Nel 2015, l’irlandese Claire Cullen-Delsol, già madre di due bambini, ha scoperto di essere incinta della terza figlia. Le ecografie hanno poi rivelato che il feto era affetto da una rara malattia cromosomica, la sindrome di Patau. Le probabilità di sopravvivenza dopo la nascita erano nulle; molto probabilmente, la morte sarebbe sopraggiunta nel grembo materno. Dopo aver ricevuto la diagnosi, Cullen-Delsol ha deciso che avrebbe preferito interrompere la gravidanza.
Tuttavia, la legge irlandese, all’epoca dei fatti, proibiva l’aborto in qualsiasi circostanza, tranne nei casi di pericolo per la vita della madre [a fine 2018, l’Irlanda ha legalizzato l’aborto].
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In seguito alla sua esperienza traumatica, Cullen-Delsol è diventata una attivista pro-scelta. Qui riportiamo alcuni estratti dal diario che ha tenuto durante la terza gravidanza, ristampati con il suo permesso—e ripostati dalla redazione italiana in occasione del dibattito sul diritto all’aborto sollevatosi nuovamente dopo l’approvazione, in Alabama, di una norma altamente restrittiva.
13 agosto 2015
È una bella giornata di sole. Torno a casa dal lavoro per andare a prendere Wayne, mia madre e i bambini prima di andare al Waterford Hospital per l’ecografia.
Prima l’ostetrica mi porta nella stanza da sola per i controlli di base. Facciamo due chiacchiere per quella che sembra un’eternità prima che le chieda, in maniera sbrigativa, se tutto sembra a posto. “No,” risponde in maniera diretta. “Devo ricontrollare una cosa.”
Dopo pochi minuti inizia a indicare con gentilezza e calma delle enormi cisti sulla placenta e delle ossa mancanti sulla faccia del bambino. Parla di problematiche legate allo sviluppo cerebrale. Le chiedo di andare a chiamare mio marito. Mia madre porta i bambini al bar dell’ospedale mentre aspettiamo una seconda ecografia.
Mentre ci sediamo in silenzio in una stanza con un altro apparecchio Wayne mi stringe le mani. Quando l’ostetrica mi fa di nuovo l’ecografia, studio per bene la sua faccia. Fa notare altre cose: fessure bilaterali, cervelletto sottosviluppato, cisti placentare, ventre non osservabile, problemi ai reni e alcune macchie sul cuore.
Ascolto terrorizzata. Finalmente finisce, e ce ne andiamo con la richiesta per una visita con uno specialista in medicina fetale.
A casa, cerco su Google “anomalie cromosomiche.” Leggo: “Alta mortalità nel primo mese. Pochi neonati sopravvivono al primo anno. Incompatibile con la vita.”
Voglio morire. Non so come affrontare tutto questo. La mia piccola potrebbe non arrivare in questo mondo, potremmo perdere una figlia.
15 agosto 2015
All’ospedale, il dottore è schietto e diretto. Concorda con alcune delle prime constatazioni dell’ostetrica: il ventre, le cisti, l’estensione del labbro leporino. Si riserva di giudicare se si tratti di un disturbo cromosomico. Faccio l’amniocentesi e andiamo a casa ad aspettare. Mi aggrappo alla speranza.
21 agosto 2015
Giornata lunga e stressante. Aspettiamo i risultati dell’amniocentesi, ma nessuno chiama. Dovremo aspettare fino a lunedì. Tutto questo mi distrugge. Sono esausta perché non riesco a dormire e sto iniziando a vedere i segni dello stress anche sul volto di Wayne. Sarà un weekend difficile.
23 agosto 2015
Sono stufa della gente che mi dice di pensare positivo o di toccarmi la pancia.
24 agosto 2015
Mi sveglio piena di speranza, anche se ho dormito molto poco. Mi faccio la doccia e mi trucco anche. Mi distraggo facendo shopping. Alle 15 finalmente chiamo l’ostetrica. Non ci sono buone notizie. € la sindrome di Patau, il che significa che nostra figlia ha tre copie del cromosoma 13 in ogni cellula del corpo. Non è compatibile con la vita e il normale sviluppo nell’utero. Tutta la mia vita va in pezzi. Afferro la mano a Wayne mentre crolla a terra. Dopo che ho pianto tutte le lacrime che avevo, ci sediamo in un silenzio attonito.
Iniziamo a dirlo alla gente. Non posso sopportare di sentire la voce di mia madre quando le viene detto che la sua nipotina morirà, così è Wayne a chiamarla. Mando un messaggio a mio fratello. Non riesco a parlare con nessuno.
Non riesco a descriverlo. Il dolore e la perdita sono così totali da sembrare un peso di piombo. Provo letteralmente a togliermelo di dosso. “No,” urlo. Ci stringiamo l’un l’altro un po’ di più, poi cominciamo a preparare per i bambini che tornano a casa. Quando arrivano, cerchiamo di fare finta di niente.
Guarda anche il nostro documentario su Verona e la manifestazione contro l’aborto:
25 agosto 2015
Il dottore spiega molto chiaramente e pazientemente la sindrome, i suoi esiti e le nostre opzioni. La bambina non vivrà. Possiamo aspettarci un aborto tardivo o che nasca morta o, se la gravidanza va a termine, darò alla luce una neonata che morirà durante il travaglio o subito dopo.
Non possono esserci interventi precoci. Qualsiasi azione per farmi andare in travaglio sarebbe considerata un’interruzione ed è illegale ai sensi dell’Ottavo Emendamento irlandese, che proibisce l’aborto in qualsiasi circostanza tranne che per salvare la vita della madre. Il medico non fa menzione dell’opzione di andare all’estero fino a quando non glielo chiedo. Mi dice che l’ospedale sa che all’ospedale per le donne di Liverpool il livello di assistenza è ottimo, ma non possono mandarmici. Devo organizzare tutto da sola.
Sono arrabbiata. Sono solo di 22 settimane. Dovrò rimanere incinta per almeno altre 15 o 16 settimane. Dovrò fare nascere e poi perdere mia figlia. Nel frattempo dovrò andare al lavoro, portare i bambini a scuola e subire tutte le attenzioni che vengono riservate alle donne incinte. “Quanto ti manca?” mi chiederà la gente. Non ce la faccio.
Ma come faccio a andare a Liverpool, dove potrebbe volerci anche una settimana? Lasciare i miei figli con famiglia e amici, andare a Liverpool, partorire una bambina morta, dirle addio, e poi tornare su un aereo e aspettare che le sue ceneri arrivino per posta?
La sua vita vale più di questo. Ma anche la mia. Come possono i suoi diritti e i miei essere uguali ai sensi della legge irlandese? Non ha mai avuto la possibilità di vivere. Ogni cellula del suo corpo aveva un difetto minuscolo e catastrofico, e lei non avrebbe mai potuto sopravvivere al di fuori del mio corpo.
“Sono una donna adulta. Ho dei figli, un marito, amici, un lavoro. Com’è che tutto questo è in qualche modo uguale a un battito cardiaco senza speranza in un corpo morente?”
26 agosto 2015
Oggi ho dovuto dire a mia figlia Carla che la sua sorellina sarebbe morta. È stato il momento più difficile della mia vita. La sua faccia si è corrugata e ha chiesto se c’è qualche speranza.
Ho un altro appuntamento in ospedale. L’ostetrica mi guarda negli occhi e mi dice quanto le dispiace. Il dottore entra e mi dice che non ci sono buone ragioni mediche per farmi proseguire la gravidanza, ma non ci sono alternative.
Più tardi vado in centro, quel giorno, a comprare dei libri di scuola. Ma ho un’altra crisi in pubblico. So che non sarò mai in grado di affrontare il viaggio a Liverpool. Riesco a malapena a portare i bambini a scuola. Non riesco ad andare al supermercato. Il solo pensiero mi fa tremare di paura. Dovrò aspettare.
10 settembre 2015
Faccio incubi sul travaglio e sul parto da giorni. Mi sveglio piangendo. Non riesco a sentire la bambina muoversi. Niente. Verso le 6 del mattino sento qualcosa. Piango di sollievo e paura.
11 settembre 2015
Un’altra nottata. Rimango sveglia a cercare su Google “induzione dopo la morte del bambino,” e “prepararsi per partorire un figlio morto”. “Travaglio con un bambino morto.” Che aspetto avrà la mia bambina? Potrò tenerla? Baciarla? Quante altre notti dovrò patire, chiedendomi se sia morta?
12 settembre 2015
Wayne è al lavoro quando mi chiama mia mamma. “Sto arrivando,” dice quando sente la mia voce. Quando arriva sono sul pavimento. I bambini stanno cercando di consolarmi, ma sono nel panico. “Perché non ti aiutano [i dottori]?” mia madre chiede quando mi vede. “Non possono lasciarti così! Davvero lasciano che le madri vadano in pezzi per il bene di un bambino che non vivrà?”
Sì, lo fanno. Lo stanno facendo.
17 settembre 2015
Mi vedo con l’ostetrica. Mi dice che mi accorgerò quando la bambina sarà morta. Spiega come sarà l’induzione. Quali soluzioni per il dolore sono disponibili. Parliamo di bare. Vestitini da neonati. Di come impedire al mio latte di fluire. Se voglio che la bambina sia seppellita o cremata. La mia bambina.
21 settembre 2015
Carla sente la bambina scalciare per la prima volta. È il suo primo vero calcio da settimane.
23 settembre 2015
Se n’è andata. Ha sofferto? È stato veloce o lento? Le cisti sulla placenta l’hanno privata dei nutrienti e dell’ossigeno? L’accumulo di liquidi era troppo per il suo cuoricino? Il problema genetico ha impedito che si sviluppasse oltre?
25 Settembre 2015
Alex Patricia Cullen-Delsol è nata il 25 settembre 2015. Era poco più di 700 grammi. Era bellissima, imperfetta e immobile. Completamente immobile.