piccoli cani squadra
Tutte le fotografie compaiono per gentile concessione dei Piccoli Cani Squadra e sono opera di Phil Goodies e Laura Franceschini
Musica

Se i meme fossero rap, sarebbero i Piccoli Cani Squadra

I loro testi sono quelli più offensivi della vostra pagina di meme preferita—per fare a pezzi il buon gusto nel rap italiano a forza di stupefacenti e shitposting.
Daniele Ferriero
Milan, IT

C’è un nuovo livello di scorrettezza in città. Immaginatevi di rapire Elio e le Storie Tese e legarli tutti in un dungeon sotterraneo, per sottoporli poi a una dieta forzata fatta di Plaguemon, merendine insalubri e film horror gore messi in loop per una cura Ludovico. Dopo, li portiamo nella dimensione parallela più marcia possibile, trasformandoli in un progetto di rime mutanti e facendo dimenticare loro il prog rock e come suonare qualsiasi tipo di strumento.

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Otterremo un composto piuttosto instabile: Piccoli Cani Squadra. Un gruppo di sei membri che ha da poco pubblicato il secondo disco, Emporio del Male, con il quale hanno ribaltato e sbeffeggiato tutto quello che va per la maggiore in fatto di barre, rap e trap. Sbattendosene altamente del solito immaginario, sulla copertina hanno piazzato la fotografia di Notre-Dame che brucia, innestata sul primo piano di quattro canidi che defecano con grande compostezza in un prato.

È l’esempio perfetto del modo con cui approcciano la creazione, cioè con una voglia vorace e disumana di divertirsi fino a sanguinare e ridere di tutto, in primis di loro stessi. Una voglia che però non pregiudica nemmeno per un istante la possibilità di creare qualcosa di potente e significativo, proprio come l’immagine di cui sopra, che dice del nostro presente più di quanto facciano mille articoli di giornale.

Lo stesso discorso è valido per la loro musica e i loro testi, una rivisitazione iconoclasta dei cliché della trap e del rap, che riesce ad essere sarcastica e ironica con tutta la serietà che l’umorismo nero si merita. Il loro lavoro è il precipitato di qualche decennio speso a riformulare i modi in cui ridere sui canali principali dove scorre la nostra vita: internet e tutte le sue forme.

I Piccoli Cani Squadra sono una rivisitazione iconoclasta dei cliché della trap e del rap.

Proprio da alcune pagine di meme e di quel che viene malamente chiamato shitposting (meglio: textposting) deriva parte della carica eversiva del progetto. Ed è per questo che nel disco vengono programmaticamente messi al bando il buongusto, la correttezza formale del discorso e gli ultimi anni di battaglie social che si sono riflesse sul mondo reale nelle lotte per i diritti civili, o viceversa.

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Aspettatevi, quindi, un disco pieno di cose quali “La tua tr**a chiama il piccione ferisce / Nel senso che ci faccio sesso / O quello che solitamente si chiama amplesso / ‘sta roba non esiste, non è mai esistita / Ti prego svegliati sei in coma da una vita”, oppure “Se questo filtro fosse un pene credo sarei gay / Sì mettilo lì sulla zinnona destra babe / Succhiare ca**i sarebbe il mio mestiere”. O ancora, “Sto parlando su internet di sport con un esperto indiano / Sto facendo uso di droghe ricreative / Scopando tr**e sieronegative / Fumo canne grosse come il ca**o di mio figlio”. E sappiate che tutto questo succede solo nella prima traccia del disco, “Fumando ca**i freestyle”.

Piccoli Cani Squadra

In apparenza, e in pratica, è un’operazione schiettamente suicida sul piano commerciale. Una specie di Hara-kiri filosofico e tematico, fatto di risate stronze ma sincere fino all’oscenità, che non ha paura di mischiare rap e trap con frammenti rave, death metal o musica da videogiochi a 8bit. Per capire meglio con chi abbiamo a che fare dobbiamo però prima conoscerli, e dunque ecco a voi: Piccione Ferito, Papi del Chado, Maxxi King, Giovane Pantera Sessuale, Giovane Risottino e Pinscher Tornado (più la mascotte onoraria: Cocozza), con nomi che dicono veramente tutto della sostanza dei Piccoli Cani Squadra.

Sarebbe però ingiusto, e sbagliato, limitarsi a considerarli frutto di un cazzeggio sterile, tanto più che l’aspetto farsesco nasconde spesso i dintorni più tragici, quelli di una qualsiasi giornata passata tra i capannoni nei dintorni di Milano e “nella triste Brianza ai tempi dei rage comics, che è il setting di tutti i nostri incontri”. A legarli tra loro furono alcuni diciottesimi, una dose insolitamente alta di collassi, furti di merendine e sigarette, nonché un “party lesbo dell’Accademia di Brera”, ma soprattutto la classica vacanza mezza improvvisata a Praga, nel 2017.

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È un’operazione suicida sul piano commerciale, che non ha paura di mischiare generi e stili musicali diversi.

Le proverbiali morti e resurrezioni di Pinscher Tornado, durante questa sortita in Repubblica Ceca, diventarono il carburante inatteso della loro amicizia, portando a “un consolidamento della compagnia, che da quell'esperienza cominciò a uscire più o meno frequentemente in luoghi ormai storici quali le panche di Desio. E un caloroso bacio incel a tutte le cameriere dei locali che frequentiamo!”

Naturale, a questo punto, il passaggio ulteriore verso la musica. “L'esperienza musicale si origina a partire da qualche freestyle nato durante alcune serate passate a fumare e da un progetto embrionale di un paio di noi. Tra una minchiata e l'altra il progetto si è espanso a tutta la crew dando origine al devasto odierno”, che forse non sarebbe arrivato fin qui senza qualche degno colpo di fortuna, “Per lavoro a Pinscher Tornado venne affibbiata una sala prove a Villasanta, che tutt'ora gestisce e che ci facilitò notevolmente il lato tecnico-logistico.”

Piccoli Cani Squadra

I sei rimangono comunque un’accozzaglia normalissima di giovani uomini che popolano le strade d’oggi e l’internet di sempre, e le allusioni a incel e rage comics avrebbero già dovuto farvelo notare. Chi disegna, studia beni culturali o impazzisce per l’MMA, chi salta da un lavoretto all’altro o ha mollato gli studi per i propri sogni, chi non intende assolutamente laurearsi o ha come motivo di vita il sesso e l’erba. La parte meno scontata, però, è fatta di chi sta “vivendo la golden age sessuale, non fa un cazzo, sta cercando una band Djent (un sottogenere del metal più tecnico e brutale, nda), per favore aiutatelo” o “ama a malincuore i Pokémon e la Kinder”, oppure ancora “odia Dio, ama le donne”. Si tratta delle stesse persone.

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Soprattutto, un paio tra loro gestiscono due di pagine di meme ( Memes Sublimes e Cinefirns: che sono morte e risorte più volte e ora si chiamano Memes Sublimes Conflitto Finale e James Firns, imprenditore), hanno un bel seguito e sono un chiodo fisso per chi mastica una certa nicchia, quella del textposting o shitposting di cui dicevamo prima. A questo proposito: si tratta di nomi diversi e concetti differenti che, tuttavia, possiamo semplificare e spiegare come testi la cui intenzione principale è quella di sfregiare il buon gusto e il buon senso, e che in contemporanea offrono flussi di coscienza svirgolati e allucinati, ma a modo loro sinceri.

Due di loro gestiscono altrettante pagine di meme: Memes Sublimes e Cinefirns.

Se vi viene da pensare che sono sciocchezze e che siete troppo vecchi per queste stronzate, possiamo ricordarvi che in effetti forse siete morti dentro. Oppure, che anche quando si tratta di robe estremamente semplici, questi post nascondono un’anima spietata e nichilista che possiamo ritrovare nelle avanguardie artistiche del Novecento, come per esempio Dada e come segnalato da diverse parti, tra le quali un articolo su Polygon.

Difficile che i protagonisti si sentano rappresentati in questo strano rapporto con l’arte e l’accademia, ma ciò non toglie che qualche occasione di confronto ci sia stata davvero, per esempio presso l’Università degli Studi di Milano l’anno scorso, in un dibattito asimmetrico dal titolo Shitposting: quali prospettive?! organizzato da Altra Università. “L’appuntamento aveva lo scopo di fare il punto della situazione riguardo l’ironia sui social, le influenze e le prospettive nel futuro prossimo e secondo noi è servito a dare un’immagine concreta della cosa, a svelare un po’ cosa c’è dietro”, ci spiegano.

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Piccoli Cani Squadra

E dietro alle quinte “c’è un forte collegamento con l’ironia di internet. Per noi l’approccio è sempre stato quello di far ridere in primis noi stessi,” ribadiscono, “con più naturalezza possibile, liberandoci di ‘robe’ che fluttuano in testa o ricordando avvenimenti che ci sono capitati.” Una maniera di porsi che finisce dritto nelle tracce del disco: “Sinceramente, in saletta ci scassiamo di risate quando dobbiamo scrivere, registrare o proponiamo roba appena sfornata. L'approccio è appunto spontaneo, e i testi nascono durante conversazioni poco impegnate con un processo creativo a ruota libera, ma cercando di non essere banali.”

In questo quadro, il rapporto con chi si sente il disco rischia di diventare una questione di forza e prospettiva, di messaggi criptici o troppo autoreferenziali, che viene smontato con semplicità: “Cerchiamo di rispettare le aspettative dell’ascoltatore rimanendo originali ma cercando di non forzare troppo la cosa. Detto questo, durante la registrazione di ‘Satanassi Infernali’ siamo andati avanti una decina di volte perché scoppiavamo sistematicamente tutti a ridere.” E proprio qui, tra frammenti deliranti tipo “Ferro rovente nei pantaloni / Azoto liquido nei miei polmoni”, accompagnati da una scarica di scorrettezze estreme quali “Genio sessuale mi vuoi sco*are / Certo, padrona, non mi supplicare”, parte un momento di urla e voci tirate allo spasmo che si rivela azzeccatissimo e piuttosto disturbante.

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"In saletta ci scassiamo di risate quando dobbiamo scrivere e registrare. L'approccio è spontaneo al massimo."

La chiusura perentoria, “Un uomo va dal dottore, porcamad**na” e il suo seguito di sub bass e droni inquietanti, ci ricorda con chi abbiamo a che fare e i territori da cui provengono loro e gli ascoltatori tipici. “Sicuramente una buona parte del nostro pubblico deriva dalle pagine social e dai nostri amici o amici di amici; a quanto pare c’è persino Dolcenera. Le interazioni sono spesso ironiche e portate più verso il meme o apprezzamenti generici. Per ora contiamo anche un nude! Un paio di persone hanno anche coverizzato qualche nostro pezzo. Ma col nuovo album il bacino si è allargato e stiamo riscontrando qualche fan che segue il progetto musicale e non tanto le pagine, figalmente.”

È però certo che, con quest’approccio e i mille argomenti affrontati con la grazia di un caterpillar ubriaco che cerca di violare un cimitero, i Piccoli Cani Squadra si alienano a prescindere diverse migliaia di ascoltatori. Bestemmie, aborti, misoginia, misantropia, omosessualità, incontinenza, antisionismo, amore, olio di palma e impotenza vengono sparati in faccia all’ascoltatore a ogni passo, con un bel corollario di n-word, “fr**i” e via degenerando. Un commentario e una parodia dei cliché discorsivi del genere, insomma, filtrato da una buona dose di coraggio, più il background e le esperienze di cui sopra in salsa memetica.

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Piccoli Cani Squadra

Lo spiega bene il fatto che “I primi beat arrivano proprio dai fan di Cinefirns e solo quando abbiamo registrato abbastanza pezzi abbiamo deciso di raggrupparli nel primo album, Beni Culturali Volume 2: Renegade. L’idea della musica c’è sempre stata ma è rimasta astratta finché non siamo entrati in possesso dei mezzi per portare la cosa ad un piano fisico.” E ancora meglio lo rivela un piccolo glossario delle loro parole d’ordine, ripetute ad nauseam: devasto, sgasare, coppare, annusarsi et co. “In generale, spesso ci piace esasperare e prendere per il culo slang altrui o usanze e modi di dire di qualsiasi provenienza, dal pop al locale. Decontestualizzarli e utilizzarli in modo completamente improprio fino a trasformarli.”

Se cerco d’immaginarmeli, vedo un gruppo di vent/trentenni chiusi in casa a sparlarsi addosso. Un tempo nelle strade suonavano gli otturatori delle armi, oggi invece sono i meme e gli inside jokes personali a rintronare gli altri a furia di significati che valgono come sputazzi in faccia. Si tratta di uno scontro tra immaginari, ovviamente, ieri i gangsta, ora qualcosa di più terra terra. Ma pur sempre di una semiotica dell’eccesso si tratta.

"Ci piace esasperare e prendere per il culo slang o modi di dire. Decontestualizzarli e trasformarli."

Non è una casa il luogo dove si rinchiudono, ma non vado troppo lontano. La loro tana mi viene così descritta: “Dal punto di vista musicale la nostra trappola è la già citata saletta di Villasanta, anche se ci troviamo lì principalmente e appositamente per registrare o ‘pensare musica’. In generale, è umida, sta sottoterra e sotto un cinema-teatro. Si trova accanto o all'interno di un centro sportivo e contiene dei divani devastanti, oltre a dei bagni un po' démodé,” e sulle abitudini mi confermano, “fumiamo un po' ovunque, principalmente ci ritroviamo la sera a Lissone dato che, abitando in luoghi relativamente distanti, è un buon punto medio. Oppure in case altrui a smashare e a fare rewatch.”

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In questa dimensione fisica del sottosuolo materiale e di quello di internet, così come dell’underground musicale, trova spazio tutto il resto: da YouTube, Twitch e i videogiochi, come appunto Super Smash Bros, ai Pokémon, citati nella splendida “Legami inossidabili”, che vanta una base chiptune di musica da videogiochi e rime tipo “Sto con i miei fratelli / Legami inossidabili / Sessanta carte in mano / Non penso che puoi batterci / Comandiamo il meta / Tu coi deck tematici / Trappo troppo forte”. Se non è questa una nerdissima ode al gioco e alla compagnia, non so proprio voi dove andiate a pescare i vostri manifesti generazionali.

Piccoli Cani Squadra

Si sommano poi un milione di influenze più propriamente musicali e vicine al resto degli artisti rap e trap, ma intrecciate a nomi che gli altri si sognano. C’è chi, come Giovane Risottino, si è “approcciato al rap per la prima volta coi Lolocaust senza avere alcun tipo di background hip-hop,” per poi passare a “roba tipo Injury Reserve, Gangsta Pat e Jpeg Mafia." Mentre Piccione Ferito ci racconta: "Uochi Toki e Death Grips me li ascoltavo alle superiori per scopare e poi li ho dimenticati per sempre”.

O come Giovane Pantera Sessuale, che “già dalle medie ho sempre ascoltato i classici dell'hip-hop, ma non ho mai troppo approfondito il discorso trap. Attualmente ascolto tanto rap italiano, con una certa pendenza verso il conscious. Che gay, LMAO.” È però quando allarghiamo il campo ai dischi della vita, ai titoli dell’anno scorso, alle musiche extra-rap e alle influenze dei loro produttori di fiducia che arrivano le sorprese e cominciamo a comprendere come si siano formati i miscugli bizzarri di Piccoli Cani Squadra.

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"Uochi Toki e Death Grips me li ascoltavo alle superiori per scopare e poi li ho dimenticati per sempre."

Una fiumana di nomi eclettici e variegati si presentano alla porta. Portishead, Morphine e Tiziano Ferro, ma anche stranezze come la sigla di Casa Vianello, la primizia dei San Culamo, il “porngrindcore” e il nuovissimo Underneath dei punk hardcorers Code Orange, oppure Symbolic di quella meraviglia che furono quei metallari dei Death.

Per poi tornare a territori a noi più vicini come Fritz da Cat con il suo Novecinquanta, Dark Polo Gang e Lil Ugly Mane—in particolare quella gemma cloud rap a titolo Volume 1: Flick Your Tongue Against Your Teeth And Describe the Present, sotto l’alias di bedwetter—, Playboi Carti o “l’ultimo di Danny Brown”. E “aggiungiamo l’apporto dei producer per dare un’idea del loro bagaglio musicale”.

Piccoli Cani Squadra

Già, i producer, un capitolo a parte che fa guardare al lavoro dei Piccoli Cani Squadra meno come a un frutto fortuito, ma ricercato, di meme e amici e più come le avvisaglie di un collettivo in espansione continua. Quando domando loro chi si è occupato della parte strettamente musicale, delle basi e via dicendo, mi raccontano che “Il primo album è stato quasi interamente prodotto da Lil Horse, un ai tempi 13enne campano fan di Cinefirns.”

E che “tra il primo e il secondo album sono arrivati i nostri angeli custodi Nick Snow e Phil Goodies del collettivo Tech Heels Club. Da cosa nasce cosa e siamo entrati in contatto anche con Bad Vibes, Coinboy, sempre dello stesso collettivo, e con Blake Ned, un supern***o sardo, altro fan di Cinefirns.” Quest’ultimo, tra il serio e il faceto, mi racconta delle richieste dei vari membri, che suonano più o meno così: “Ficcaci una sirena in loop, fai un beat fr**io, fai un beat da evasori fiscali”.

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"Facci un beat da evasori fiscali."

Torna dunque la componente d’insieme, il fatto che il progetto inglobi naturalmente le particelle impazzite e non lineari che trova per strada, arricchendo il suo surreale bagaglio e regalando alla musica nuove invenzioni di stile e forma. “Lavoriamo tutti insieme nonostante la distanza fisica e cerchiamo sempre di sperimentare su suoni più differenti possibili. Lo scopo è quello di dare più varietà al prodotto finale. È anche un modo per mettersi in gioco di più, per rendere il prodotto più variegato, meno banale e meno ancorato ai cliché.”

È quello che potremmo definire “un viaggio musicale a dir poco vasto, confuso e sempre alla ricerca di nuovi artisti e nuove sonorità”, ed è il motivo per cui saltano fuori anche i nomi di Aphex Twin e l’elettronica sognante di Slow Magic, Sporco Noproblem (“imho miglior rapper in Italia al momento”) e i metallari Children of Bodom. Oltre al nostro amato Pufuleti.

Si tratta del tipo d’anomalia che quando si deve confrontare con i trick fondamentali della trap non ha particolari problemi a riconoscerne punti di forza e criticità, “Sicuramente in America, e in misura nettamente minore in Italia, ci sono esponenti validi ma i canoni del genere sono spesso noiosi e ripetitivi. Raramente c’è chi riesce ad affrontarli con originalità e stile. Noi cerchiamo di usare una strada alternativa, decontestualizziamo la trap per parlare di ciò che ci diverte, stabilendo i nostri canoni personali e cercando sempre di mostrare la nostra visione del genere: qualcosa di nuovo e fuori dagli schemi classici.”

Motivo per il quale una sublime follia quale “4 ragazzi in padella”, riesce a dichiarare contemporaneamente l’amore per la cucina grazie a un’intro come “Cucinando squisitezze proprio come Cooking Mama / Son meglio della Parodi ma non vado a Master Chef / Fanculo quei programmi cucino pezzi per la squadra / Benvenuti nella mia cucina” e a farla stare in armonia con un suono totalmente devoto a rave e gabber, aritmie drum’n’bass e la dance più morbida. Ovviamente, la traccia seguente, “Piccoli Cvni” inizia e finisce come un vero e proprio pezzo death metal, e con la chiusa “Raga, io mi fermerei anche qua sinceramente.”

"I canoni del genere trap sono spesso noiosi e ripetitivi. Raramente c’è chi riesce ad affrontarli con originalità e stile."

Sono talmente fuori dagli schemi da disinteressarsi quasi del tutto all’aspetto live, un po’ per motivi pratici e un poco per il solito approccio ludico e l’umorismo beffardo. “Il nostro primo concerto fu un'esperienza divertente ma poco appagante, dati i numerosi problemi tecnici e l’inesperienza generale, conditi da alcol e droga e un fonico incapace. La nostra idea di concerto comunque è più simile a 'na caciara: a grandi linee sarebbe a metà tra uno spettacolo teatrale, una performance e una festa in casa.”

A confermarlo, il fatto che i concerti venuti veramente bene, al Tambourine di Seregno, videro protagonisti i “wall of death e un ribaltamento di ruoli in cui il pubblico si era ritrovato principalmente sul palco e noi ‘performers’ sotto. Perché il focus è più l'intrattenimento e il contatto col pubblico.” Senza contare che in considerazione dei background così particolari, anche le serate tra soci sembrano alquanto strane: “Non siamo letteralmente mai stati a un concerto tutti insieme date le differenze di background musicale. L'esperienza più vicina sono forse le serate al Macao di Milano, ma sono più simili a una serata disco, a dirla tutta”.

Piccoli Cani Squadra

Qualcuno va al Gods of metal, qualcun altro da Rkomi e Tedua, oppure a sentire Claver Gold in un centro sociale a Rho, “bel devasto”. Comunque, “il più recente è un viaggio in macchina nell'underground di Torino per vedere i faUSt e Peter Brötzmann”, due capisaldi della musica sperimentale e del jazz matto e rumoroso, per intenderci, se ancora non avete capito con chi stiamo parlando.

Sia quel che sia, Emporio del Male magari non allieterà le vostre orecchie, non vi stupirà con rime clamorose o una produzione allo stato dell’arte. Anzi, tutt’altro, visto che a tratti il tutto suona un po’ amatoriale, sporco o acerbo, le voci vanno e vengono e a volte manca l’aria. Eppure, persino negli errori, i passaggi svogliati o quelli venuti male, c’è più immaginazione, fotta e creatività in questi ragazzi che in tre quarti del resto della scena.

Cosa che dimostra quanto sia meglio la sincerità di un prodotto bacato, ma sincero, vivo e burlesco al gusto di olio di palma, rispetto all’ennesimo dissing patinato su Instagram o il richiamo allo swag lontano milioni di anni luce. E voi dubbiosi, fighetti e perplessi, ricordatevi: “Vorremmo lanciare un appello e/o sensibilizzare chi vuole fare musica ma pensa che debba comprare chissà cosa: non serve nessuna attrezzatura specifica, potenzialmente, se avete un cellulare o un computer, avete già il 90% della roba che vi serve.” Datevi da fare e seguite il cattivo esempio. Daniele è su Instagram e Twitter. Segui Noisey su Instagram, YouTube e Facebook.