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Il problema dell'educazione sessuale nelle scuole italiane è molto più serio di quanto crediamo

L'Italia è uno dei pochissima paesi dell'unione europea in cui non è obbligatorio insegnare educazione sessuale nelle scuole. Se i motivi di questa eccezionalità sono molto complessi e da attribuire a diversi fattori, gli effetti sono palesi.

Un episodio del corso Educazione Sessuale, uno dei cartoni volto all'educazione sessuale dei bambini.

Il mio primo e unico incontro con l'educazione sessuale a scuola risale al quarto ginnasio. Ammassatici in un'aula insieme a tutte le prime dell'istituto, dopo una lista veloce dei metodi contraccettivi disponibili l'insegnante ci aveva spiegato che l'unico modo sicuro per evitare gravidanze era l'astinenza, o meglio, "se tenete le gambe chiuse non vi dovete preoccupare." Con quella frase, l'esperienza mia e dei miei compagni di classe con l'educazione sessuale si è conclusa.

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Il mio non è un caso unico, e confrontandomi con altre persone tra i 20 e i 35 anni ho scoperto non essere nemmeno uno dei peggiori. Se pochi fortunati conservano un vago ricordo di iniziative bloccate sul nascere come il caso dell'opuscolo sull'AIDS di Lupo Alberto, le storie di terrorismo psicologico in tema di educazione sessuale—in cui vengono divulgati concetti come "i gay sono sbagliati" e "le mele più in alto e più difficili da prendere sono quelle più buone"—sono diffuse. E talvolta i risultati molto più gravi di quelli irrisori che ha avuto su di me la lezione.

Se in Italia episodi del genere sono possibili è perché nelle scuole, a differenza di quanto accade nella maggioranza dei paesi europei, l'educazione sessuale non è parte del programma ministeriale. Il suo insegnamento, se e quando avviene, si deve alle iniziative delle singole scuole. Mentre i motivi di questa lacuna educativa sono molto complessi, gli effetti sono palesi, nonostante spesso si preferisca ignorarli.

Due pagine dell'opuscolo "Come ti frego il virus", nato da un'iniziativa ministeriale del 1991 ma mai distribuito nelle scuole.

"Il fatto che in Italia per il Ministero non sia obbligatorio insegnare educazione sessuale nelle scuole," mi spiega Marina Anzin, ex docente di educazione sessuale negli istituti superiori e attualmente insegnante della materia nella scuola di formazione per docenti AISPA, "fa sì che non esistano degli standard per il suo insegnamento e che le singole organizzazioni che se ne fanno carico siano legittimate a portare i messaggi che scelgono."

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E il problema, continua la professoressa Anzin, è—volendo tralasciare per il momento le complesse ragioni culturali e sociali—anche di ordine economico: numerose situazioni di tipo confessionale propongono alle scuole lezioni di educazione sessuale a titolo gratuito, entrando in conflitto con i programmi a pagamento dell'ASL. Spesso, in un momento di difficoltà economica delle scuole, questo porta alle prime un grande vantaggio nella scelta finale degli istituti.

Prima campagna ministeriale contro l'AIDS, fine anni Ottanta.

Nonostante oggi l'insegnamento dell'educazione sessuale appaia sempre meno diffuso, ci sono stati anni in cui sembrava che le cose stessero migliorando. "C'è stato un periodo, dagli anni Novanta ai primi anni Duemila, in cui programmi di educazione sessuale coprivano quasi la totalità degli istituti superiori; parlo soprattutto per Milano, dove insegnavo, ma anche a livello nazionale," dice Anzin. Quell'ondata, mi spiega, è stata conseguenza diretta della paura dell'AIDS che aveva invaso l'Italia, con una sensibilità più diffusa sul tema della prevenzione e delle malattie sessualmente trasmissibili. "Da parte delle istituzioni sembrava fosse emerso il desiderio di introdurre nelle scuole l'educazione sessuale. Poi, progressivamente con la fine della paura questo periodo aureo è tramontato, e l'insegnamento dell'educazione sessuale ha ricominciato a riguardare solo una minoranza degli istituti," mi dice Anzin.

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La prima proposta di legge a riguardo, infatti, risale proprio a quegli anni. Nel 1991, un disegno di legge sull'inserimento dell'educazione sessuale nelle scuole aveva mostrato tutte le difficoltà di affrontare il tema in Italia. Da allora si sono succeduti ben sei tentativi di legiferare in materia, presentati da diverse forze politiche ma accomunati dalla violenta opposizione e dal nulla di fatto.

"Le resistenze non vengono mai dai ragazzi. Con l'educazione sessuale seguono le solite logiche—quelle dell'essere polemici e di porsi in una dinamica di opposizione con la figura al di là dalla cattedra—ma in mia esperienza si mostrano sempre molto interessati." A fare muro restano quindi le istituzioni, ma secondo Anzin sono per lo più i genitori a porre degli ostacoli, soprattutto per gli studenti più piccoli.

Un esempio recente è forse il famigerato caso gender, quando poche righe su un opuscolo della comunità europea sono bastate per scatenare un'isteria che ha visto protagonisti i genitori accanto forze politiche e religiose, e che si è tradotta in una lunga serie di eventi e iniziative sul tema.

Family Day, giugno 2015. Foto di Federico Tribbioli.

Del resto, se l'ingerenza del Vaticano e della matrice cattolica è palese ogniqualvolta si cerca di affrontare il tema ed è stata evidenziata anche da un rapporto sull'educazione sessuale della Comunità Europea, per Anzin il problema è molto più complesso ed è rappresentato dall'insieme di una serie di fattori.

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In Italia abbiamo la tendenza, mi spiega, a scindere tutto, a non pensare alle cose in una dinamica di causa-effetto, ma come elementi separati. "Se manca la competenza, manca la conoscenza, manca il rispetto, è chiaro che posso facilmente tradirmi, tradire il mio corpo ed essere tradita da qualcun altro. Non volersi bene è una parte fondamentale di questo modo di pensare," dice Anzin. "È più comodo tenere il tutto separato, perché sennò dovremmo lavorarci sopra a cominciare da subito," continua. "Uno nasce che subito è un essere sessuato ma questo viene sempre dimenticato: le persone non vengono mai guardate come esseri sessuati, dotati di emozioni e impulsi; considerare questa dimensione fondamentale imporrebbe un cambiamento radicale nel modo di pensare al nostro essere umani."

Oltre alle conseguenze di natura identitaria, la mancanza di educazione sessuale si riflette nella completa disinformazione dei giovani italiani rispetto alla sessualità, disinformazione che non può non ripercuotersi a livello sanitario. Come dimostrato da un recente rapporto dell'Istituto Superiore di sanità, in Italia, le malattie sessualmente trasmissibili sono in aumento dal 2007, in tendenza inversa all'uso dei preservativi. Inoltre, negli ultimi anni abbiamo assistito a un aumento di casi di AIDS —mai del tutto scomparso—attribuibile in gran parte a rapporti sessuali non protetti.

Se le responsabilità non possono ricadere esclusivamente sulla mancanza di educazione sessuale e sono da trovare più generalmente nel nostro approccio alla sessualità, non si può negare una correlazione diretta tra i due fattori. Un recente rapporto dell'Organizzazione mondiale della Sanità sugli impatti dell'educazione sessuale ha dimostrato che, nei paesi in cui è stata attuata, questa ha portato nel lungo termine a una diminuzione delle gravidanze adolescenziali e degli aborti, delle malattie sessualmente trasmissibili, e dell'HIV—oltre che degli abusi sessuali e dei casi di omofobia.

"L'educazione sessuale è una responsabilità degli adulti ed è un work in progress che dura tutta la vita, bisogna cominciare prestissimo. Pensa a quanta cura noi mettiamo perché i bambini imparino a nominare le diverse parti del corpo: perdiamo un sacco di tempo per nominare tutte le parti della mano: la mano, le dita, il nome delle dita, il dorso, il palmo," continua Anzil. "Siamo raffinatissimi: e poi come chiamiamo i nostri genitali? Questo è indice di un problema enorme. Se non ammettiamo neanche che le cose esistono, non possiamo pretenderle di conoscerle."

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