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Durante la pandemia, alcuni influencer sono più ridicoli del solito

Secondo alcuni, il coronavirus ha spazzato via il mercato degli influencer—forse per sempre.
influenceur coronavirus instagram
Foto di Athena Kavis.

Seguita da più di un milione di persone, e già accusata dal giustiziere della moda @dietprada per il numero sospetto di like e commenti, recentemente l'influencer americana Arielle Charnas è stata travolta dall'ira dei suo stessi follower.

Dopo la scoperta di essere risultata positiva al coronavirus tramite un tampone procuratole da un amico medico, Charnas non solo lo ha annunciato in pompa magna, ma ha aggiunto dell'altro: alla ricerca disperata di contenuti ha pubblicato selfie in cui baciava i suoi bambini, e successivamente ha comunicato che avrebbe lasciato New York, focolaio dell’epidemia negli USA, per confinarsi in una residenza negli Hamptons, portando con sé la sua babysitter e ignorando platealmente le misure sanitarie.

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Se l'escalation tragicomica evoca dei meccanismi ben noti a chi si interessa un minimo all’universo influencer e ai suoi modi di comunicare (scivolata seguita da un video lacrimoso, con scuse contrite annesse), sembra aprire un dibattito su un fenomeno più ampio, che pone Arielle Charnas come il simbolo sacrificale di un possibile declino annunciato degli influencer.

Dall’inizio dell’epidemia, i social hanno svelato lo scollamento dalla realtà di molte delle loro star consacrate: in un periodo in cui i comuni mortali fanno fatica a farsi fare un tampone e temono di non poter pagare l’affitto, c’è una qualche forma di indecenza nel continuare a vendere bibitoni dimagranti e frullati proteici. Un'indecenza che non sfiora particolarmente certi influencer, che dai loro appartamenti spaziosi continuano a bombardare i follower con codici promozionali e sorrisi smaglianti (falsi).

Altri, cercando di non farsi schiacciare dal cambiamento, affrontano il calo di attenzione inventandosi di tutto, perché un giorno senza pubblicare nulla si traduce in una conseguente mancanza di guadagno futuro.

Da una parte niente più shooting all’aria aperta né visite virtuali di camere d’hotel ai quattro angoli del pianeta; massicce riduzioni di “Hello guys, ho appena ricevuto il mio ordine” (un ordine non implica il pagamento, peraltro?); la quasi totale sparizione dei #gifted e degli unboxing, delle pietanze dentro piatti lussuosi dei ristoranti, delle prestazioni live di chirurgia estetica.

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Dall'altra, alcuni si reinventano chef stellati e consigliano ogni giorno decine di ricette, non senza una menzione al loro ristorante preferito—il business lo impone. Altri si danno ai #tbt di viaggi passati, con multihashtag della serie #WaitingForBetterDays, o annunciano live per qualsiasi cosa e pubblicano sondaggi volti a creare dell’engagement, graal di ogni imprenditore digitale che si rispetti.

Non mancano i vecchi trucchi: le domande/risposte presumibilmente volte a interagire con la propria community ( "Che contenuti vorreste sulla mia pagina in questi giorni, tesori?"); e il sempiterno "Siete stati in tantissimi a chiedermi dove ho preso il mio epilatore/piastra/bikini modellante, vi lascio il codice col dieci percento di sconto."

C’è una gioia perversa e vendicativa nei commenti aspri di chi predice la loro fine imminente, trasportati dalla speranza illusoria che il dramma mondiale del coronavirus chiuda le porte a un sistema basato sulla corsa al profitto: alcuni gioiscono all’idea che gli influencer debbano trovarsi “un vero lavoro”, mentre altri si interrogano sulla forma che assumeranno un domani.

Chi sopravvivrà in tutto ciò?

La content creator di lifestyle e bellezza @ludivine, che ha una comunità di più di 160 mila follower, spiega: “Finché la posta funziona e possono inviarmi dei nuovi prodotti, lavoro senza problemi,” spiega. Impattata ben poco dalla "crisi dell’influencing", ha pure firmato dei nuovi contratti con aziende molto più prestigiosi di quelle con cui ha collaborato finora.

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“Anche se non ho niente contro i corsi di yoga e di sport che considero utili, non sono sicura che il fatto di rendere gratuiti dei contenuti che erano a pagamento sia l'idea migliore in un periodo di crisi economica. Del resto, sono abbastanza abbattuta nel vedere che delle donne di 35 anni si abbassino a fare delle sfide TikTok nel disperato tentativo di mantenere l’attenzione della loro comunità, e ancor più scoraggiata nel vedere che tutto ciò funziona in termini di views e interazioni,” continua.

Poi ci sono quelli come @holycamille, che rifiutano l'affannosa corsa alla produzione di contenuti mediocri, e si sforzano di accettare l’inerzia circostanziale del momento. “Prima del coronavirus, avevo già provato a creare dei nuovi format senza troppo successo, forse a causa del mio carattere troppo spontaneo. Se mi ascoltassi non posterei niente in questo momento, mi vedo a condividere delle cose non interessanti solo per fare presenza, tutto ciò non corrisponde alla mia natura. Non mi va di cadere nella trappola dell'influencer che pubblica troppo, e di cui io stessa vado in overdose. Oggi la mia priorità è preservarmi. La mia attività è totalmente in stand-by, e penso sia normale vista la situazione. Pensavo già da un po' che un rallentamento sarebbe stato il benvenuto, e questa crisi sanitaria farà in modo che si realizzi.”

Un'ottica condivisa da Forbes, che lo scorso 6 aprile ha pubblicato un articolo sulla nuova generazione che potrebbe venire dopo questa era della “influencer fatigue.” Se è la bibbia mondiale del business a dirlo…

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