Club to Club Festival torna anche nel 2018. Abbiamo deciso di presentarlo con quattro articoli che raccontano quattro dei migliori artisti del cartellone di quest’anno. Abbiamo cominciato con Blood Orange e le sue tante identità e continuato con l’artista più atteso di questa edizione, Aphex Twin. Continuiamo con una storia familiare in forma di musica elettronica. I biglietti per Club To Club 2018 sono in vendita.
“Nessun viaggio comincia o finisce. I viaggi non fanno che dipanarsi ed ampliarsi”. Lo pensa una bambina in macchina con suo padre, mentre attraversa le splendide campagne inglesi. Ma il suo è solo un ricordo. Le immagini si dissipano e resta solo un duro letto nella cabina di un transatlantico diretto verso gli Stati Uniti. Quella bambina, Stephanie, ora è una ragazza di 23 anni e sta abbandonando la sua terra per cominciare una nuova vita al di là dell’oceano. E racconta:
“Le persone cambiano, così come le circostanze, c’è uno sconvolgimento costante. Il mondo è in continuo divenire, la vita è liquida, il tempo trasforma. Dopo mille considerazioni e conversazioni, io e Derick decidemmo di andarcene dall’Inghilterra e cominciare una nuova vita in America. Non c’era alcun vero motivo, se non per una ghirlanda di foglie di tè stese sul fondo di una tazza, una domenica mattina”.
Videos by VICE
È così che comincia Nothing Is Still, il nuovo libro, e disco, di Leon Vynehall. Il musicista di Pembury, paese del sud-est del Regno Unito, ha passato gli ultimi sei anni a farsi le ossa sui dancefloor di mezzo mondo. Il suo nome è diventato sinonimo di brani sottili come filamenti, beat perfetti sia per incrociare le gambe e meditare a occhi chiusi che per far sussultare il proprio corpo. Finora la sua era musica-per-la-musica, priva di esplicite narrazioni o progettualità. E poi la morte è venuta a bussare alle porte della sua vita.
Come Leon racconta in questa intervista, Nothing Is Still ha origine dal magnete creatosi al centro della sua famiglia dopo la scomparsa di suo nonno. Trainati gli uni verso gli altri per cercare di dare un senso alla sua scomparsa, Leon e i suoi cari hanno ascoltato la nonna, sua moglie, parlare della loro vita a New York. Vennero fuori fotografie, lettere e ricordi, e Leon cominciò a pensare al peregrinare dei suoi nonni in parallelo al suo spostarsi nel mondo per esibirsi dal vivo. Non aveva mai considerato i suoi LP degli album a tutti gli effetti e, fresco di un contratto per Ninja Tune, decise di impegnarsi a farne uno.
L’idea di Vynehall è semplice: ogni canzone funge da colonna sonora a un capitolo di una novella, scritta insieme all’amico Max Sztyber, narrata dalla prospettiva di sua nonna. “Una volta scritto il tutto, ho stampato i capitoli e ho sottolineato le parole e le frasi che mi colpivano di più. Le ho usate come strumenti per capire come avrei scritto le varie canzoni”, ha dichiarato a Bandcamp. Un processo durato, dal primo all’ultimo istante, ben quattro anni.
I primi due capitoli di Nothing Is Still, “From The Sea” e “It Looms”, seguono Stephanie e suo marito Derick nella pancia e sul ponte del barcone che li sta portando a New York, tra speranze per il futuro e idee di rimpianti che cominciano a balenare nel subconscio di lei (e non di lui: “È quella cosa rara, il lupo che appartiene a un branco perché lo desidera e non perché ne ha bisogno”, scrive). La musica è cristallina come l’acqua illuminata dal sole, piccoli squilli imitano il cullante, nauseante movimento delle onde. “Nulla è fermo”, come il titolo dell’opera. Con l’avvicinarsi della costa si innalza la tensione del corpo musicale, tra bordate di sintetizzatore addolcite da giochi d’archi.
All’interrompersi della musica si sostituisce una voce d’altri tempi, un cantore di strada che intona una melodia polverosa per la città che lo ospita. Si tratta di “Movements”, accompagnata da un video ufficiale che segue i primi tempi della vita di Stephanie nella Grande Mela. Parole scarabocchiate su un taccuino, un lento ballato con il marito in un club scuro. Il tessuto ambient del pezzo è tagliuzzato da un pianoforte che scherza con il jazz, interruttore che accende nell’ascoltatore l’idea di cauta bellezza di un nuovo inizio. I due vivono nella stanza di una coppia di amici, non hanno un luogo che possono definire “loro”: ma sono felici.
Sono queste le premesse del quarto capitolo, “Drinking It In, Again”, in cui Stephanie si interroga sul senso della sua nuova vita sorseggiando cocktail e ripercorrendo con il pensiero le relazioni che ha instaurato da quando ha reciso tutte quelle che aveva conosciuto per i primi vent’anni e passa della sua vita: “Ascoltavamo dischi jazz tutta la notte e parlavamo e ridevamo e ridevamo e parlavamo e ci sentivamo allo stesso tempo infinitamente saggi e come se avessimo sei anni. Il sax ondeggiante di Charlie Parker risplendeva dal giradischi. Max Roach, Duke Jordan, Tommy Potter, Miles Davis”. La musica prende velocità, si perde in loop sognanti sferzati dall’ebbrezza.
E poi, dato che nulla è fermo e la vita può cambiare in un attimo, arrivano problemi che danno il nome al quinto capitolo: “Trouble”. Una luce rossa, una volante della polizia, un’amica incinta e abbandonata sia dal marito che dal padre del bambino che ha in pancia, la panca di una cella. La musica si spegne fino a diventare pura tensione, un lamento da cui fuoriesce un battito roco. Ed è da lì che si avvia “Envelopes”, amara presa di coscienza delle distanze che separano i continenti, ambientata di fronte a un mucchio di lettere senza risposta.
Bianco e nero, lacrime, fotografie ingiallite, l’assenza di parole: il video di “Envelopes” ribalta la pace rassegnata del pezzo che la accompagna. Un lento incedere funge da fondamenta per acrobazie di sintetizzatore che anticipano il vero spettacolo, fuochi d’artificio di archi che si sovrappongono fino a riempire lo spettro sonoro. Nel video nonno Vynehall cerca, inutilmente, di consolare nonna, demolita dall’assenza del destinatario di quelle parole su carta.
Una volta spentosi il sole della novità, Stephanie e Derick devono trovare risposta a una domanda tanto semplice quanto assurda: “Siamo arenati in questa piacevole terra verde o è qua che abbiamo affondato le nostre radici?” I loro dubbi, e la soluzione, sono resi da Vynehall con le composizioni più estreme dell’opera. “English Oak” è l’unico momento in cui Nothing Is Still suggerisce all’ascoltatore di lasciarsi andare e abbandonare il proprio corpo al ballo mentre “Ice Cream” e “It Breaks” abbandonano completamente qualsiasi velleità ritmica per costruire scenari senza parole lavorando prima sull’intensità e poi sulla quiete.
La fine della storia dei nonni Vynehall sta nelle pagine della novella che accompagna il disco e sarebbe un peccato spoilerarla qua. Basti sapere che le loro vicende possono essere facilmente intuite dalle note che loro nipote ha pensato per raccontarle tra frenate e accelerazioni, quiete e caos, lenti e danze sfrenate. Non ci leggeva nulla di più se non la permanenza della vita di suo nonno e di un pezzo della sua storia familiare, Vynehall, in tutto questo; Nothing Is Still non è un esplicito commento sulla migrazione e l’impatto che questa ha sulle individualità che coinvolge, sebbene sia facile tracciare paralleli emotivi tra le vicende che racconta e quelle degli innumerevoli esseri umani che abbandonano i loro paesi. Petto e cervello si stringono e annebbiano, alleviati solo dal suono cristallino che penetra le difese del corpo tramite i timpani.
Elia è su Instagram.
Segui Noisey su Instagram e su Facebook
Leggi anche: