Se sgomberano Macao abbiamo perso tutti

La notizia improvvisa dello sgombero del centro artistico indipendente Macao, a Milano, ha lasciato a tanti l’amaro in bocca. Non che gli sgomberi siano mancati durante gli ultimi due mandati di centrosinistra. Macao però è una realtà particolare: molto nota, inserita in una rete europea e in dialogo continuo con la municipalità—tutti fattori che contribuiscono a trasformare una storia di ordinaria amministrazione cittadina in un apologo contro le logiche della speculazione.

La decisione della giunta di sgomberare ha una ragione semplice: le sette palazzine liberty di viale Molise che comprendono la sede di Macao saranno vendute per un valore complessivo di 22,5 milioni di euro e l’intero complesso sarà inserito—insieme a un’ex colonia a Cesenatico—all’interno di un fondo immobiliare.

Videos by VICE

“La solita vicenda speculativa,” commenta Maddalena Fragnito, del collettivo di Macao, quando le chiedo di spiegarmi cosa è successo dopo l’uscita dell’articolo che ne dava l’annuncio: “L’aver appreso la notizia tramite l’ANSA, poi, ci ha fatto capire ciò che l’amministrazione pensa di noi come soggetto politico e delle proposte che abbiamo portato avanti dal 2012 a oggi.”

L’interno di Macao.

La storia di Macao inizia infatti poco più di sei anni fa, quando un centinaio di persone, tra lavoratori dello spettacolo, dell’arte e della ricerca, decidono di occupare simbolicamente la Torre Galfa in via Galvani: un grattacielo vuoto e inerte, emblema delle logiche prepotenti della speculazione edilizia.

Dopo diverse trattative e alcuni cambi di sede, il collettivo si stabilisce nella sua sede attuale, l’ex Borsa del macello di Milano, nel mezzo di una grande area abbandonata dove un tempo si trovava il mercato all’ingrosso della città. Da allora Macao ha ospitato artisti, musicisti, scrittori, ha creato eventi, spettacoli e concerti come il festival Saturnalia, diventando un punto di riferimento a livello europeo per quanto riguarda la musica e le arti sperimentali.

Eppure già nel 2017 Sogemi—la società che gestisce i mercati generali e possiede il complesso di viale Molise—aveva annunciato la vendita e, di conseguenza, lo sgombero del centro. La situazione si era però risolta proprio grazie all’intervento del comune.

E ora? Perché, dopo solo un anno, questo ripensamento? Per raccogliere soldi? Per ribadire l’importanza della legalità? Per mancare la distanza dalla politica più radicale? Un po’ tutte queste cose insieme, anche se la priorità resta quella di fare cassa.

Il “Fondo II”, nel quale confluiranno gli edifici dopo il passaggio di proprietà da Sogemi al comune, è un fondo immobiliare gestito dal gruppo bancario internazionale BNP Paribas. Lo scopo dell’operazione è ottenere un rifinanziamento e prolungarne la durata di altri tre anni, per evitare che il comune sia costretto a riprendersi i beni e a sborsare i 31,2 milioni di debito del fondo. Fondo che, come mi spiega Fabrizio Vangelisti, collaboratore dell’assessore al demanio Roberto Tasca, “è stato aperto nel 2008 dall’amministrazione Moratti e comprende immobili poco appetibili. Prolungarne la durata è una necessità: al comune servono soldi da usare a beneficio dei cittadini, per esempio per la riqualificazione delle case popolari.”

L’amministrazione sembra ottimista: è convinta di poter trovare un accordo, dice di essere consapevole del valore culturale di Macao e ribadisce di voler procedere a uno “sgombero soft”, senza utilizzo della forza.

Intenzioni a parte, la vendita del complesso può avvenire soltanto se le proprietà sono vuote, e Macao non sembra in procinto di svuotarsi.

Inoltre, anche se l’assessore Tasca è contrario all’uso della forza, il piano Salvini non lo è affatto e la proposta di revisione della circolare Minniti sugli sgomberi renderebbe tutto più facile. Con la polizia che, solo per fare qualche esempio, potrà irrompere in un edificio occupato anche senza mandato, arrestare e disporre dei telefoni di chiunque verrà trovato all’interno.

“Siamo delusi”, prosegue Maddalena. “Non succede spesso che uno spazio sociale come Macao arrivi a mettere a disposizione le proprie competenze per contribuire a innovare le forme di gestione dello spazio pubblico.” Ed è un aspetto, questo del dialogo con il comune, che va considerato quando si legge la risposta del collettivo alla giunta.

Qualche anno fa, per esempio, Macao ha contribuito a scrivere una proposta di delibera per l’assegnazione e l’Uso Civico di spazi pubblici. Nonostante il sostegno di alcuni consiglieri però, questa non è mai stata votata.

Più di recente, è stato proposto di ispirarsi all’organizzazione tedesca Mietshäuser Syndikat, un progetto di acquisto collettivo di immobili. “È un modo molto ingegnoso di surfare sulla burocrazia e trasformare la proprietà privata in commons,” spiega Maddalena. In Germania è attivo già dagli anni Novanta e si sta radicando anche in altri paesi europei, come Austria, Paesi Bassi o Spagna. Viene utilizzato da comunità di persone che decidono di abitare insieme e magari di impiegare il proprio spazio anche per eventi pubblici, da residenti di lungo periodo che non si rassegnano alla vendita della loro casa o dagli occupanti di un edificio destinato a demolizione.

Già da questi esempi è chiaro che Macao, oltre a essere una realtà di tipo culturale, è anche e soprattutto un luogo di sperimentazione politica, dove si approfondiscono questioni attuali, come la gestione dei processi di automazione del lavoro, il reddito di base o gli esperimenti con le cripto valute. In gioco per loro non c’è solo uno spazio, ma la rivendicazione di una cittadinanza più attiva, che faccia valere il proprio potere decisionale sulla politica urbana.

C’è un articolo, pubblicato quest’estate dal Guardian e firmato dal sindaco di Barcellona Ada Colau e dal sindaco di Londra Sadiq Khan, che riflette sul diritto alla città così come lo vede lo staff di Macao. Il titolo è già eloquente: Le proprietà cittadine dovrebbero essere innanzitutto case per le persone, non investimenti.

Nel loro breve manifesto i due sindaci sottolineano come le città non siano solo “un insieme di edifici, strade e piazze,” ma anche “la somma della gente che le vive,” perché “sono loro che aiutano a creare legami sociali, costruiscono comunità e si evolvono nei luoghi in cui siamo così orgogliosi di vivere.” È un concetto molto semplice, ma spesso disatteso dalle logiche speculative che vedono gli immobili solo come risorse da cui trarre profitto, sui cui prendere decisioni anche a migliaia di chilometri di distanza, mentre l’impatto vero delle scelte ricade sui cittadini, che invece decidono ben poco.

Quello che Macao chiede, in breve, è che la delibera venga stralciata. “Se il progetto Mietshäuser Syndikat dovesse prendere vita,” dice Maddalena, “vedremo se riuscirà a salvare non solo Macao ma tutte le realtà simili presenti in Italia, come la Casa delle donne di Roma.”

E proprio tenendo conto del contesto nazionale e del clima politico del momento, la protesta di venerdì 5 ottobre organizzata in piazza della Scala è stata pensata in un’ottica più generale rispetto alla semplice difesa dello spazio dell’ex borsa del Macello. “Celebreremo il funerale della sinistra neoliberale che ha aperto la strada alla destra,” dice Maddalena. “Dobbiamo renderci conto che è finita una fase e che serve uno sforzo collettivo per costruire ciò che verrà ora.”

La giunta di Milano dice di non sentirsi defunta. “Bisogna capire cosa significa essere di sinistra,” spiega Vangelisti. “Per noi essere di sinistra non significa tollerare l’illegalità. Molte città lasciano correre, per non avere problemi. Noi invece cerchiamo di negoziare per tutelare i nostri beni, che devono appartenere a tutti i cittadini e non solo ad alcuni. L’amministrazione è pronta a dialogare con tutti i soggetti dell’autonomia. Con l’obiettivo, certo, di regolarizzare l’utilizzo degli spazi attraverso la partecipazione a bandi e il pagamento di affitti.” Un negoziato però che nel caso di Macao—ma anche dello storico Leoncavallo—non sta procedendo nel modo sperato.

Certo, una pubblica amministrazione deve fare i conti con un bilancio e attenersi a vincoli e direttive. Nel concreto però, la realtà milanese, come tante altre, è costellata di edifici e spazi lasciati da anni nel più completo abbandono. E se da un lato c’è il comune che non ha i mezzi necessari per restituirli alla cittadinanza, dall’altro ci sono realtà auto-organizzate che si dimostrano in grado di provvedere in autonomia alla loro riqualificazione, mettendoci liberamente le proprie risorse. Perché le occupazioni non sono tutte uguali: chiudere l’anziana fuori di casa mentre è in visita dalla nipote non è come prendere uno spazio abbandonato da anni, rimetterlo a posto e organizzarci incontri, concerti e assemblee. Per costruire un’alternativa bisogna saper cogliere le opportunità.

Per sapere di più su Macao, seguili su Facebook. Qui il link alla manifestazione di questa sera.