Com'è perdere i capelli a 25 anni

FYI.

This story is over 5 years old.

Stuff

Com'è perdere i capelli a 25 anni

Perdendo i capelli, lentamente ma inesorabilmente a partire dall'età di vent'anni, ho scoperto a mie spese quella lezione di vita con cui tutti, un giorno, devono fare i conti: non sai quello che hai finché non ce l'hai più.

L'autore a 19 anni, nel 1994. Tutte le foto per sua gentile concessione.

Da piccolo avevo uno strano feticismo per i tagli di capelli dei miei personaggi preferiti del cinema. Tutto è cominciato col tirabaci di Superman, seguito dall'acconciatura di Ken Marshall in Krulle dai capelli a spazzola di Dennis Quaid in Uomini veri. Poi è arrivata la fase—in cui mi trovo tuttora, anche se non so spiegarmi il perché—della fissazione per i lobi frontali sgomberi di Bill Murray in Ghostbusters.

Pubblicità

Da dove veniva la strana idea che i capelli di Murray potessero rappresentare un modello di mascolinità? Non lo so. Il fatto è che all'epoca del film Bill Murray aveva 34 anni e non era ancora calvo. Io invece, che 34 anni li avevo nel 2009, lottavo quotidianamente contro l'evidenza. Ero più che stempiato. Avevo perso tutti i miei capelli.

Le mie fantasie del 1984 si erano dolorosamente concretizzate. In ottemperanza al sinistro passaggio enunciato da David Byrne in "Seen and Not Seen", il mio fisico si era plasmato a immagine e somiglianza di un ideale del passato. Sfortunatamente, non il migliore.

Secondo un sondaggio del 2015 dell'istituto francese di statistica (IFOP), la calvizie riguarda il 25 percento degli uomini e il due percento delle donne. Un'ingiustizia tutt'altro che legittima, poiché questa condizione è da addebitarsi in gran parte all'abbondanza di determinati ormoni maschili. Sempre stando al sondaggio, il 26 percento dei calvi si accetta, e il 37 percento non si interessa particolarmente a ciò che io, al contrario, ho considerato per lungo tempo un handicap. Quest'ultimo angoscerebbe soltanto il cinque percento del campione esaminato. Tutti risultati, insomma, che parlando per me e la mia esperienza mi sento di poter mettere in discussione.

Non ho mai avuto tantissimi capelli. Da che ho memoria, quelli sulla sommità del capo sono sempre stati piuttosto fini. E perdendoli, lentamente ma inesorabilmente, ho scoperto a mie spese quella lezione di vita con cui tutti, un giorno, devono fare i conti: non sai quello che hai finché non ce l'hai più.

Pubblicità

Quando per caso mi ritrovo davanti agli occhi le foto di quando avevo 20 o 23 anni penso che mi sarei volentieri fermato a quello stadio. Ero stempiato proprio come il mio acchiappafantasmi, ma non potevo dire di non avere dei capelli. Come ero arrivato a quel punto? Era forse per colpa dei cappellini e i berretti indossati fin dalla tenera età? O la decolorazione con cui in periodo tardo-adolescenziale avevo aggredito il mio cuoio capelluto?

L'autore a 25 anni, nel 1998.

Fu proprio in quel periodo che ebbi un incontro funesto. Ero seduto a un tavolo del McDonald's quando si era avvicinata la sorella di un mio conoscente—uno su cui si concentravano le prese in giro di molti. Dopo aver appreso le ultime novità sul mio conto mi aveva informato della sua iscrizione a una scuola di parrucchiera, per poi chiudere la conversazione con un'uscita piuttosto infelice: "Ah, secondo me sei uno di quelli che diventano calvi. Si vede."

Qualche tempo dopo mi sono ritrovato a sfogliare gli album di famiglia in cerca di segnali. Mia nonna non era una capellona, ma né i nonni né mio padre sembravano afflitti da quel problema. E lo stesso valeva per il mio fratellastro, che all'epoca sfoggiava una testata di dread. Avevo uno zio vagamente calvo. Ma dovevo arrendermi all'evidenza: se fosse andata avanti così, sarei stato il primo senza-capelli della famiglia. E così, in effetti, è stato.

All'IFOP piace vedere il lato positivo delle cose. Ma se il 26 percento dei calvi si accetta, significa che il 74 percento non è dello stesso parere. E probabilmente, se un giorno—guardandovi allo specchio o direttamente in foto—doveste rendervi conto di far parte del gruppo, è così che vi sentireste anche voi. A proposito dello specchio: quello vi restituisce sempre un'immagine un po' idealizzata di voi stessi. Le foto, invece, non mentono. Ed è allora che noterete che in foto avete molti meno capelli di quelli che credete di avere nella vita reale.

Pubblicità

Chi sperimenta questa condizione troverà sempre qualcuno disposto a confortarlo, a dire che la situazione non è così tragica—come per l'impotenza o, che so, l'eiaculazione precoce. Ma questi discorsi non fanno altro che allontanarvi dalla realtà. Non è certamente una realtà così grave, ma la società, dall'antica Grecia ai social network, non ha mai fatto nulla per rassicurare i calvi. O almeno per convincerli di essere uguali a tutti gli altri.

L'autore, rasato, alla fine degli anni Duemila.

E qui, cari compagni senza capelli, si arriva a un altro problema: la necessità di dissimulare la propria calvizie. Perché le alternative disponibili, che si tratti di parrucche o trapianti, non sono valide. I parrucchini vi rendono più ridicoli dell'assenza dei capelli, e gli impianti… pensate al peggiore impianto mammario che vi viene in mente. Ecco: sarà sempre e comunque meno schifoso del migliore dei trapianti di capelli.

Ho a lungo analizzato il modo in cui i calvi famosi affrontano la loro calvizie—da Jacques Audiard a Michel Houellebecq passando per Michel Foucault. Ho anche fatto confronti tra me e altri. Ma con mio grande dispiacere, nessuna calvizie somiglia a un'altra. Sta sempre al legittimo proprietario la scelta di come curare la propria capigliatura. È allora che mi sono convinto a poco a poco che la rasatura non significava niente, e che avrei invece dovuto rivendicare la mia calvizie. Rivendicarla per quello che era: un sinonimo di testosterone, e quindi di forza.

Affidandoci alle conclusioni pur sempre binarie e fasciste della scienza, gli ormoni maschili sarebbero infatti sinonimo di prestanza. O almeno, diciamo, di un qualcosa di selvaggio. La cosa strana è che nella memoria collettiva i calvi non vengono mai associati a questi caratteri. E tutto ciò nonostante Fabien Barthez—come sono stato chiamato una volta—o Zinedine Zidane.

Questa triste constatazione tormenta la mia quotidianità da circa 15 anni. Eppure la cosa che mi manca di più non è tanto questa fiducia in se stessi che ti danno i capelli, no, ma il piacere di passarci attraverso la mano quando li lavo. Calvi del futuro, approfittate di questa possibilità finché vi viene offerta. Solo voi potrete comprendere il picciolo piacere intimo procurato da questo massaggio al cuoio capelluto. Approfittatene prima che sia troppo tardi. Perché come tutte le cose belle, purtroppo è una sensazione che non durerà.

Segui la nuova pagina Facebook di VICE Italia: