Questo è un articolo scritto anni fa, lo ricondividiamo per festeggiare il trentesimo compleanno di Repeater dei Fugazi—un album fondamentale per la sua era, ma anche per la nostra.
Nel 1988 Ian Mackaye cantava “Non puoi più essere ciò che eri”. Lo faceva nell’EP che si chiamava come il suo gruppo, Fugazi, e probabilmente aveva in mente i fan che si aspettavano ripetesse quello che aveva fatto con le sue band precedenti: Minor Threat, Rites Of Spring ed Embrace. Ma potremmo anche applicarla ai Fugazi del 2002, pronti a iniziare il loro ultimo tour americano-europeo con quindici anni di carriera condivisa alle spalle.
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Nel corso di sei album, tre EP e più di mille concerti, la musica dei Fugazi si era evoluta parecchio ma non era cambiata la loro etica. La loro era un’impostazione culturale fatta di biglietti a prezzi bassi, concerti in location non convenzionali e l’impegno a fare sì che i membri del pubblico si rispettassero a vicenda.
Biglietti a prezzi bassi, concerti in location non convenzionali e l’impegno a fare sì che i membri del pubblico si rispettassero a vicenda.
Gli ultimi concerti dei Fugazi, gran parte dei quali sono stati pubblicati nella Fugazi Live Series—un archivio digitale di più di ottocento registrazioni live, acquistabili a cinque Euro l’una—furono un crescendo di intensità e offrirono un piccolo spiraglio di come la band avrebbe potuto continuare a evolversi se nel 2003 non fosse entrata in un letargo a tempo indeterminato.
Quindici anni di tour li avevano trasformati in un commando sonoro compatto e potente. Brendan Canty alla batteria e Joe Lally al basso formavano una macchina ritmica impeccabile e implacabile, influenzata dal go-go, dal funk e dal reggae, costruendo le fondamenta su cui i due chitarristi/cantanti Guy Picciotto e Ian Mackaye intrecciavano le loro melodie aspre, miscelando tonalità pulite e brillanti a fortissime esplosioni di urla e rumore.
Dal vivo i pezzi mutavano spesso: una svisata ritmica di qua, un riff aggiunto di là… il che rendeva ogni performance diversa dalle altre. Quello che però faceva davvero la differenza erano le interazioni tra la band e il pubblico. Fin dai primissimi anni, i Fugazi avevano la fama di quelli che rimproveravano in malo modo i membri più aggressivi della platea, cercando di fornire a ognuno uno spazio sicuro in cui godersi il concerto.
Di solito si limitavano a parlare, ma spesso arrivavano anche a soluzioni più drastiche, come durante un concerto del 1995 a Peoria, Illinois, quando, dopo essersi fermati diverse volte a causa di risse tra il pubblico, chiesero a tutti di sedersi a terra e isolare quelli che stavano creando problemi in modo da farli pogare da soli, finché non si sentirono troppo in imbarazzo e se ne andarono.
Chiesero a tutti di sedersi a terra e isolare quelli che stavano creando problemi in modo da farli pogare da soli, finché non si sentirono troppo in imbarazzo e se ne andarono.
Gli album della band erano pieni di canzoni politiche che hanno conservato tutta la loro forza: da “Suggestion” un pezzo del primo EP che parla di violenza sulle donne e delle sue cause, a “Five Corporations” (da End Hits, del 2008) che se la prende con la crescente influenza mondiale delle multinazionali. Per non parlare poi del loro ultimo album, The Argument uscito nel 2001 un mese dopo l’11 settembre, e dei concerti successivi, tenuti in quell’assurdo anno che fu il 2002, in attesa dell’invasione dell’Iraq, che sarebbe avvenuta nella primavera del 2003.
MacKaye e Picciotto impegnavano il tempo tra una traccia e l’altra a parlare di patriottismo, gentrificazione e della progressiva militarizzazione della polizia americana. Tutta roba che oggi ha tanto valore quanto ne aveva nel 2002. Si espressero contro il primo presidente Bush con un leggendario concerto di protesta di fronte alla Casa Bianca e undici anni dopo, ad Asheville, North Carolina, Mackaye pronunciò le seguenti parole: “In questo esatto momento, qualcuno sta sganciando enormi esplosivi metallici su altri esseri umani, in tutto il mondo. In questo esatto momento, c’è un dibattito che infuria. In questo esatto momento, non ci viene permesso di dire ad alta voce che la guerra è un errore e un male, e che il patriottismo è una cosa schifosa. Per essere patriottici bisogna supportare la violenza e il male che oggi vengono incoraggiate in tutto il mondo. Per cui, contatemi pure tra gli anti-patriottici.”
“Per essere patriottici bisogna supportare la violenza e il male che oggi vengono incoraggiate in tutto il mondo. Per cui, contatemi pure tra gli anti-patriottici” – Ian MacKaye
Insomma: i Fugazi parteciparono a diverse manifestazioni che invocavano la fine delle azioni militari americane, durante un periodo in cui tutta la nazione suonava i tamburi di guerra. A Harrisonburg, Virginia, MacKaye descrisse così la manifestazione che si teneva a Washington due settimane dopo l’attacco aereo:
“La polizia si è comportata ignobilmente, ma questo fa parte della situazione con cui ci stiamo confrontando,” disse. “Sono incazzati con noi, e hanno delle tute da astronauta che costano milioni di dollari e gli servono a rapportarsi con altri esseri umani. Non so se stavano semplicemente mettendo alla prova il loro equipaggiamento o che altro, di certo c’è solo che hanno riempito di botte un sacco di gente senza alcun motivo.”
Facendo un salto di anni, è facile rendersi conto che in ogni momento storico c’è una linea netta da tracciare tra cosa va e cosa no, non solo per quanto riguarda l’instabilità gepolitica dell’Europa dell’est e del Medioriente, ma anche per quello che sempre più spesso succede per le strade d’America e d’Europa.
Pensiamo alle morti di Michael Brown a Ferguson ed Eric Garner a New York: ovunque siano stati commessi omicidi di questo tipo, la risposta delle forze dell’ordine alle ovvie proteste che ne sono seguite, è stata terribilmente simile a quella descritta da MacKaye nel 2002. Non solo: la guerra e la brutalità della polizia sono oggi legate al problema dei soprusi di classe rappresentati dalla gentrificazione, dal rapporto conflittuale tra la necessità abitativa e i mercati immobiliari.
“In ogni momento storico c’è una linea netta da tracciare tra cosa va e cosa no.”
Esiste un’intervista in cui Dave Grohl si è lamentato di come stesse cambiando il paesaggio di Austin, Texas. MacKaye lo aveva già presagito nel 2002, pronunciando le seguenti parole sul palco: “Questo pezzo parla del fatto che gli esseri umani sono persone fisiche che hanno bisogno di un posto in cui esistere. Per cui, parla di tutti quei posti in si sta facendo un gran casino a forze di sviluppo forzato dei quartieri, della gente che viene cacciata di casa, degli attivisti che stanno provando a salvarli e di chi ci guadagna. Comunque la mettiate, c’è della gente che finirà per subire tutto questo”.
Disse qualcosa di molto simile anche ad Asheville, una città in cui la disparità di reddito ha generato un’emergenza abitativa enorme. Lo spazio in cui hanno suonato i Fugazi all’epoca ora ospita un martini bar.
Lo spazio in cui hanno suonato i Fugazi all’epoca ora ospita un martini bar.
Oltre a questo, neanche le politiche del music business sono state risparmiate dall’assalto dei Fugazi. Il loro modo di rapportarsi al mercato consisteva nell’imporre che il biglietto d’ingresso fosse inferiore ai dieci dollari e che si cercasse di evitare i club commerciali in favore di location alternative. A Huntington, West Virginia alla band capitò di aiutare un promoter alle prime armi a trovare all’ultimo minuto un posto dove tenere il concerto, dato che quello originalmente previsto era stato appena chiuso dalla polizia.
La label da loro fondata, Dischord, aiutò a tenere in vita il principio punk del DIY. Oggi, invece, l’industria musicale sembra essersi sia avvicinata che allontanata da quel modello. Lo streaming ha reso più semplice l’accesso alla musica, ma anche reso più difficile ai musicisti l’accesso ai profitti derivati dai loro dischi.
Allo stesso tempo, è più semplice fare arrivare la musica ai propri fan senza mediazioni. Ci si chiede comunque tutti da tempo se i Fugazi torneranno mai dalla tomba: la FAQ di Dischord lascia la possibilità aperta, ma gli attuali progetti dei vari membri non sembrano lasciare spazio per una reunion. Dobbiamo considerare la Live Series come un modo di sopperire alla loro assenza, di affermare l’importanza di una musica che, da quando hanno smesso di suonarla, ha acquisito più senso di quanto ne abbia perso.
Il pensiero di chiusura è sempre di MacKaye, e viene dall’ultimo concerto in assoluto dei Fugazi: “Ve lo posso quasi garantire, tra quindici anni ci chiederemo: ‘Cosa è successo? Cosa abbiamo fatto? Ci sono barricate ovunque e uno sbirro a ogni angolo, cosa ne è stato di noi?’”