All’inizio dell’ultimo decennio, mentre gente come Chief Keef poneva le basi per la più grande evoluzione del rap dei nostri giorni, un gruppo abbastanza eterogeneo di artisti prendeva una strada totalmente diversa per creare un’alternativa percorribile per questo genere musicale. Odd Future, Action Bronson, Danny Brown, A$AP Rocky, ScHoolboy Q, Kendrick Lamar, Mac Miller e Vince Staples (la lista potrebbe proseguire), senza un’apparente missione condivisa, hanno preso ciò che più ritenevano interessante dall’old school e dalle nuove tendenze e hanno costruito una branca dell’hip hop tuttora molto florida, molto difficile da catalogare e che sta circa a metà fra MF Doom e Lil Wayne.
Quasi tutti questi rapper negli anni sono cambiati molto: Tyler, The Creator ha sostituito i gatti e la violenza con i fiorellini e il neo-soul, Kendrick è diventato il guru del conscious rap, Action Bronson sembra sempre più interessato alla cucina e ai programmi TV e sempre meno alla musica, Mac ci ha lasciati. Se però ce n’è uno che ha avuto un percorso di crescita del tutto coerente, quello è sicuramente ScHoolboy Q e il suo ultimo lavoro CrasH Talk sembra rappresentare proprio il disco della maturità.
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Il rapper di Los Angeles, insieme ai colleghi di etichetta K-Dot e Ab-Soul, è stato un elemento cruciale per il successo della Top Dawg Entertainment e con la chiusura dell’accordo tra la casa discografica californiana e il gigante Interscope nel 2014 è arrivo il suo esordio su major Oxymoron. Quel disco mostrava al mondo tutto il potenziale di Q come artista: il singolo “Break The Bank” è a mio avviso uno dei più bei pezzi rap degli ultimi anni e non a caso una parte del testo recitava “tell Kendrick move from the throne, I came for it”. Due anni dopo è stata la volta di Blank Face LP, il suo progetto più ambizioso a livello di promozione, featuring e anche di numero di brani.
La trilogia si chiude con CrasH Talk, che dei tre è forse il disco più orecchiabile, quello che potrebbe intrattenere dall’inizio alla fine anche qualcuno che non è mai stato un grande fan di ScHoolboy Q. Il suo autore ci è arrivato all’età di 32 anni, con una figlia di 10 anni che partecipa attivamente alla sua carriera e, a detta sua, superando una fase depressiva grazie al golf e ai videogiochi (“n***a gotta hit the golf course to get a peace of mind”, suggerisce nella seconda strofa di “CrasH”). In questa presa di coscienza le responsabilità di padre si intersecano a quelle di un artista che deve affermarsi per poter lasciarsi alle spalle il proprio passato e per dare un futuro alla sua famiglia. Questo tema diventa centrale da subito durante l’ascolto, già dai primi due brani: il gangsta rap di “Gang Gang” viene analizzato in maniera più profonda in “Tales” e dalla celebrazione del criminale che ce l’ha fatta si passa in modo molto naturale alle possibili conseguenze negative di questo stile di vita (“probabilmente mancherò al funerale di mia madre, mia figlia farà la puttana, perché l’uomo di casa non è più l’uomo di casa”).
La maturazione di Q, però, non si materializza solamente attraverso la sua dichiarata volontà di migliorarsi come essere umano, ma anche e soprattutto attraverso una nuova consapevolezza del suo valore come rapper. Leggendo i riconoscimenti della tracklist di CrasH Talk salta subito all’occhio una differenza sostanziale nella scelta dei featuring rispetto ai precedenti due dischi: se in Oxymoron e Blank Face l’idea era quella di circondarsi di giganti come Kanye West, Raekwon e Kendrick (qui presente solo nei cori e negli ad-lib) per sembrare più alto, gli ospiti di questo album (Travis Scott, 6LACK, Ty Dolla $ign, YG, 21 Savage, Kid Cudi e Lil Baby) lavorano tutti in funzione del protagonista, enfatizzando i suoi punti forti e intervenendo solo quando è necessaria una voce più melodica o semplicemente diversa. Liberatosi di quel possibile senso di inferiorità ScHoolboy Q può finalmente concentrarsi su ciò che gli riesce meglio, che in inglese si direbbe spitting e ogni termine italiano sarebbe riduttivo. Va anche detto che a fare da sfondo all’ottimo stato di forma del rapper ci sono dei beat decisamente all’altezza, grazie soprattutto al lavoro di DJ Dahi che riesce ad alternare il boom bap alla trap e ad aggiungerci pure un riff di chitarra à la Soundgarden (“Dangerous”).
Non so voi, ma se superati i 30 anni dovessi sentirmi un po’ giù le prime cose che farò saranno comprarmi l’ultima PlayStation e iscrivermi al golf club più vicino a casa. Se i risultati sono questi direi che vale la pena provarci.
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