FYI.

This story is over 5 years old.

News

ACAD, non ACAB

ACAD è una Onlus che si batte contro gli abusi delle forze dell'ordine. Abbiamo incontrato uno dei suoi fondatori a pochi giorni dal rientro in servizio degli agenti condannati per la morte di Federico Aldrovandi.
polizia
Foto via Flickr (CC-BY 2.0).

Pochi giorni fa, gli agenti di polizia condannati per la morte di Federico Aldrovandi sono tornati in servizio dopo avere scontato circa sei mesi di reclusione e altrettanti di sospensione dalle forze dell'ordine. L'idea di interdizione perpetua ("per disonore della divisa", prevederebbe la legge) non è mai stata neanche presa in considerazione dagli organi disciplinari che si sono occupati del caso, da cui l'ultimo capitolo di una vicenda penale ai limiti del ridicolo.

Pubblicità

In genere i casi giudiziari portano il nome della vittima, e negli ultimi anni abbiamo imparato a memoria una catena di cognomi a cui ogni tanto si aggiunge un altro anello, ma che rimangono fondamentalmente legati tra loro in un loop insensato. Aldrovandi, Cucchi, Uva, Ferrulli… Sono morti in circostanze che, ufficialmente, rimangono annebbiate dalle contraddizioni tra le le prove emerse e le versioni avallate da magistratura e forze dell'ordine. Sono morti mentre erano nelle mani dell'autorità, in un paese che sembra dare per scontato il rischio che questa si trasformi in abuso.

Con questa consapevolezza, è tanto facile rinchiudersi in uno sfogo populista fatto di slogan quanto difficile studiare una maniera di resistere attivamente, con la semplice determinazione a far valere i propri diritti fondamentali. Sono questi i presupposti con cui è nata ACAD, un'associazione Onlus che si prefigge di dare supporto legale ed economico alle vittime di "abusi in divisa" o ai loro familiari. Un lavoro non semplice e che si è già sicuramente guadagnato il disprezzo di alcuni personaggi politici.

La sigla è stata presentata una settimana fa a Bergamo, in un incontro pubblico a cui hanno partecipato molti parenti delle vittime più conosciute. Hanno persino un numero verde (800.588605) attivo da qualche giorno in maniera sperimentale e a cui segnalare casi propri e altrui. Ho fatto qualche domanda al loro portavoce, Davide Brega, per saperne qualcosa di più.

Pubblicità

VICE: Come è nata ACAD?
Davide Brega: Da vari soggetti che si sono avvicinati, in maniera prima molto spontanea e poi decisamente attiva, per solidarietà con le vittime di abusi in divisa. Uno dei primi e più famosi che ci ha avvicinati è stato il caso Aldrovandi. Semplicemente, ci si trovava per dare solidarietà alla famiglia nei vari step degli atti giudiziari. Da lì si è iniziato a prendere coscienza del fatto che fondare un’associazione poteva aiutare meglio chiunque fosse incappato nelle stesse problematiche, e creare una struttura di supporto a chi invece stava già affrontando questi casi. Sempre per fare un esempio, ancora nel caso Aldrovandi la famiglia dovette pagare svariate migliaia di euro per avere le perizie di parte. Non tutti hanno le possibilità economiche adeguate, quindi i benefit che l’associazione farà per sostenere la ricerca della verità erano diventati una priorità.

Da che tipo di esperienze venivano i fondatori?
Una delle qualità, che spero rimanga anche in futuro, dell’associazione ACAD è la provenienza diciamo eterogenea dei primi fondatori: da scrittori ad appartenenti a compagini politiche o centri sociali, ad altre associazioni. Non c’è uno zoccolo duro legato al mondo politico che la mantenga, ma una struttura eterogenea di persone che si confrontano in tutti i campi che andiamo a toccare. È stata, come ti dicevo, una risposta spontanea di tutte le persone che si sono sentite toccate dalle notizie di abusi di polizia.

Pubblicità

Pensi che un lavoro come quello che fa l’associazione possa prescindere da connotati politici? O invece è importante che ne abbia?
Allora, nello statuto dell’associazione, uno dei punti fondamentali è l’antifascismo, perché a una chiara analisi anche della situazione economica odierna si capisce bene che le forze dell’ordine hanno un ruolo ben chiaro all’interno di questo tipo di sistema. Con l’aumento della crisi, totalitarismo, razzismo e la repressione di chi magari cerca di autorganizzarsi per sopravvivere a questi momenti sono dietro l’angolo. L’antifascismo quindi ha fatto un po’ da collante dell’associazione e c’è per statuto. Ovviamente poi il supporto che diamo alle famiglie, anche tramite il numero verde che abbiamo creato, è legato solo agli abusi che ci vengono segnalati. Poi, credo di parlare a nome anche di tutti gli altri fondatori dicendo che antirazzismo e antisessismo sono le basi di rispetto minime sulle quali cerchiamo di costruire il nostro operato.

Ovviamente, immagino siate già stati accusati di volere andare contro l’autorità dello stato e di volere a tutti i costi mettere in cattiva luce le forze dell’ordine.
Guarda, quando ci siamo avvicinati con una prima iniziativa alla mamma di Federico Aldrovandi lei, in riferimento agli agenti accusati della morte del figlio, parlava di “mele marce”. Questo pensiero è rimasto, quello che però è emerso poi con gli altri casi è una protezione subdola e allargata di queste persone da parte dei vari apparati. Chi è stato vittima di abusi chiede giustizia, ma questa non arriva. Quindi noi non siamo ovviamente sovversivi né vogliamo, diciamo, mettere un’etichetta su queste persone. Constatiamo semplicemente che in Italia se si è vittima di un abuso da parte delle forze dell’ordine non si riesce mai a far valere la verità.

Pubblicità

In effetti non si può negare che episodi di questo tipo siano molto frequenti. Secondo te perché? Pensi ci sia qualcosa di sbagliato nel modo in cui ci si aspetta che i corpi dello stato si relazionino alla cittadinanza?
Sicuramente penso che alla base ci sia una concezione culturale errata, secondo cui una persona appartenente alle forze dell’ordine possa mettere ordine con un uso di violenza sul cittadino. Troppo spesso la “giustizia” si fa per strada e gli eccessi di brutalità fisica sono innumerevoli. Con l’arrivo dei vari smartphone etc. si è riusciti sicuramente ad avere molti più casi documentati, ne abbiamo innumerevoli e basta vedere il sito dell’associazione per rendersene conto, e ovviamente possiamo solo immaginare quanti ne siano passati senza avere alcun risalto. Per non parlare poi del versante carceri, in cui negli ultimi anni sono avvenuti circa 15.000 “suicidi” e si entra in una microsocietà in cui i diritti umani vengono costantemente schiacciati.

In che modo vi prefiggete di fornire supporto?
ACAD si definisce un’associazione operativa, con iniziative come quella del numero verde che è attivo in maniera sperimentale da una settimana. Sul territorio abbiamo una rete di attivisti e avvocati che ci supportano, ovviamente tutti a titolo gratuito e volontario. Nel caso di segnalazioni o informative di casi che riguardano queste tematiche noi diamo un supporto anzitutto legale come avvocati. Parallelamente, lavoriamo per tirare fuori dal calderone di processi passati tutti quei casi sospetti etichettati come “morte naturale” tentando di riesaminarli perché emergano finalmente verità e giustizia.

Pubblicità

Quindi un’attività di ricerca continua e approfondita.
Sì. Ricerca e monitoraggio sul territorio.

Quanto è ramificata questa espansione sul territorio? Arrivate già in tutta Italia?
A livello di avvocati e attivisti siamo già in tutta Italia. I fondatori sono perlopiù al centro-nord e la sede è a Bergamo. La copertura nazionale è comunque una base fondamentale per l’esistenza dell’associazione.

Pensi ci sia in generale più consapevolezza nei confronti di questo problema? O si incontra ancora una certa diffidenza a parlarne?
Sono convinto che, grazie anche ai vari approfondimenti televisivi che ci sono stati di recente si stia arrivando a una maggiore coscienza. Comunque, quando arriva una notizia del genere, di solito, il tentativo delle autorità è di criminalizzare e mettere in cattiva luce la vittima stessa scavando nella vita di queste persone alla ricerca di pretesti. Credo si stia iniziando a diffondere la consapevolezza che episodi del genere possono accadere a tutti. Il tentativo di manipolare i media è sistematico e riesce anche semplice. Uva era stato dipinto come un barbone alcoolizzato, Aldrovandi e Cucchi tossicodipendenti, e così via. È banale, la notizia va in prima pagina e la smentita in ultima, ma è un meccanismo talmente sistematico che chiunque abbia un minimo di cervello e consapevolezza se ne rende conto.

Altro sul tema:

"Sono stati morti" in troppi