rodriguez risalgono al 2012, con la splendida serie Colorminute—tracce di un minuto abbinate a colori, uscite su YouTube—in cui tutto era concentrato soltanto sulla voce e sul lato più sperimentale e rarefatto delle produzioni, tanto che i richiami a Björk erano più evidenti, rispetto al suo album. Una presentazione totalmente priva di connotazioni: nessuno aveva idea di come fosse fatta Empress Of, di chi fosse, da dove venisse.
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A questo seguì un EP, Systems, uscito nel 2013 sempre per Terrible Records, in cui Rodriguez decise di dare omaggio alle proprie origini Hondureñe e cantare due pezzi in spagnolo, tra cui “Tristeza,” che fu remixata da Pional, El Guincho e Delorean, come se a dare il benvenuto a questa nuova voce dell’R’n’B contemporaneo fossero proprio membri di una comunità di matrice ispanica, che già allora la elessero imperatrice di una precisa regione di produzioni elettroniche.
I critici accolsero Systems paragonando il lavoro di Rodriguez a quello di un’altra voce ai confini del pop di quel momento, Grimes. Ma il lavoro di Empress Of era destinato a discostarsi da quel tipo di estetica, cosa che si vede bene in Me, album che già dalla cover art si localizza più in un territorio intimo, cantautorale—con una foto in bianco e nero che richiama quella di Horses di Patti Smith.
Rodriguez ha più volte dichiarato l’importanza che dà ai testi, il peso conferito ad ogni parola, che lei desidera sia limpida e definita e arrivi in maniera diretta a chi l’ascolta, così come desidera arrivino le sue storie. E qui si ritorna al titolo scelto per il suo debut, scritto, registrato e prodotto unicamente da lei nei 10 mesi passati in Messico, il che le ha permesso di vivere un’ispirazione liminale tra le sue origini e le sue abitudini acquisite nella Grande Mela.
Parecchi dei pezzi contenuti nell’album, oltretutto, sono riferiti al rapporto di Rodriguez con se stessa, come “Need Myself,” il primo pezzo che ha scritto per l’album, che ruota attorno al concetto di isolamento e indipendenza, tra una dichiarazione d’intenti, un’ammissione di colpe e una volontà di potenza, che Rodriguez tenta di estendere, almeno nelle sue intenzioni, anche ad altre ragazze, ma in un modo molto più sottile e delicato rispetto alle roboanti dichiarazioni di femminismo delle grandi dive del pop.
Questo suo carattere liminale non significa che Me sia un compromesso, anzi, è più una ricerca individuale e personalissima che riesce a collocarsi spontaneamente nella piega da cui nascono i lavori più interessanti di questo momento in cui distinguere pop da ricerca sperimentale non ha alcun senso.