Siamo così nella merda che qualcuno è arrivato a rimpiangere Berlusconi

Silvio_Berlusconi

Aggiornamento del 27 marzo 2019: il 27-28 marzo 1994 si tennero le elezioni politiche, da cui uscì vincitore Silvio Berlusconi. A maggio dello stesso anno fu formato il primo governo Berlusconi. Per l’occasione, riproponiamo questo articolo di inizio anno.

“La libertà è in pericolo, c’è bisogno di intervenire.”

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A prima vista questa citazione potrebbe sembrare la battuta di un fumetto sui supereroi degli anni Cinquanta, invece è l’ennesimo esercizio di sloganismo con cui Silvio Berlusconi, a 82 anni, ha deciso di ri-ri-ri-scendere in campo. A metà gennaio ha infatti dichiarato che—pur avendo un sacco di cose più piacevoli a cui dedicarsi, fra cui 12 nipotini, e un dolore profondo quando ha a che fare con la politica—intende candidarsi alle elezioni europee del prossimo maggio.

Una bella coincidenza, visto che il 26 gennaio ricorre il venticinquesimo anniversario del “discorso alla nazione” con cui si presentò per la prima volta all’elettorato italiano. Oggi come allora, lo fa sfidando un nemico di mercato ben posizionato e identificabile: nel ’94 erano “i comunisti”, nel 2019 sono “i nemici della democrazia”.

Nonostante l’odore persistente di stallatico e la paresi temporale che sovvengono all’idea dell’ennesima campagna elettorale di Berlusconi e delle sue motivazioni, però, a colpire è soprattutto un certo clima che ormai lo circonda da tempo. Il clima della nostalgia.

Esiste infatti un gruppo di personaggi pubblici—giornalisti, politici, intellettuali, conduttori televisivi—che di tanto in tanto manifesta sentimenti di rimpianto per Berlusconi e il berlusconismo. Degli insospettabili, che un tempo assediavano metaforicamente Arcore come fosse la Bastiglia, e che ora guidano le fila di una parte di elettorato italiano di natura eterogenea ma con un malessere comune: il governo attuale. Ovviamente sono in numero minore rispetto ai grillini e ai leghisti, ma ci sono.

Alcuni arrivano a dire che “la sinistra dovrebbe chiedere scusa a Berlusconi“, altri che sarebbero disposti “a firmare col sangue per riaverlo come premier“. Tutti, insieme, tentano strenuamente di fare un paragone: rispetto alla laguna di melma politica in cui ci troviamo adesso con Salvini e Di Maio, meglio il berlusconismo.

E a lasciarsi andare a simili esternazioni non sono solo personaggi pubblici. Quante volte avete sentito dire “almeno Berlusconi…” in questi mesi? Quante persone, dopo l’annuncio sulle europee, hanno detto sorridendo, “Dai , è l’ultima volta che si può votarlo, stavolta per davvero”?

Questa narrazione nostalgica, e i suoi paragoni, sono fondati su concetti fissi e ricorrenti: Berlusconi era quel che era, ma almeno possedeva una certa dignità istituzionale mentre questi di ora sono solo dei buffoni; Berlusconi era quel che era, ma almeno proveniva da un’esperienza imprenditoriale di successo; Berlusconi si arruffianava le casalinghe di voghera, ma il livello di populismo becero di questi di ora non lo ha mai raggiunto; Berlusconi era di destra, ma non della destra cavernicola di cui fanno parte questi di ora. C’è anche il video in cui piange per i migranti, pensate un po’.

Come è chiaro a chiunque abbia una memoria e un atteggiamento politico che trascenda il fervore adolescenziale dell’assemblea d’istituto, tutte le asserzioni precedenti sono semplicemente esilaranti. Ma c’è poco da ridere. Questo riposizionamento storico nei confronti del berlusconismo cela in nuce una condizione percettiva di cui in questo paese soffriamo da sempre: io la definirei “sindrome della contemporaneità”. Gli italiani hanno un pessimo rapporto con la propria storia—o non la sanno, o la considerano sempre ininfluente—e vivono in un limbo continuo in cui tutto quello che accade oggi è piovuto dal cielo e precede l’apocalisse.

Credo sia impossibile cercare di dialogare con chi ne soffre senza sembrare un semi-sostenitore, anche di rimbalzo, del governo attuale; o senza invocare l’Eone dell’antiberlusconismo Marco Travaglio. Ma è bene, a quanto pare, fare una specie di precisazione storica su cosa sia stato il berlusconismo.

Ovvero un sentimento popolare, che per minimo 17 anni ha totalmente assoggettato il motore dello Stato attorno alla propria aura. Isolandoci dalla realtà internazionale, in un sonno immobile da cui ci siamo svegliati solo grazie alla crisi economica. Un uomo che ha distorto e manipolato l’opinione pubblica di gran parte del paese—ben prima che il termine fake news diventasse d’uso comune—attraverso una distesa infinita di sodali e scherani in ruoli chiave della politica e della comunicazione, e la non trascurabile disponibilità pecuniaria che gli derivava dall’essere la persona più ricca del paese. La sua propaganda non arrivava da un blog ridicolo, o da una pagina con meme sui finti parenti della Boldrini, ma attraverso tre televisioni nazionali, un giornale, e notevoli influenze sulla RAI. Luca Morisi, con il suo algoritmo di Facebook, gli fa una pippa.

Forza Italia è stato un partito votato al populismo fin dalla nascita. Un agglomerato dalla natura molto fosca nel retrobottega (in che anno è stato realmente assoldato Cartotto per crearlo? E quali erano le mire di Dell’Utri?) e dalla vetrina più arraffa-popolo che l’Italia avesse mai visto. Berlusconi ha sempre avuto la stessa vena anti-sistema che critichiamo a leghisti e grillini: arrivato in pieno marasma post-Tangentopoli, ha prima creato la sua figura in contrasto ai “politici di professione” (una retorica che continua ancora), e poi cercato di nominare ministro il simbolo di Mani Pulite, Antonio Di Pietro, per accaparrarsi il favore del malcontento. Se uno pensa poi al modo in cui ha convinto il paese del “pericolo comunista”, e al fatto che i comunisti negli anni Novanta—dopo il crollo del Muro di Berlino—erano guidati da Achille Occhetto, gli viene una sincope.

Più che una “Seconda repubblica”, in un certo senso la sua è stata l’epoca dell’interregno fra due repubbliche: un lasso dominato solo da lui e non dal paese reale, fra leggi ad personam, continui attacchi alla magistratura delle toghe rosse che lo voleva processare, epurazione dei nemici quando possibile (editto bulgaro), e persecuzione di quelli che non è stato possibile epurare (i dossier di Pio Pompa, e gli incarichi di Valter Lavitola). Un uomo talmente capace di incanalare la percezione collettiva sui suoi problemi personali, da far sembrare gente come Montanelli e Travaglio dei cavalieri della sinistra. Il paese intero gli ha fatto da tata, da psicologa, da amante, e da azzeccagarbugli per 20 anni.

La sua non era l’Italia rancorosa e stupida dei commenti su Facebook e degli INDIGNATI!!1!! contro i migranti e l’Europa. Era l’Italia stupida ma contenta, che dei migranti e dell’Europa se ne fregava, perché stava dietro al suo benessere patinato e a un’ostentata mancanza di cultura e di gusto. E che ha preso la mattonata della realtà dritta in faccia nel 2011, con un paese sull’orlo del default, una classe politica pestilenziale, e una serie di conti aperti col mondo esterno che rivendicavano attenzione da almeno un decennio.

Guardiamoci tutti negli occhi: non è mai esistito alcun Berlusconi istituzionale (figure di merda in Europa, cazzo di Topolanek nel giardino, cene eleganti con olgettine, barzellette ai vertici di stato), alcun Berlusconi uomo-politico-capace (se siete di destra vi svelo l’arcano, la sua “rivoluzione liberale” non è mai avvenuta, anzi), alcun Berlusconi della destra raffinata: è lui l’amico intimo di Putin, è lui che per anni ha sparato a zero contro i migranti, che umiliava gli omosessuali, e che è stato definito “il politico più sessista d’Europa“.

La nostalgia per Berlusconi è il sintomo della nostra stupidità politica e storica: tutto quello che ci sta accadendo, e che ci è accaduto negli ultimi sette anni, deriva anche da lì—indignazione e insofferenza verso la politica, problemi di stato ingigantiti dall’inedia, fazioni moderate della classe dirigente incartapecorite nell’avere a che fare con altro che non sia Berlusconi. Basta fare un semplice ragionamento logico e temporale: quando si sono formati e sono cresciuti i primi meet-up? In quale epoca del paese? Contro quale classe politica? Credo che nemmeno dominando la scena italiana per lo stesso lasso di tempo Salvini o Di Maio possano procurare tanti danni.

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